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La casa apparve fra la nebbia, innanzi a lui, di nuovo, Fischer si fermò, la guardò. Ma c’era, poi, una qualche soluzione del suo mistero? Chissà! Ma se non ci riusciva lui a trovarla, non ci sarebbe riuscito nessuno. Di questo era sicuro.

Salì i gradini del portico. La porta era socchiusa, come l’aveva lasciata quando aveva portato il cadavere di Barrett nell’auto. Esitò a lungo… Sapeva bene che, varcando quella soglia, andava incontro, irrevocabilmente, al suo destino.

«Al diavolo.» Cos’altro s’aspettava dal destino, in fin dei conti? Entrò, richiuse la porta.

Andò al telefono. Sollevò il ricevitore. L’apparecchio era isolato. Ma che cosa ti credevi? si chiese. Lasciò cadere il ricevitore sul tavolo. Era del tutto tagliato fuori dal mondo, adesso. Si guardò intorno.

Attraversando il vestibolo ebbe, netta, l’impressione che la casa lo stesse inghiottendo vivo.

ore 18.29

Fischer sedeva al tavolo rotondo, nel salone, e stava mangiando un panino, bevendo un caffè. Edith gli aveva portato delle provviste e se n’era tornata via, senza scambiare una sola parola con lui. È pazzesco, si disse Fischer. Se lo veniva ripetendo da più di un’ora, come un ritornello.

L’atmosfera, nella Casa d’Inferno, era assolutamente calma, inerte.

Non c’era stato neanche bisogno d’aprirsi, per accorgersene. Se ne era reso conto subito, facendo un giro per le varie stanze. Al piano di sopra, era entrato in tutte le camere, anche quelle in disuso. Se ci fosse stato alcunché nell’aria, lui l’avrebbe captato: una qualsiasi presenza. Invece, niente. Non c’era proprio nulla. Era incredibile, assurdo. E allora, che cos’è che aveva accoppato Barrett? Che cos’è che aveva quasi ucciso Edith? Lui aveva distintamente sentito una presenza misteriosa, quando era corso al salvataggio della signora Barrett giù negli scantinati. Ma adesso non c’era più niente. La casa era pulita, sgombra, come subito dopo l’azione del Reversore. E non si trattava d’un trucco: di questo ne era certo. Quando si era aperto per la prima volta, il giorno avanti, si era accorto che c’era qualcosa in agguato nella casa. Ne aveva sottovalutato il potere e l’astuzia, ma che ci fosse, se n’era accorto subito.

Adesso invece non c’era.

Fischer guardò in terra. Uno dei galvanometri di Barrett giaceva presso il suo piede: si era spaccato, ne erano usciti fili e molle e rocchetti, come le interiora di un animale sventrato. Guardò gli altri strumenti che giacevano fracassati sul tappeto, poi il suo sguardo si posò sul Reversore, indugiò sulle sue ammaccature. Una forza immane aveva devastato la stanza, devastato gli strumenti, distrutto Barrett.

Ma, poi, dov’era andata a finire?

Sospirò. Mise i piedi sul tavolo e inclinò la sedia all’indietro. E adesso? Pensò. Era tornato per muover guerra… e il nemico non c’era. Non solo non sapeva da che parte cominciare, ma non c’era neanche niente da dover cominciare.

Aveva perlustrato tutte le stanze a pianterreno. Nella sala da pranzo si era soffermato, per una ventina di minuti, a osservare lo sfacelo (il tavolo incastrato nella cappa del camino, il lampadario a terra, le sedie rovesciate, cocci dappertutto, la caffettiera e i vassoi e l’argenteria disseminati ovunque, i resti del cibo, le chiazze, le imbrattature…). E aveva riflettuto. Chi dei due avrà avuto ragione? Barrett a dire che l’attacco era stato scatenato da Florence Tanner? o quest’ultima a darne la colpa a Daniel Belasco?

Non c’era modo di saperlo. Poi Fischer era passato in cucina e di qui nella sala da ballo. Che cosa aveva messo in moto il lampadario? Radiazioni elettromagnetiche o ombre di trapassati?

Nella cappella. Florence era stata posseduta da Daniel Belasco? o da una follia suicida?

Quindi era andato nel garage, nel teatro, in cantina, nel locale della doccia, nel bagno turco. Che cosa aveva assalito Barrett, lì dentro? Un’energia cieca oppure Belasco in persona?

Nella cantina. Lì era rimasto per qualche minuto, fissando la nicchia nel muro. Niente: il vuoto.

Ma dov’era occultata, allora, l’energia occulta?

Fischer raccolse il registratore a nastro e lo rimise sul tavolo. Ne inserì la spina nella presa di corrente e trovò, con sua sorpresa, che funzionava ancora. Allora fece girare la bobina all’inverso poi schiacciò il pulsante dell’ascolto.

Si udì la voce di Barrett. «Attenzione!» Poi si udirono dei fruscii. Si udì un respiro affannoso: il suo? Poi Barrett che diceva: «Miss Tanner sta prematuramente uscendo di trance. Un intoppo imprevisto ha determinato un trauma nervoso in lei». Qui la registrazione terminava.

Fischer fece tornare il nastro ancora più indietro e lo ripassò. Si udì la voce di Barrett: «Materia teleplastica va formandosi intorno alla parte inferiore del viso della medium». Fischer ricordò quella specie di nebbia che aveva avvolto la testa e le spalle della medium. Ma perché Florence si era d’un tratto tramutata in una medium fisica? Questo interrogativo non gli dava requie. Intanto si udiva la voce di Barrett: «Respirazione della medium adesso 210. Dinamometro 1460. Temperatura…». Qui c’era un’interruzione. Fischer ricordò che Edith s’era impaurita. Dopo un silenzio, Barrett: «Ozono presente nell’aria».

Fischer fermò la bobina, la fece tornare ancora indietro. Cosa poteva sperare mai di apprendere? Quell’esperimento non era approdato a nulla. Era servito solo a confermare Florence nelle sue idee e Barrett nelle sue. Fermò là marcia indietro della bobina. Schiacciò il pulsante dell’ascolto. Udì: «Presenti: dottor Barrett e signora…». Spense e fece scorrere la bobina in retromarcia anche più oltre.

Rimise il registratore in azione e si udì la voce isterica di Florence (ma una voce diversa dalla sua abituale) gridare: «… non riesco a trattenermi. Non vorrei farvi del male, ma devo. Devo!» Un breve silenzio. Poi, la stessa voce piena di veleno: «Vi avverto. Uscite da questa casa prima che vi ammazzi tutti!».

Seguivano dei colpi battuti sul tavolo. E la voce di Edith, spaventata: «Che cos’è questo?».

Fischer tornò indietro e riascoltò la voce minacciosa. Era quella di Daniel Belasco? La riascoltò cinque volte, ma senza ricavarne nulla. Forse Barrett aveva ragione nel ritenere che fosse stato il subconscio di Florence a creare quella voce.

Fischer, borbottando fra sé un’imprecazione, fece scorrere ancora più indietro la bobina. Schiacciò il pulsante. La voce imperiosa di Nuvola Rossa risuonò: «Via. Fuori da questa casa». Ma era realmente esistita un’entità come Nuvola Rossa oppure si trattava di una finzione di Florence? Fischer scosse la testa. Si udì una specie di grugnito. E la voce registrata riprese: «Non ubbidisce. Qui da troppo tempo. Non ascolta. Non capisce. Troppo malato qui dentro». Fischer sorrise fra sé, suo malgrado. Non poteva mica passare per la vera voce di un vero pellerossa, quella. E diceva: «Limiti. Nazioni. Confini. Non capisco cosa questo vuol dire. Estremi e confini. Termini ed estremità». Una pausa. «Non so.»

«Merda» disse Fischer, a mezza voce, fermando l’apparecchio. Invertì la marcia della bobina, ancora più indietro. E riascoltò: «Nuvola Rossa donna Tanner guida». Era la voce contraffatta di Florence. «Guida altro medium questa parte qua.»

Riascoltò tutta quanta la registrazione: la voce cavernosa dell’indiano; la descrizione del troglodita; l’arrivo del “giovane uomo”; la voce isterica che li minacciava; i colpi furiosi.

Quindi riascoltò tutta quanta la registrazione della seconda seduta spiritica, avvenuta il giorno successivo: l’inno intonato da Florence; i gemiti sommessi, il respiro affannoso; la voce impersonale di Barrett che dava lettura dei vari manometri, che descrìveva le manifestazioni ectoplastiche; le risate; il grido di Edith.