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La strada in discesa accelerò ulteriormente la sua andatura. Quasi scivolò per fermarsi davanti alla casa della levatrice. Bussò energicamente e sentì la voce stupita e impaurita all’interno.

— Un parto! Alla fortezza! — urlò Lessa al ritmo dei pugni che pestava sulla porta.

— Un parto — sentì dire più adagio. I chiavistelli si mossero. — Alla fortezza?

— La dama di Fax. Corri, se ci tieni a vivere, perché se è un maschio diventerà il signore di Ruatha.

La donna avrebbe dovuto decidere questo, pensò Lessa. La porta si spalancò e comparve il padrone di casa. La levatrice raccolse in fretta le sue cose ammucchiandole nello scialle. Lessa le fece fretta e la guidò lungo la salita che conduceva alla fortezza, tirandola per un braccio quando quella, alla vista del drago, cercò di scappare. La trascinò nel cortile e la condusse a spintoni dentro la Sala.

La levatrice si bloccò sulla porta interna, atterrita dallo spettacolo che aveva davanti. Il nobile Fax era in piedi sul tavolo, intento a tagliarsi le unghie con il coltello, ridacchiando. I dragonieri mangiavano tranquillamente seduti a un tavolo, mentre i soldati di Fax si dividevano gli avanzi.

F’lar vide le due donne e indicò loro la parte interna della fortezza. La levatrice pareva inchiodata a terra e Lessa si sforzava inutilmente di farle attraversare la Sala. Con suo grande stupore il cavaliere di bronzo si diresse verso di loro.

— Presto, è un parto prematuro — disse preoccupato, con la fronte aggrottata. Accennò con un gesto imperioso in direzione della porta d’accesso alla parte interna della fortezza, quindi, nonostante le sue resistenze, afferrò la levatrice per una spalla e la trascinò fino ai gradini aiutato da Lessa.

Una volta arrivati alla scala la lasciò andare facendo segno a Lessa di accompagnarla a destinazione. Quando furono sulla massiccia porta interna, Lessa si rese conto che il dragoniere stava osservando la sua mano appoggiata alla spalla della levatrice. La guardò a sua volta, come se appartenesse a un’estranea: dita lunghe ed eleganti anche se sporche e con le unghie spezzate, una manina dalle ossa delicate, dai movimenti graziosi nonostante la forza della stretta. Si affrettò a levarla.

Dama Gemma era nel bel mezzo del travaglio, ma le cose non stavano procedendo bene. Al suo tentativo di andarsene dalla stanza, la levatrice guardò Lessa con uno sguardo talmente atterrito che questa decise, pur riottosamente, di restare. Le altre dame erano superflue, era evidente. Se ne stavano tutte da una parte del letto torcendosi le mani e lanciando gridolini e stridii. Furono Lessa e la levatrice a spogliare dama Gemma, stenderla per bene e stringerle le mani durante le contrazioni.

Il volto della partoriente aveva perduto ogni traccia di bellezza: era madido di sudore e la pelle aveva assunto un colore grigiastro. Dama Gemma faticava a respirare e si mordeva le labbra per non urlare.

— Non sta andando per niente bene — sussurrò la levatrice. — Ehi, tu, piantala di piagnucolare — ordinò a una dama. Aveva acquisito di colpo una grande sicurezza: l’importanza del suo ruolo le dava un potere momentaneo anche sulle dame d’alto rango. — Portami dell’acqua calda e passami quei panni. Cerca qualcosa di caldo per il bambino. Se è vivo, dovrà essere riparato dal freddo e dalla corrente d’aria.

Confortate da quelle parole autoritarie, le donne lasciarono da parte i lamenti e si misero a obbedire.

Se sopravvive. Quel pensiero riecheggiò nella mente di Lessa. Diventerà signore di Ruatha. Uno della stirpe di Fax? Non era stata sua intenzione, eppure…

Dama Gemma cercò alla cieca le mani di Lessa. Senza neanche rendersene conto la ragazza le diede tutto il conforto che era in suo potere comunicarle con una forte stretta.

— Sta perdendo troppo sangue — mormorò la levatrice. — Presto, altri panni.

Le donne riniziarono a lamentarsi, emettendo dei gridolini di paura e di protesta.

— Non avrebbe dovuto intraprendere un viaggio così lungo.

— Moriranno tutti e due.

— Oh! sta perdendo troppo sangue.

Troppo sangue pensò Lessa. Non ce l’ho con lei, e il bambino è prematuro. Morirà. Chinò il capo per guardare quel volto sfigurato, con il labbro inferiore sporco di sangue. Perché ha gridato, prima? Adesso non emette neppure un gemito. Si sentì invadere dalla collera. Per qualche incomprensibile motivo dama Gemma aveva intenzionalmente interrotto Fax e F’lar nel punto cruciale. Strinse le mani della donna tanto violentemente che quasi gliele stritolò.

Quel dolore improvviso riscosse dama Gemma da uno dei momenti di respiro tra le contrazioni, sempre più frequenti. Sbatté le palpebre per allontanare le gocce di sudore e cercò di mettere a fuoco il viso di Lessa.

— Cosa ti ho fatto di male? — ansimò.

— Cosa? Avevo quasi liberato Ruatha quando tu hai gridato in quel modo — spiegò Lessa piegando la testa per non farsi sentire neppure dalla levatrice. Era talmente adirata da dimenticare ogni cautela: ma non le importava, tanto quella donna era in punto di morte.

Dama Gemma spalancò gli occhi.

— Ma… il dragoniere… Fax non deve ucciderlo… sono così pochi i cavalieri di bronzo, e sono tutti necessari. E le vecchie storie… la stella… la stella… — Una contrazione violenta la interruppe. Affondò le dita ricoperte di anelli nelle mani di Lessa e le si aggrappò.

— Cosa vuoi dire? — domandò la giovane, a voce bassa e rauca.

Ma il dolore divenne tanto intenso che dama Gemma faticava persino a respirare. Sembrava che gli occhi le stessero per schizzare fuori dalle orbite.

Nonostante dominata dal sentimento della vendetta, l’istinto portò Lessa ad alleviare le estreme sofferenze della poveretta. Le sue ultime parole, però, continuavano a risuonarle nella mente. Allora il suo grido non intendeva proteggere Fax ma il dragoniere? La stella? Si riferiva alla Stella Rossa? Di quali vecchie storie parlava?

La levatrice aveva appoggiato le mani sul ventre di Gemma ed esercitava una certa pressione cantilenando dei consigli che la partoriente, distrutta dal male, non sentiva neanche. A un tratto ebbe un sussulto convulso e si sollevò sul letto. Mentre Lessa cercava di sorreggerla, dama Gemma aprì gli occhi in un’espressione di indicibile sollievo, quindi crollò tra le braccia di Lessa e rimase immobile.

— È morta — gridò una delle donne, uscendo dalla camera. La sua voce si ripercosse nei corridoi di roccia. — Morta… orta… orta… aaa… — Le altre dame presenti parevano di pietra.

Lessa stese sul letto il corpo di dama Gemma, intimorita dal sorriso di trionfo che le aleggiava sul volto. Si ritrasse, molto più colpita di tutte le altre presenti. Se fino a quel momento non aveva mai avuto alcuna esitazione a danneggiare Fax o a mandare in rovina Ruatha, adesso era in preda ai rimorsi. Il suo odio morboso le aveva fatto dimenticare che senz’altro non era l’unica a concepire tali sentimenti. Dama Gemma faceva parte di quelle persone e aveva sicuramente patito più umiliazioni di lei. E lei l’aveva odiata, mentre avrebbe dovuto rispettarla e aiutarla.

Scrollò il capo per allontanare da sé quel senso di tragedia e di repulsione per se stessa che rischiava di sopraffarla. Non c’era tempo per il rimpianto. Non in quel frangente. Non quando avrebbe potuto vendicare anche i torti subiti da dama Gemma oltre che i suoi uccidendo Fax.

E quello era il momento giusto. Il bambino… sì, il bambino. Gli avrebbe annunciato che era vivo e che era un maschio. Il dragoniere avrebbe dovuto battersi per forza: aveva sentito e testimoniato la promessa di Fax.

Un sorriso simile a quello che era apparso sul viso della morta comparve sulle labbra di Lessa mentre si dirigeva frettolosamente verso la sala.