Выбрать главу

Smise di dibattersi. La sagoma divenne sfocata, poi svanì. Barrett si adagiò sul fondo. I suoi occhi non distinguevano più nulla. Nella profondità della caverna ch’era la sua mente un barlume di coscienza tremolava ancora e una voce angosciata chiamò: «Edith!».

Poi tutto fu inghiottito dalle tenebre, come se un nero sudario lo avesse avvolto.

ore 14.16

La mano sinistra di Edith si sollevò di scatto. La fede nuziale le si era sfilata dal dito. Spalancò gli occhi. La camera era immersa nel buio. «Lionel…»

La porta era aperta. Il corridoio era buio, anch’esso. Qualcuno entrò. «Sei tu, Lionel?»

«Sì.»

Si sollevò a sedere, annebbiata. «Cos’è successo?»

«Niente di preoccupante. S’è guastato il generatore.»

«Oh no.» Non riusciva a distinguere nulla nell’oscurità.

«Non importa» disse Lionel.

Edith udì i suoi passi avvicinarsi e il letto imbarcarsi sotto il suo peso. Allungò una mano verso di lui. «Sei sicuro che tutto vada bene?»

«Ma sì, sicuro.» L’uomo le accarezzò i capelli. «Non aver paura. Anzi, perché non ne approfittiamo?»

«Di che cosa?» Cercò nel buio, tentoni.

«È tanto tempo che non stiamo insieme.» La mano di Lionel le accarezzò una guancia. «E tu ne hai bisogno.»

Ella emise un mugolio interrogativo. La mano di lui le scese sul seno e cominciò a strizzarglielo. «No, Lionel, no» lei disse.

«Perché no?» chiese lui. «Non vado bene, io per te?»

«Ma che cosa…»

«Fischer ti va bene» lui l’interruppe. «Anche Florence ti andava bene.» Le sue dita le strizzavano un seno fino a farle male. «Su, fa’ godere il tuo vecchio marito, adesso, un po’.»

Edith tentò di allontanare da sé quella mano. Il suo cuore aveva accelerato i battiti. «No» mormorò.

«Sì» disse lui. La mano discese rapida e risalì su, sotto la gonna, fra le sue cosce. «Sì, invece, puttanella, lesbica, sì.»

Le luci si accesero.

Edith gettò un grido. La mano abbandonò la presa, si ritrasse. Era esangue, amputata all’altezza del polso, e fluttuava adesso sopra il suo petto, tracciando gesti nell’aria davanti ai suoi occhi esterrefatti, con pezzetti di vene e tendini che penzolavano. Edith si rattrappì contro la testiera del letto. La mano si posò di nuovo sul suo seno, strizzandole un capezzolo fra il pollice e l’indice. Ella gettò un urlo stridulo, cercò di staccarsela di dosso. La mano balzò su come un ragno e le serrò il viso fra le dita, fredda, col suo odore di tomba. Un urlo pazzo le uscì dalla gola. La mano grigiastra si ritrasse. Edith sollevò le gambe, si mise a tirar calci forsennati contro la mano. Questa si sollevò in alto e si mise a tracciar gesti agitando le dita nell’aria, rapidamente, selvaggiamente.

Poi si buttò in picchiata e scomparve fra le coperte. L’imbottita cominciò a rigonfiarsi, come un pallone. Ansimando, Edith saltò giù dal letto. Corse verso la porta, incespicando. L’imbottita volò in alto. A un tratto Edith si trovò circondata da una nuvola di tarme. Annaspando con le braccia per scacciare quegli insetti, procedeva alla cieca. Le tarme l’avvolsero completamente, le loro elitre le battevano sul viso, le si impigliavano fra i capelli. Fece per urlare, ma la bocca le si riempì di tarme. Le sputò fuori, con schifo e raccapriccio, serrò le labbra. Le tarme le entravano negli orecchi. Le loro alucce polverose battevano frenetiche contro i suoi occhi. Ricoprendosi il viso con le mani, andò a sbattere contro il tavolino ottagonale e cadde.

Le tarme scomparvero. Edith picchiò le ginocchia sul pavimento, si aggrappò all’orlo del tavolo per rialzarsi, il tavolo cadde con un tonfo, alcune pagine del manoscritto di Lionel si sparpagliarono sul tappeto. I fogli presero a svolazzare davanti a lei. Edith faceva per afferrarli ma i fogli si laceravano da sé, riducendosi in piccoli brandelli. E questi mulinavano nell’aria come una tormenta di neve a grosse falde. Edith si trasse indietro, a quattro zampe sul pavimento. Un uomo scoppiò a ridere. Ella si guardò intorno, atterrita. «Lionel» chiamò. «Lionel.» Udì la propria voce ritornarle come un’eco. «No» implorò. E l’eco: «No». Edith emise un lamento. E il suo lamento le tornò alle orecchie, ripetuto. Allora scoppiò a piangere, e l’eco pianse come lei. Con la forza della disperazione, si alzò in piedi e corse alla porta, l’aprì, ma qui arretrò con un urlo strozzato.

C’era Florence sulla soglia. Era nuda e la guardava fisso. Il sangue le colava giù per le cosce. Edith gridò. Si sentì avviluppare dalle tenebre e venir meno.

Una scossa elettrica percorse il suo corpo, ed essa si risollevò di scatto. La tenebra si dissipò. Si rese conto che non le era stato consentito di svenire. Si avventò oltre la soglia, che adesso era sgombra. Corse pel corridoio, verso lo scalone. L’aria era caliginosa. Si sentiva la puzza dello stagno. Una figura le sbarrò la strada. Edith si arrestò. Era una donna con una tunica bianca indosso. Era bagnata zuppa e i capelli le scendevano grondanti, appiccicati al viso terreo. Teneva qualcosa in braccio. Edith guardò… un mostruoso neonato. E udì una voce dentro di sé gridare: la Palude dei Bastardi! Indietreggiò, emettendo suoni inarticolati, come un animale pazzo.

Qualcosa la colpì alla schiena, le fece fare una giravolta. Per non cadere dovette gettarsi in avanti e correre a perdifiato. Ma non in direzione dello scalone! Tentò di fermarsi ma non riusciva a controllare i propri muscoli. Urlò. Florence la stava inseguendo. Sentì le braccia gelide cingerla per le spalle, e le labbra morte baciarla sulla bocca. Ella si divincolò, pazza di terrore, tentando di sciogliersi da quell’orrendo abbraccio.

Florence d’incanto scomparve. Edith allora, perduto l’equilibrio, cadde in ginocchio. «Lionel!» chiamò. E una voce beffarda le rispose: «Lionel!». Un vento gelido passò su di lei, agitandole le vesti, arruffandole i capelli. Cercò di tirarsi in piedi. Qualcosa di freddo e umido le si posò sul collo. Gettò un grido. Denti aguzzi le mordevano, affondando nella carne. Portò le mani dietro la nuca, ma senza incontrare niente di concreto. Una fetida bava le colava sulla pelle, sotto il segno profondo lasciato dai denti. «Lionel!» invocò, angosciata.

«Eccomi!» lui rispose. Edith volse la testa di scatto. Lo vide correre verso di lei pel corridoio! Si alzò e corse verso di lui. Si gettò fra le sue braccia. Ma poi diede un balzo indietro e guardò l’uomo a cui stava avvinta. Era suo padre. Questi aveva un’espressione ebete sul volto. Le labbra dischiuse, la lingua penzoloni, cerchi rossi intorno agli occhi, la fissava con gioia imbecille. E l’attirava a sé. E dalla gola gli usciva un verso animalesco. Edith si divincolò da lui. Fece per scappare ma qualcosa la urtò. Perdette l’equilibrio, andò a sbattere contro la balaustra prospiciente il vestibolo. Si aggrappò a essa, piangendo di dolore. Suo padre avanzò verso di lei, stringendo fra le mani il suo membro virile, ch’era enorme. Ella allora scavalcò la balaustra, pronta a gettarsi di sotto, sfracellarsi, ma sfuggire a quell’orrore.

Due mani robuste l’afferrarono, la trattennero. Edith si volse, inorridita. Era Lionel che la sorreggeva. Ella lo fissò, rifiutandosi di credere. «Edith! sono io!» Il timbro familiare della voce la rassicurò. Si appoggiò a lui, singhiozzando. «Portami fuori di qui» l’implorò.

«Subito» lui rispose. Cingendole le spalle con un braccio la condusse verso la cima delle scale. Ella si accorse allora che non zoppicava più. «No» gemette. «Va tutto bene» le disse lui. E cominciò a discendere le scale, insieme a lei. Edith cercò di liberarsi. «Ma sono io» lui disse. Ella si mise a singhiozzare. Ma lui non la lasciava. Una risata cavernosa risuonò. Altre risate fecero eco. Edith vide della gente raccolta ai piedi dello scalone. Si volse verso Lionel, ma non era più lui. Era bensì una mostruosa caricatura di Lioneclass="underline" ogni tratto del suo volto esageratamente accentuato. E anche la sua voce era caricaturale, e le ripeteva: «Ma sono io! Ma sono io!».