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ore 13.58

La “cabina” era stata costruita in un angolo del salone, quello a nord. Consisteva in una trave di legno lunga circa tre metri, da cui pendevano due pesanti tende verdi, che formavano uno spazio chiuso triangolare, lì sullo spigolo, alto poco più di due metri. Dentro la “cabina” c’era una poltrona di legno dallo schienale rigido.

Barrett scostò un tantino le due tende, producendo fra loro una stretta apertura. Chiese a Fischer di portargli un tavolinetto. Lo piazzò davanti all’apertura e ci mise sopra un piccolo tamburo, una chitarra, una campanella, un pezzo di corda. Guardò la cabina, con aria di approvazione, per qualche momento, poi si volse verso gli altri.

I tre stettero a guardarlo mentre lui frugava nello stipo di legno da cui aveva tirato fuori la corda, la campanella, la chitarra e il tamburo. Ne tirò fuori un paio di calzoni neri e una giubba dalle maniche lunghe pure nera, che porse a Florence. «Credo che le andrà bene» disse.

Florence lo guardò fisso. «Non ha niente in contrario, no?»

«Be’…»

«Lo sa che così si usa, di solito.»

«Sì, lo so, ma…» Florence esitò. Poi disse: «È per precauzione contro eventuali frodi». «In primo luogo, sì.»

Il sorriso di Florence era impacciato. «Non penserà mica che io mediti qualche frode, in un campo che è per me del tutto nuovo? Fino a ieri non sapevo neppure di possedere virtù medianiche di questo tipo!»

«Non c’entra, questo, Miss Tanner. Ma io debbo soltanto attenermi ad alcune norme. In caso contrario, l’esito della seduta sarebbe scientificamente inaccettabile.»

Alla fine ella sospirò. «E va bene.» Prese i pantaloni e la giubba, si guardò intorno, poi entrò nella cabina per cambiarsi, richiudendo la tenda dietro di sé.

Barrett si rivolse a Edith : «Per favore, cara, vai tu a controllare». Dallo stipo tirò fuori un gomitolo di filo nero con un ago infilato, e glielo porse.

Edith si avvicinò alla cabina. Aveva un’aria afflitta. Non le era mai andata a genio quella mansione, anche se non aveva mai osato dirlo a Lione. Indugiò, si schiari la gola. «Posso entrare?» disse poi.

La risposta di Florence si fece attendere un minuto. «Sì.»

Edith sollevò un lembo della tenda, entrò nella cabina.

Florence si era tolta gonna e maglione e stava sfilandosi la sottoveste. La ripiegò sulla spalliera della poltrona. Si contorse un poco per slacciare il reggiseno Edith, scansandosi, disse: «Mi dispiace, lo so che è…».

«Non stia a sentirsi in imbarazzo,» disse Florence. «Suo marito ha ragione. È così che si usa.»

Edith annuì, senza toglierle gli occhi dal viso. Florence mise il reggiseno sulla spalliera. Edith abbassò gli occhi. L’altra si stava togliendo le mutande. Da non credere, quanto erano piene le sue tette, e ben sode. Si raddrizzò. «Ecco fatto» disse. Edith rialzò gli occhi. Notò che la medium aveva la pelle d’oca, sulle braccia.

«Ci sbrighiamo subito, poi potrà rivestirsi» disse. «La bocca, per favore.»

Florence aprì la bocca. Edith ci guardò dentro. Si sentiva ridicola. «Be’, ammenoché non abbia un dente cavo o qualcosa del genere…»

Florence richiuse la bocca e sorrise. «È solo una formalità tecnica. Suo marito lo sa che non nascondo nulla.»

Edith annuì. «I capelli.»

Florence sollevò le braccia per sciogliersi i capelli. Compiendo questo movimento il suo seno, con i duri capezzoli, sfiorò il braccio di Edith. Questa si ritrasse. Guardò le trecce di capelli rossi sciogliersi, piovere sulle nivee spalle di Florence. Non aveva mai visto una donna così bella.

«Avanti» disse Florence.

Edith passò le dita fra quei folti capelli. Erano soffici come seta, tiepidi al tatto. Il profumo della medium la pervase. Balenciaga, pensò. Trasse un profondo sospiro. Sentiva il seno di Florence premere contro il suo. Avrebbe voluto farsi più indietro ma non poteva. Incontrò lo sguardo di quegli occhi verdi e abbassò i suoi. Le rigirò la testa, guardò dentro le orecchie. Non le guarderò su pel naso, pensò. Impacciata, abbassò le mani. «Le ascelle, ora» disse.

Florence alzò le braccia e di nuovo i suoi seni si adersero. Edith si scostò e osservò le ascelle, depilate. Annuì brevemente e Florence abbassò le braccia. Edith sentì il cuore palpitarle. Lì dentro quella cabina l’aria si era fatta pesante. Guardò Florence, senza gioia. Era come se, tutt’e due, si fossero fermate in tempo. Lo sguardo di Edith tornò a posarsi sul seno della medium e provò una stretta. È ridicolo, pensò. Di nuovo annuì. Florence attendeva. No, pensò Edith, basta così. Gli dirò che ho guardato dappertutto, ma per me basta così. È ovvio che non ha nessuna intenzione di commettere frodi.

La medium si sedette sulla sedia, rabbrividendo lievemente a quel freddo contatto. Guardò su, aspettando. No, pensò Edith, gli dirò che ho guardato dappertutto ma…

Florence allargò le gambe.

Edith osservava il corpo della medium: i pesanti turgidi seni, la curva della pancia, il latteo biancore e la pienezza delle cosce, il ciuffo di peli ramati fra le gambe allargate. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Si sentiva un languore nel petto.

Guardò su, e compì un movimento brusco con la testa che il collo quasi le si slogò.

«Che cosa c’è?» domandò Florence.

Edith inghiottì, guardando in alto, oltre il travicello. Ma vedeva solo un po’ di soffitto. «Che c’è?» chiese ancora la medium.

Edith scosse la testa. «Niente. Credo che basti così…» Fece un gesto, con la mano che le tremava, e uscì dalla cabina.

Fece un cenno col capo a Lionel e andò verso il caminetto. Lo sapeva di aver un’aria stralunata, ma sperava che lui non le chiedesse perché.

Guardò ardere la fiamma. Aveva qualcosa in mano. Guardò: il gomitolo di filo! Ora doveva tornare là dentro a portarglielo. Chiuse gli occhi. Il collo le doleva ancora per quel brusco movimento. Ma aveva realmente visto qualcosa? No, no, non c’era nessuno. Eppure l’avrebbe giurato, che qualcuno stesse guardando dentro la cabina.

Guardando lei.

ore 14.19

«Troppo stretto?» chiese Barrett.

«No, va bene» rispose Florence, calma.

Barrett terminò di legarle i guanti intorno ai polsi. Intanto, di sopra la sua spalla, Florence guardava Edith, che sedeva presso il tavolo con sopra gli strumenti, tenendo il gatto in grembo.

«Ora appoggi le palme delle mani su quelle due placche che vede sulla sedia» disse Barrett a Florence. Ai guanti che le aveva testé legati erano applicati due dischetti di metallo. Quando Florence li fece aderire a quelli avvitati sui braccioli della poltrona, un paio di lampadinette si accesero sul tavolo degli strumenti.

«Finché le sue mani resteranno al loro posto quelle lampadine resteranno accese» Barrett le disse. «Ora tolga il contatto…»

Ella sollevò le mani e le lampadine si spensero.

Allora Barrett srotolò del filo per un analogo collegamento con i piedi. Florence l’osservava, e intanto si sentiva disturbata per il modo come Edith aveva guardato su, dianzi, laddove lei non aveva avvertito nulla.

«E questi affari qui sono collegati alle stesse lampadine?» domandò la medium.

«A due altre.»

«Ma non si fa troppa luce, così?»

«Fra tutte e quattro fanno meno di dieci watt» lui le rispose, seguitando la sua opera.

«Ma io sono abituata a lavorare al buio completo.»

«Non posso accettare l’oscurità come una condizione per il test.» Barrett guardò su. «Vuole ora provare se funziona?»

Florence posò le suole delle scarpe, munite di dischetti metallici, su analoghe placche che Barrett aveva fissato al pavimento. Sul tavolo si accesero altre due lampadinette. Barrett si alzò, con una smorfia. «Non si preoccupi» disse. «Ci sarà appena quel po’ di luce indispensabile alle osservazioni scientifiche.»