«Insegna sempre fisica?» domandò.
«Saltuariamente, per ragioni di salute.» Barrett esitò, poi riprese: «Ho avuto la polio a dodici anni. La mia gamba destra è semiparalizzata».
Fischer lo scrutava in silenzio. Barrett estrasse un altro strumento dalla sua custodia e lo pulì. Lo depose sul tavolo, e guardò Fischer. «Ma non disturberà il nostro lavoro, in alcun modo» disse.
Fischer annuì.
Barrett tornò ad armeggiare con i suoi aggeggi. «Quello stagno ha un nome curioso. Come mai è chiamata così, la Palude dei Bastardi?»
«Tante volte succedeva che una donna, ospite di Belasco, restasse incinta.»
«E allora loro?…» Barrett s’interruppe, e guardò su.
«Tredici volte.»
«Che orrore» disse Edith.
Fischer soffiò via il fumo. «Un sacco di cose orrende sono accadute qui» disse.
Barrett osservò a uno a uno gli strumenti allineati sul tavolo: galvanometro astatico, galvanometro a specchio, elettrometro a quadrante, bilanciere, macchina fotografica, assorbitore di fumo, manometro, bilancetta, registratore a nastro. Restava ancora da tirar fuori: l’orologio a contatto, l’elettroscopio, l’oscilloscopio, l’igroscopio, le lampade (normale e a raggi infrarossi), i due termometri (massimo e minimo), lo stenometro, lo schermo fosforescente, la stufetta elettrica, una scatola di valvole e boccette, lo stipetto con le attrezzature minute, il materiale per il rilievo di impronte. Eppoi lo strumento più importante di tutti, Barrett pensò, con un moto di soddisfazione.
Stava tirando fuori delle lampadine, rosse gialle e bianche, quando Fischer gli chiese: «Come potrà adoprarle, quelle, se manca la corrente?».
«Ci sarà, da domani» disse Barrett. «Ho telefonato a Caribou Falls. A proposito, il telefono si trova vicino alla porta d’ingresso. In mattinata installeranno un nuovo generatore.»
«E lei pensa che funzionerà?»
Barrett trattenne un sorriso. «Funzionerà sì.»
Fischer non disse altro. Nel caminetto, un ceppo scricchiolò, emettendo scintille. Edith sobbalzò. Stava chinandosi su una delle cassette, la più grande.
«Non quella lì, è troppo pesante» le disse Barrett.
«Ci penso io» disse Fischer, alzandosi. Sollevò la cassetta e la depose sul tavolo. «Che cosa c’è, un’incudine?» domandò.
Barrett sentì lo sguardo curioso di Fischer, mentre apriva quella cassetta. «Le dispiace?…» domandò.
Fischer ne estrasse un massiccio apparecchio di metallo e lo depose sulla tavola. Era a forma di cubo, dipinto di blu, e sul davanti c’era un quadrante numerato da 0 a 900: un ago rosso indicava lo 0. Sopra, c’erano stampigliate queste parole, a caratteri neri : BARRETT — REM.
«REM?» domandò Fischer.
«Glielo spiegherò poi» disse Barrett.
«E questa è la sua macchina?»
Barrett scosse il capo. «La stanno ancora costruendo.»
Si volsero tutti verso l’ingresso, udendo un rumore di passi. Florence era entrata, con una candela in mano. Si era cambiata d’abito e indossava un maglione verde scuro dalle maniche lunghe, gonna di tweed, scarpe dal tacco basso. «Salve» disse allegramente.
Si avvicinò al tavolo e guardava quei congegni, sorridendo. Si rivolse a Fischer: «Le va di far due passi con me?».
«Perché no?»
Quando se ne furono andati, Edith vide un foglio dattiloscritto sul tavolo e lo prese. C’era scritto: «Fenomeni fisici osservati in Casa Belasco». E seguiva questo elenco:
Apparizioni. Sparizioni. Oggetti asportati. Oggetti spostati. Oggetti riportati. Disegni automatici. Scritture automatiche. Pitture automatiche. Voci automatiche. Autoscopia. Bilocazione. Fenomeni biologici. Spifferi d’aria. Catalessi. Fenomeni chimici. Chimicografie. Chiaraudienza. Chiaroveggenza. Chiaravvertenza. Comunicazioni extrasensorie. Fattucchierie. Demateralizzazioni. Voci dirette. Scritture dirette. Disegni diretti. Pitture dirette. Divinazioni. Sogni. Comunicazioni nel sogno. Profezie nel sogno. Ectoplasmi. Fenomeni elettrici. Allungamenti. Emanazioni. Esteriorizzazione di motricità. Esteriorizzazione di sensazioni. Percezioni extratemporali. Visioni extravisive. Scritture in facsimile. Chiaroveggenza mediante fiori. Fantasmi. Glossolalia. Iperamnesia. Iperestesia. Ideomorfi. Ideoplasmi. Impersonazioni. Impronte. Voci indipendenti. Interpretazione di materia inerte. Nodi. Levitazione. Fenomeni luminosi. Fenomeni magnetici. Materializzazioni. Metagrafologia. Ossessioni. Automatismo motorio. Paracinesi. Paramnesia. Parestesia. Percussione. Fantasmagorie. Folletti. Fuochi fatui. Indemoniamenti. Precognizioni. Presentimenti. Previsioni. Fotografia psichica. Suoni psichici. Rabdomanzia. Tattilità psichica. Brezze psichiche. Psicocinesi. Psicometria. Radiestesia. Radiografia. Bussi. Busse. Retrocognizione. Automatismo sensorio. Scrittura su pelle. Scotografia. Scritte su lavagne. Odori. Puzze. Fetori. Sonnambulismo. Stigmate. Telecinesi. Teleplasmi. Visione telescopica. Musiche trascendentali. Trasfigurazioni. Tiptologia. Voci. Zampilli d’acqua. Lingue estere.
Edith depose il foglio, cupa in volto. Mio Dio, pensò. Che cosa dobbiamo aspettarci in questa settimana?
ore 14.53
Nel garage c’era posto per sette automobili. Adesso era vuoto. Filtrava luce abbastanza dall’esterno, attraverso i vetri sudici della porta-finestra. Sicché Fischer spense la torcia. Osservò la nebbia verdognola che s’intravedeva fluttuare, e disse: «Forse è meglio che l’auto la mettiamo qui dentro».
Florence non rispose. Attraversò la stanza, e scuoteva la testa. Sul pavimento c’erano chiazze di grasso. La donna si soffermò presso una scansia polverosa e toccò un martello che vi si trovava, arrugginito.
«Cosa mi diceva?» domandò poi.
«Forse sarebbe meglio metterla qui dentro, l’automobile.»
Florence scosse il capo. «Se hanno manomesso un generatore, possono manomettere anche una macchina.»
Fischer guardò la medium aggirarsi qua e là nel garage. Quando gli passò vicino sentì il suo profumo di colonia. «Perché ha smesso di recitare?» domandò.
Florence lo guardò, con un fuggevole sorriso. «È una storia lunga, Ben. Quando ci saremo sistemati meglio, gliela racconterò con calma. Adesso, vorrei prima ambientarmi in questa casa.» Si soffermò in un punto dove spioveva un po’ di luce e chiuse gli occhi.
Fischer la guardava fisso. In quel tenue raggio di luce, la pelle eburnea e i capelli rosso-fiamma della medium le davano l’aspetto di una bambola di porcellana dipinta.
Dopo un po’ ella si riscosse. «Qui non c’è niente» disse. «Lei è d’accordo?»
«Io mi fido della sua parola.»
Uscirono dal garage e, per le scale interne, Fischer accese la torcia.
«Da che parte?» domandò Florence, quando furono per un corridoio.
«Non la conosco certo a menadito, questa casa. Ci sono rimasto solo tre giorni.»
«Esploriamola, allora» disse Florence. «Non c’è bisogno di…» Qui s’interruppe di colpo e si soffermò, reclinando la testa da un lato, come se avesse sentito un qualche rumore alle loro spalle. «Sì» bisbigliò. «Sì. Dolore. Sofferenza.» Si accigliò, scosse il capo. «No, no.» Dopo un poco sospirò e si rivolse a Fischer. «L’ha sentito anche lei.»
Fischer non rispose. Florence sorrise e distolse lo sguardo. «Vediamo un po’ che cos’altro riusciamo a trovare» disse poi.
«Ha letto quell’articolo di Barrett in cui lui paragona i medium, i “sensitivi”, ai contatori Geiger?» domandò la donna di lì a poco, mentre procedevano lungo il corridoio.
«No.»
«Non è un paragone malvagio. Noi sensitivi siamo simili ai contatori Geiger, in un certo senso. Quando siamo esposti a emanazioni psichiche, noi reagiamo. Certo, però, non siamo soltanto inerti strumenti. Siamo anche in grado di giudicare le impressioni che captiamo, e valutarle, non solo registrarle.»