E Fischer riprese: «In seguito a quell’episodio, la sorella dovette esser ricoverata in ospedale e ci rimase due mesi. Vi risparmio i particolari. Belasco fu messo in collegio. Aveva undici anni e mezzo. Durante gli anni in cui rimase in quel collegio, si abusò carnalmente di lui in varie guise. Soprattutto da parte di un insegnante omosessuale. In seguito, Belasco inviterà quest’uomo a trascorrere una settimana presso di lui. Tornato a casa, l’uomo si impiccherà».
«Com’era di aspetto Belasco?» domandò Barrett, che cercava di guidare il resoconto di Fischer.
Fischer frugò nella memoria. Dopo un po’, prese a dire, col tono di chi cita parole altrui: «I suoi denti sono da carnivoro. Quando un sorriso li scopre, si ha l’impressione di un ghigno animalesco. Il suo viso è pallido, poiché odia la luce del sole, non gli piace far vita all’aperto. Ha gli occhi d’un verde stupendo, occhi che sembrano possedere una loro luce interiore. La sua fronte è spaziosa, ha capelli neri e una barba tagliata corta. Benché sia un bellissimo uomo, il suo volto ha qualcosa che mette paura: sembra il volto di un demonio che abbia assunto aspetto umano».
«A chi è dovuta questa descrizione?» domandò Barrett.
«Alla sua seconda moglie. Si è suicidata nel 1927.»
«Lei la sa a memoria, questa descrizione, a quanto pare» disse Florence. «Deve averla letta più volte.»
Il sorriso di Fischer era mesto. «Come diceva dianzi il dottore… conosci il tuo avversario.»
«Era alto o basso?» domandò Barrett.
«Alto. Più di un metro e ottanta. Lo chiamavano Il Gigante Ruggente, tante volte.»
Barrett annuì. «Che studi ha fatto?»
«Ha studiato a Nuova York, Londra, Berlino, Parigi, e Vienna. Ma senza mai seguire corsi regolari. Un po’ di tutto: filosofia, religione, scienze morali, soprattutto logica.»
«Già! per razionalizzare le sue azioni, suppongo» disse Barrett. «Il denaro lo ha ereditato da suo padre, vero?»
«Sì, la maggior parte. Ma anche sua madre gli lasciò qualche migliaio di sterline. L’eredità paterna consisteva in dieci milioni e mezzo di dollari, accumulati vendendo fucili e mitragliatrici e cannoni.»
«Ciò può avergli procurato un senso di colpa» disse Florence.
«Belasco non provò mai nulla del genere, in vita sua.»
«Il che conferma la sua aberrazione mentale» asserì Barrett.
«La sua mente sarà stata aberrante, ma era anche molto acuta» disse Fischer. «Apprendeva con facilità qualsiasi materia si mettesse a studiare. Parlava e leggeva una dozzina di lingue. Era versato in scienze naturali e filosofia metafisica. Aveva studiato la storia di tutte le religioni, la cabala, la dottrina di Rosacroce, gli antichissimi misteri iniziatici. La sua mente era un archivio in cui migliaia di nozioni erano catalogate, era una centrale di energia.» Fece una pausa. «Era un ossario di fantasie.»
«Ha mai amato nessuno in vita sua?» domandò Florence.
«Non credeva nell’amore» rispose Fischer. «Credeva nella volontà. “Quella rara vis viva dell’io, quella forza magnetica, quell’arcano potere della mente che si chiama: influenza.” Sono parole di Emeric Belasco, pronunciate nel 1913.»
«Che cosa intendeva per influenza?» domandò Barrett.
«Il potere di una mente in grado di dominare l’altrui volontà» rispose Fischer. «Il dominio esercitato da un essere umano su un altro. Indubbiamente possedeva virtù ipnotiche del tipo di quelle possedute da Cagliostro e Rasputin. Cito di nuovo: “Nessuno mai gli si faceva troppo accosto, per paura di venir sopraffatto e inghiottito dalla sua prepotente presenza”. Sono ancora parole della seconda moglie.»
«Ha avuto figli, Belasco?» domandò Florence.
«Un figlio, dicono. Ma nessuno lo sa con certezza, però.»
«Questa casa, ci ha detto, è stata costruita nel 1919» disse Barrett. «La corruzione è cominciata subito?»
«No, dapprima era innocente. Vi si davano pranzi e serate per l’alta società. Eleganti veglioni si svolgevano nella sala da ballo. Veniva gente da ogni parte del mondo per trascorrere un week end fra queste mure. Belasco era un ospite perfetto: sofisticato, affascinante. Poi…» Sollevò la mano destra, con l’indice e il medio accavallati. «Poi, nel 1920, si osò… un peu, come diceva lui: appena un’ombra di débauche, una spruzzatina di sensualità. Quindi, a poco a poco, la sensualità qui fu di casa. Dapprima nei discorsi, poi nei fatti. Si cominciò con qualche intrigo. Qualche tresca. Trame salottiere. E il vino scorreva a fiumi. E ben presto le alcove ne videro delle belle. Tutto fu opera di Belasco e della sua “influenza”. Insomma, per usare le sue stesse parole, egli volle ricreare in questa magione qualcosa di simile all’atmosfera delle corti europee del Settecento. Sarebbe troppo lungo riferire, nei dettagli, quello che fece. Comunque, tutto veniva organizzato con molta abilità e finezza.»
«Presumo che tutto ciò sfociava, in primo luogo, nella più sfrenata licenza sessuale» disse Barrett.
Fischer annuì. «Belasco fondò un club che chiamò Les Aphrodites. Ogni sera — e in seguito anche tre volte al giorno — si tenevano riunioni. Belasco li chiamava “simposi”. Dopo essersi imbottiti di droghe afrodisiache, si sedevano intorno al tavolo, nel salone, e parlavano di cose sessuali, finché tutti raggiungevano uno stato che Belasco definiva di “lubricità”. E a questo punto cominciava l’orgia. Ma non ci si limitava alla sfera del sesso. Si eccedeva in tutto. Gli eccessi erano di varia natura. La gola si trasformò in crapula. Il bere divenne ubriachezza. Aumentavano le dosi di droga. E via via che le perversioni fisiche si moltiplicavano, anche le perversioni mentali si facevano più gravi.»
«In che modo?» chiese Barrett.
«Immagini venti o trenta persone prive di freni inibitorii l’una verso l’altra, incoraggiate a dar retta ai propri istinti, gli uni spinti a fare agli altri ciò che più gli piacesse, senza alcun limite, senza alcuna remora morale. Chi più ne pensa, più ne fa. E così le menti si aprono, le fantasie si sfrenano, l’orizzonte dell’immaginazione si allarga — o si fa angusto, come preferite — ed essi mettono a nudo se stessi, le loro vite. La gente qui si tratteneva mesi, anni. Questa casa divenne la loro dimora, la loro vita. Una vita che di giorno in giorno si faceva un po’ più folle e morbosa. Isolati com’erano dalla normale società, la ristretta società di questa casa divenne la norma. La débauche divenne la norma. Ubbidire all’istinto divenne normale. E ben presto la brutalità e il carnaio divennero la norma.»
«Ma come potevano svolgersi, qui, tutti questi… baccanali senza provocare ripercussioni?» domandò Barrett. «Qualcuno avrà pure parlato, saranno corse voci. Possibile che nessuno abbia fatto rivelazioni su Belasco?»
«Questa casa è isolata. Veramente isolata. Non c’era collegamento telefonico con l’esterno. Ma, quel che più conta, nessuno osava metter di mezzo Belasco, implicarlo. Avevano troppo paura di lui. Magari, di tanto in tanto, qualche detective privato veniva a ficcare il naso. Ma non trovarono mai niente. Pare che tutti si comportassero ineccepibilmente quando c’era qualche estraneo. Insomma, non risultò mai niente: nessuna prova. E d’altronde Belasco era in grado di comprare il silenzio di chiunque.»
«E per tutto quel tempo la gente seguitò a frequentare questa casa?» domandò Barrett, incredulo.
«A battaglioni» disse Fischer. «Dopo un certo tempo, Belasco si stufò di avere intorno soltanto peccatori di un certo genere, e allora cominciò a girare pel mondo alla ricerca di nuove reclute, soprattutto giovani di talento creativo, che invitava a visitare il suo “ritiro artistico”, per scrivere o comporre musica, dipingere o meditare. Una volta che li aveva sottomano esercitava su di loro la sua… “influenza”.»
«Il più vile dei peccati,» disse Florence «corruzione di innocenti.» Guardò Fischer con aria quasi implorante. «Ma non c’era dunque in quell’uomo neppure un’ombra di pudore?»