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Stava già per entrarvi quando si rese conto che, prevedendo con la mente il trionfo, aveva perso del tutto il suo autocontrollo. Si fermò di colpo e respirò profondamente. Si incurvò e tornò a essere una scialba sguattera.

La donna che era fuggita dalla stanza urlando era ora accucciata ai piedi di Fax in preda ai singhiozzi.

Lessa digrignò i denti: il suo odio per Fax aumentò ancora quando vide la gioia che la morte di dama Gemma nel travaglio del parto gli arrecava. Stava già mandando a chiamare la favorita del momento, che, senz’ombra di dubbio, sarebbe diventata la nuova dama principale.

— Il bambino è vivo — urlò Lessa con la voce alterata per l’ira. — È un maschio.

Fax si alzò di scatto, allontanando con un calcio la donna che piangeva ai suoi piedi e fissò Lessa con una smorfia colma di rabbia.

— Cosa stai dicendo?

— Il bambino non è morto, ed è un maschio — ripeté. La rabbia e l’incredulità che si dipinsero sulla faccia di Fax furono per lei il migliore degli spettacoli. Gli uomini del Connestabile faticarono a trattenere il grido di esultanza.

— Ruatha ha un nuovo signore — ruggirono i draghi.

Ma Lessa era tanto felice di veder realizzarsi il suo piano che non si accorse neanche della reazione degli altri, neppure del ruggito dei draghi.

Fax scattò e balzò in avanti per opporsi a quella notizia. Prima che Lessa potesse mettersi al riparo le sferrò un pugno sul volto. Cadde all’indietro e rotolò sui gradini andando a finire sul pavimento di pietra. Pareva un fardello di cenci sporchi.

— Fermati, Fax! — la voce di F’lar tagliò il silenzio proprio mentre il Signore delle Terre Alte stava per prendere a calci quel corpo immobile.

Fax si girò su se stesso, appoggiando automaticamente la mano sull’impugnatura del coltello.

— Abbiamo sentito e testimoniato, Fax — gli ricordò il dragoniere, sollevando una mano — devi mantenere la tua promessa!

— Testimoniato? Chi, i dragonieri? — lo schernì Fax. — Le dragoniere, vorresti dire — sbuffò guardandoli tutti con disprezzo.

La fulmineità con cui il coltello comparve nella mano di F’lar lo colse alla sprovvista.

— Dragoniere? — domandò il cavaliere di bronzo con la bocca atteggiata a un sogghigno. Mentre avanzava verso Fax i lumi facevano scintillare la lama della sua arma.

— Donnette! Parassiti di Pern! Il dominio dei Weyr è finito per sempre. — Scese con un balzo i gradini preparandosi allo scatto.

I due contendenti non si accorsero neanche del tramestio che era sorto dietro di loro. In breve tempo le tavole furono spostate e venne creato lo spazio per il duello. F’lar non aveva il tempo di guardare neppure di sfuggita la sguattera accasciata a terra, ma l’istinto e anche qualcosa d’altro genere gli assicuravano che era proprio lei la fonte del potere. Se ne era accorto quando era entrata in sala e il ruggito dei draghi glielo aveva confermato. Se quella caduta l’avesse uccisa… Si avvicinò a Fax, spostandosi di lato per scansare la lama quando quello gli piombò addosso con una mossa violenta.

Non ebbe problemi a evitare quell’attacco: gli bastò calcolare la lunghezza delle braccia di Fax per comprendere di trovarsi in leggero vantaggio. Fax era abituato alla lotta corpo a corpo, mentre la sua esperienza nei duelli si era sempre fermata al primo graffio, nelle esercitazioni. F’lar decise di mantenere una certa distanza da quell’uomo tanto robusto, pericoloso per le sue stesse dimensioni. Avrebbe dovuto puntare sull’agilità, piuttosto che sulla forza.

Fax fece una finta, cercando di trovare i punti deboli dell’avversario. Si piegarono, si fronteggiarono a qualche metro di distanza, agitando i coltelli e protendendo in avanti la mano libera per agguantarsi.

Fax provò ad attaccare di nuovo. F’lar lo lasciò avvicinare in modo da poterlo schivare e contemporaneamente sferrargli un fendente. Sotto la punta del suo coltello la stoffa dei vestiti di Fax si lacerò. Ma Fax era più agile del previsto e F’lar dovette schivare un altro colpo mentre la sua giubba di pelle di wher veniva graffiata.

Si girarono intorno l’uno con l’altro, colmi di rabbia, cercando di cogliere in fallo l’avversario. Fax provò un assalto, sperando nella sua mole e bloccando F’lar, più leggero e agile, tra la parete e la piattaforma rialzata.

F’lar passò al contrattacco, piegandosi sotto il braccio avventato dell’altro e colpendolo al fianco. Ma venne tirato rabbiosamente da Fax e si ritrovò intrappolato contro di lui. Cercò disperatamente di tenergli alzato il braccio armato, sollevò il ginocchio e contemporaneamente si alzò per sfuggirgli. Riuscì a indietreggiare mentre l’avversario si lasciava scappare un gemito per l’improvviso dolore all’inguine. Si allontanò con agilità, ma il bruciore alla spalla destra gli fece sapere che non era uscito indenne da quella prima parte dello scontro.

Fax aveva il volto arrossato da una furia sanguinaria. Si doleva per il dolore e lo shock. Ma F’lar non riuscì ad approfittarne, perché l’altro, furibondo, lo caricò. Costretto a spostarsi di lato per schivare il corpo dell’avversario, si rifugiò dietro il tavolo della carne per verificare la profondità della ferita. Bruciava come se fosse stata inferta da un ferro arroventato e ogni movimento della spalla gli costava fatica, ma poteva ancora muovere il braccio.

All’improvviso, Fax gli scagliò addosso una manciata di ritagli di carne. F’lar riuscì a evitarla, ma Fax gli fu addosso. Spostatosi sul lato per istinto, vide la lama dell’altro balenare vicinissima al suo addome. Lo colpì con il coltello al braccio e quando si girarono per fronteggiarsi, notò che gli penzolava inerte lungo il fianco.

Fax vacillò e F’lar volle approfittarne, ma fu colpito da un calcio terribile. Rotolò lontano, piegato in due per il dolore, per evitare l’altro che lo stava caricando. Fax voleva saltargli addosso e inchiodarlo a terra per potergli infliggere il colpo decisivo, ma F’lar riuscì a rimettersi in piedi, faticando però a raddrizzarsi. E fu quello che lo salvò. Fax sbagliò la mira perdendo l’equilibrio e F’lar poté così colpirlo alla schiena, finché sentì il coltello bloccato dal pettorale.

Fax cadde a terra e la violenza della caduta fece fuoriuscire leggermente la lama insanguinata dalla schiena.

Un sottile gemito si insinuò in quello stordimento fatto di dolore e di sollievo. Le donne si stavano ammassando intorno all’entrata e una teneva tra le braccia una specie di fagotto. F’lar non riusciva bene a capire cosa stesse succedendo, sapeva soltanto che era indispensabile riacquistare la lucidità mentale.

Guardò il morto. Non era felice di averlo ucciso, era solo sollevato per essere ancora vivo. Si asciugò la fronte con la manica e si raddrizzò faticosamente: il fianco gli doleva e la spalla bruciava. Si avvicinò barcollando alla sguattera che era ancora accasciata a terra.

La voltò e vide il bruttissimo livido che si stava formando sulla guancia sotto la pelle sporca. Sentì F’nor assumere il comando della situazione.

Ancora tremante appoggiò una mano sul petto della donna per vedere se era viva. Il cuore batteva, adagio ma energicamente.

Gli sfuggì un profondo sospiro: la caduta avrebbe potuto essere fatale per lei… e anche per il destino di Pern, forse.

Il sollievo si mescolò ben presto al disgusto: quella donna era tanto sporca che non si riusciva neppure a capire che età potesse avere. La prese tra le braccia e la sentì tanto leggera da non pesare neanche a lui, stanco del combattimento. Sicuro che F’nor avrebbe controllato la situazione nel migliore dei modi, F’lar portò la sguattera nella sua camera.

La depose sul letto, quindi riattizzò il fuoco e alimentò la lampada appesa al capezzale. Il solo pensiero di dover toccare quei capelli sporchi e opachi gli diede la nausea; tuttavia li scostò delicatamente dal volto e fece girare la testa della donna da una parte e dall’altra. Aveva lineamenti fini e regolari. Il braccio libero dai cenci si rivelava abbastanza pulito e con la pelle liscia, ma segnato da lividi e vecchie cicatrici. Le mani incrostate dal sudiciume erano ben fatte e le ossa delicate.