Si obbligò a pensare solo alla ferita. Era brutta e profonda dove era penetrata la punta della lama, più superficiale verso il basso. Mentre puliva, sentiva la pelle di F’lar liscia sotto le sue mani e non poté fare a meno di notare il suo odore tipicamente maschile, fatto di sudore, di cuoio e dell’inconsueto sentore di muschio derivante dal continuo contatto con gli animali. Nel suo insieme non era affatto sgradevole.
Nonostante il dolore che certamente provava, F’lar non dimostrò il minimo segno di sofferenza, come se non ci facesse caso. Quando si rese conto di non riuscire a ricambiare con la durezza la scarsa considerazione che il dragoniere le aveva dimostrato, Lessa si infuriò con se stessa.
Strinse i denti esasperata e si diede a spennellare abbondantemente l’unguento curativo. Tamponò con delle bende e fasciò la medicazione. Quando ebbe terminato si spostò indietro, F’lar tentò di piegare il braccio fasciato e così facendo gli si contrassero i muscoli del fianco e della schiena.
Si voltò verso Lessa con uno sguardo cupo e pensieroso.
— Hai fatto un buon lavoro, signora mia, grazie — disse con un sorriso ironico.
Si alzò e la ragazza si tirò indietro, ma lui si avviò solo verso il cassettone per prendere una camicia pulita.
Proprio in quel momento si udì un rombo sommesso, che divenne rapidamente più intenso.
Erano i draghi? si domandò Lessa cercando di controllare l’insensata paura che stava nascendo dentro di lei. Era iniziata la Schiusa? Lì non c’era nessun wher da guardia presso il quale rifugiarsi.
Come se avesse capito la sua agitazione il dragoniere rise divertito e fissandola negli occhi spostò la tappezzeria rivelando un rumoroso meccanismo che dall’interno del pozzo stava portando verso di loro il vassoio del pranzo.
Vergognosa di se stessa e adirata con F’lar per averla colta in fallo, Lessa si accomodò sulla panca ricoperta di pelli augurandogli in cuor suo innumerevoli ferite da poter curare con mani prive di riguardo. Non si sarebbe lasciato scappare la minima occasione d’ora in poi, si promise.
F’lar appoggiò il vassoio sul tavolo proprio davanti a lei, ammucchiando alcune pelli sul pavimento per sedervisi. C’erano carne, pane, una brocca di klah, del formaggio giallo molto invitante e persino della frutta. F’lar non prese nulla, e neanche Lessa, nonostante il solo pensiero di un frutto sano e maturo le facesse venire l’acquolina. L’uomo alzò gli occhi verso di lei corrugando la fronte.
— Anche qua nel Weyr deve essere la dama a spezzare il pane per prima — la invitò cortesemente con un cenno del capo.
Lessa arrossì. Non era solita a simili galanterie, e soprattutto non era abituata a servirsi per prima. Prese un pezzetto di pane. Non rammentava di aver assaggiato mai niente del genere. Era stato appena sfornato, e la farina era fine, setacciata, senza la minima traccia di crusca e di sabbia. Accettò il formaggio che F’lar le stava offrendo: come era deliziosamente saporito anche quello! Esaltata da quella sua nuova condizione protese la mano verso il frutto più carnoso.
— Senti — iniziò il dragoniere, sfiorandole la mano per richiamare la sua attenzione.
Lessa lasciò il frutto con aria colpevole e lo guardò domandandosi che tipo di sbaglio avesse commesso. F’lar le pose in mano il frutto continuando a parlare. Disarmata, la ragazza iniziò a gustarselo a occhi spalancati e attentissima alle sue parole.
— Ascoltami bene. Non avere timore neanche per un istante quando sarai sul Terreno della Schiusa e non lasciarla mangiare troppo. — Sul suo volto passò un’espressione di disgusto. — Uno dei nostri incarichi principali consiste proprio nell’evitare che i draghi mangino troppo.
Lessa perse ogni interesse per il frutto, lo ripose accuratamente nella ciotola e si sforzò di capire quello che F’lar aveva cercato di comunicarle veramente. Lo fissò in volto e per la prima volta vide in lui un uomo e non un simbolo.
La sua freddezza non era altro che prudenza, concluse, non mancanza di sensibilità e quel rigore doveva essere un modo per mascherare la giovane età: non doveva avere molti Giri più di lei. L’atmosfera tenebrosa di cui si circondava non era malvagità ma piuttosto una sorta di cupa pazienza. I capelli neri e mossi, pettinati all’indietro, scendevano a sfiorare il collo della camicia. Le folte sopracciglia nere acquisivano un duro cipiglio e si inarcavano altezzosamente quando lui squadrava la sua vittima dall’alto e sotto di esse gli occhi ambrati, così chiari da sembrare dorati, rivelavano anche troppo chiaramente il cinismo e la superiorità. Le labbra, sottili ma ben profilate, assumevano a volte un’espressione quasi di dolcezza. Perché le atteggiava sempre a una smorfia di disapprovazione o di sarcasmo? Insomma, si poteva definirlo un bell’uomo, concluse candidamente Lessa. Cera in lui qualcosa che la attraeva come un calamita e per di più in quel momento aveva lasciato da parte ogni affettazione.
Stava dicendo sul serio: non voleva che lei si impaurisse, non aveva nulla da temere.
Voleva davvero che lei riuscisse… a chi doveva impedire di mangiare troppo… che cosa? Le bestie dei branchi? Certo, un drago appena nato dall’uovo non era capace di divorare una bestia intera, non era poi un compito tanto complicato il suo. Il wher da guardia a Ruatha obbediva esclusivamente a lei. Lei aveva compreso il grande drago di bronzo ed era addirittura riuscita a metterlo a tacere quando era passata di corsa sotto la torre in cerca della levatrice. L’incarico principale? Il nostro incarico principale?
F’lar la guardava, aspettando.
— Il nostro incarico principale? — ripeté Lessa con un tono che domandava precisazioni.
— Ne riparleremo dopo. Adesso le cose più importanti — le rispose impaziente.
— Ma cosa sta succedendo? — insistette lei.
— Ti sto dicendo quello che so, nient’altro. Tieni bene in mente questi due consigli: non avere paura e non lasciarla mangiare troppo.
— Ma…
— Tu, invece, devi mangiare. Ecco. — F’lar le porse un pezzo di carne infilzato sulla punta del coltello e la fissò con la fronte corrugata fino a quando non lo ebbe inghiottito. Stava per obbligarla a servirsene ancora quando Lessa riprese il frutto che stava per mangiare prima e lo addentò. Aveva già ingoiato molto più di quello che a Ruatha era solita mangiare in un intero giorno.
— Al Weyr saremo trattati meglio — commentò F’lar guardando con aria critica il vassoio.
Lessa si stupì: per lei quello era stato un vero e proprio banchetto.
— Non eri abituata a queste cose, vero? Mi ero dimenticato che a Ruatha hai lasciato solo le ossa.
La ragazza si irrigidì.
— Ti sei comportata benissimo alla fortezza, non volevo criticarti — si spiegò F’lar sorridendo della sua reazione. — Ma guardati — le fece un cenno con la mano fissandola in maniera divertita e contemplativa. — Non avrei mai creduto che una volta pulita tu potessi essere tanto graziosa, né che avessi dei capelli simili. — Adesso era sinceramente ammirato.
Involontariamente Lessa si portò una mano alla testa e i capelli le si attorcigliarono alle dita. Qualunque risposta intendeva dargli le morì sulle labbra, interrotta da un sibilo acuto che invase la camera.
Le vibrazioni prodotte da quel suono le penetrarono nelle ossa, fino alla spina dorsale. Si tappò le orecchie con le mani ma il rumore continuò a riecheggiarle nella testa. Poi, improvvisamente, cessò.
Prima ancora che potesse capire qualcosa, il dragoniere l’aveva afferrata e trascinata verso il cassettone.
— Levati quella roba — le ordinò accennando alla veste e alla tunica. Quindi prese un ampio vestito bianco, privo di maniche e di cintura, due semplici teli di lino cuciti ai lati e sulle spalle. Lessa lo guardava senza capire. — Spogliati, o preferisci che lo faccia io? — domandò spazientito.