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Potersi lavare! Potersi lavare per bene! Disgustata non meno del dragoniere, Lessa si tolse gli stracci e li gettò via con un calcio, non sapendo dove avrebbe potuto farli sparire. Prese una generosa manciata di sabbia dal sacchetto e la bagnò.

Si cosparse le mani e il volto pieno di lividi con quella morbida poltiglia, quindi inumidì dell’altra sabbia e si strofinò gli arti, infine il busto, e i piedi. Si lavò energicamente fino a che i tagli non del tutto guariti le si riaprirono e sanguinarono. Allora si buttò letteralmente nella vasca, gemendo quando l’acqua tiepida le fece schiumare la sabbia sui graffi. Si immerse totalmente, muovendo la testa per bagnarsi bene i capelli, quindi si deterse ancora con la sabbia, si sciacquò, si massaggiò finché i capelli furono perfettamente puliti. Quanto tempo era passato… Diverse ciocche galleggiavano sulla superficie dell’acqua aggrovigliate, parevano insetti dalle zampe esilissime. Si avvide con piacere che l’acqua era corrente e si ripuliva in continuazione. Si strofinò nuovamente la pelle finché non se la sentì pizzicare. Quel bagno la stava purificando da molto di più che la semplice sporcizia. La sensazione del pulito la mandava in estasi.

Infine decise di essersi lavata il più possibile e si insaponò i capelli per la terza volta. Riluttante uscì dalla vasca, avvolgendosi la chioma intorno alla testa per asciugarsi meglio. Spiegò i vestiti e se ne mise uno davanti, per vedere. Il tessuto, verde e morbido, era liscio al tatto, ma si impigliava nelle sue dita ruvide. Se lo infilò dalla testa. Era una veste molto ampia con una sopravveste di un verde più intenso che si annodava in vita con una fascia. Fremette di piacere al contatto con quella stoffa morbida, mentre la gonna che le ondeggiava alle caviglie la fece esultare di una gioia tutta femminile. Afferrò un asciugamano pulito e iniziò a strofinarsi i capelli.

Le giunse alle orecchie un rumore attutito. Si fermò, con le mani sollevate e la testa piegata, ad ascoltare. Il rumore veniva dall’esterno. Probabilmente il cavaliere e il suo drago erano rientrati. Quel rientro anticipato la infastidì e prese a massaggiarsi con più forza i capelli. Cercò di districarsi i nodi con le dita e di pettinarsi spingendoli a forza dietro le orecchie. Irritata frugò sui ripiani finché trovò un pettine di metallo molto rudimentale. Lo infilò tra i capelli in disordine e dopo innumerevoli sforzi riuscì a sistemarseli.

Una volta asciutti, i capelli acquistarono una loro vita: crepitavano al contatto con le mani e aderivano al viso e all’abito. Era difficile farli stare a posto ed erano molto più lunghi di quanto pensasse, così puliti le arrivavano alla vita… quando non le si attaccavano alla mano.

Si mise in ascolto ma non sentì più nulla. Preoccupata, si avvicinò alla tenda e sbirciò nella camera. Era vuota. Si rimise in ascolto e captò i pensieri del drago immerso nel sonno. Avrebbe preferito rivedere l’uomo in presenza dell’animale piuttosto che in camera. Si incamminò e, passando davanti a una lastra di metallo appesa al muro, intravide una sconosciuta.

Di colpo si fermò, incredula, per guardare quel volto riflesso dal metallo. Solo quando involontariamente si portò le mani sul viso e la donna riflessa fece altrettanto Lessa capì di vedere se stessa.

Quella ragazza era più bella di dama Tela e della figlia del tessitore! Ma era tanto magra! Automaticamente le sue mani toccarono il collo, le clavicole sporgenti e i seni che non rivelavano la magrezza del resto. Quel vestito era troppo grande per lei, osservò soddisfatta dall’esame. E i capelli… non volevano saperne di stare in piega. Se li lisciò impaziente con le dita, portandoseli in avanti a coprire il viso. Poi si sovvenne: non doveva più nascondersi. I capelli si gonfiarono nuovamente.

Un leggero strisciare sulle pietre la fece sobbalzare. Restò ferma ad aspettare che F’lar arrivasse. Improvvisamente si sentì timida. Con il viso scoperto, i capelli all’indietro e il vestito aderente non poteva più proteggersi con l’usuale anonimato. Si sentì vulnerabile.

Riuscì a controllare l’impulso di fuggire dettato dalla paura. Guardandosi allo specchio si raddrizzò. I capelli ondeggiarono e crepitarono. Lei era Lessa di Ruatha, di nobile e antica stirpe. Non doveva più nascondersi, poteva affrontare apertamente tutto e tutti… anche quel dragoniere.

Risoluta attraversò la stanza e spostò di lato la tenda che separava l’ingresso.

F’lar era là, vicino alla testa del drago, intento a grattargli le sopracciglia con un’espressione stranamente dolce. Quella scena contrastava visibilmente con le voci che circolavano sui dragonieri.

Aveva sentito dire che esisteva una strana comunione tra cavalieri e draghi, ma solo adesso capiva che quello era anche un legame affettivo. E quell’uomo tanto freddo e riservato era capace di un sentimento così profondo. Era stato duro con lei davanti al wher da guardia, e non c’era da meravigliarsi se quella povera bestia aveva pensato a un nemico. I draghi erano stati più tolleranti con lei, rammentò con una volontaria smorfia.

F’lar iniziò a voltarsi lentamente, come se non volesse lasciare il drago. La vide e si girò di scatto, osservandola con un’intensa espressione nello sguardo. A passi veloci e leggeri la raggiunse e la riportò nella camera, stringendole con mano salda il braccio.

— Mnementh ha mangiato poco e ora ha bisogno di restare tranquillo per riposare — le disse a voce bassa come se fosse la cosa essenziale. Tirò accuratamente il pesante tendaggio dell’ingresso.

Allontanò Lessa facendola girare da una parte e dall’altra, guardandola con attenzione. Il suo volto rivelava curiosità e sorpresa.

— Ti sei pulita… carina, sì, quasi carina. — La sua voce era tanto divertita che la ragazza si divincolò e si scostò irritata. F’lar rise sommessamente. — Del resto, come si poteva immaginare cosa ci fosse sotto… dieci interi Giri di sporcizia? Sei senz’altro abbastanza bella da soddisfare F’nor.

Esasperata Lessa chiese: — È necessario soddisfare F’nor?

F’lar continuava a guardarla sogghignando, tanto che lei dovette farsi forza per resistere alla tentazione di picchiarlo.

Infine le disse: — Non ha importanza. Adesso mangeremo, e poi ho bisogno di te. — All’esclamazione di stupore di Lessa si volse. Le sorrise maliziosamente e le indicò la macchia di sangue sulla spalla sinistra. — Medicarmi le ferite che ho ricevuto per causa tua è il minimo che puoi fare.

Spostò uno degli arazzi che ricoprivano la parete interna e gridò: — Pranzo per due!

Lessa sentì l’eco della voce in lontananza, in quello che doveva essere un pozzo molto fondo.

— Nemorth è diventata quasi rigida — le disse F’lar mentre toglieva alcuni oggetti da un ripiano nascosto dagli arazzi. — La Schiusa inizierò presto.

Al solo sentire nominare la Schiusa Lessa avvertì una morsa allo stomaco. Aveva sentito raccontare delle cose terribili su quell’evento. Stordita afferrò gli oggetti che F’lar le porgeva.

— Hai forse paura? — la punzecchiò mentre si levava la camicia insanguinata.

Lessa scosse il capo e si concentrò sulla schiena muscolosa dell’uomo. Nel togliere la camicia, la crosta si era staccata e rivoli di sangue sgorgavano dalla spalla.

— Ho bisogno dell’acqua — disse. Notò un recipiente piatto tra gli oggetti che lui aveva portato e andò a prendere dell’acqua nella vasca, domandandosi cosa mai l’avesse condotta tanto lontano da Ruatha. Quando il dragoniere glielo aveva proposto, subito dopo la morte di Fax, lei nella sua esultanza si era sentita in grado di affrontare ogni cosa, ma adesso era diverso e riusciva a malapena a evitare che l’acqua debordasse dal recipiente stretto tra le due mani tremanti.