Bird Alyn estrasse l’asta di livello da un’altra vasca, studiò la lettura, e la scosse. Sospirò e si sedette pesantemente a terra, accanto alla vasca, massaggiandosi i piedi gonfi. Le formicolavano a causa di una circolazione povera e lenta. Si piegò all’indietro, e guardò in alto attraverso il verde cangiante: rivide con gli occhi della fantasia la trasparenza lattea dello schermo di Lansing, e Shadow Jack che lavorava come posatore, al posto dei banchi di lampade fluorescenti.
Lei aveva contato i chilosecondi, addirittura ogni secondo del giorno di Lansing, finché Shadow Jack era sceso a raggiungerla per l’unico pasto della giornata. Silenzioso, lunatico, pieno di futili paure… ma era pur sempre la sola persona del suo mondo che la corrispondesse, che ogni giorno emergeva dalle ombre dei suoi pensieri per donarle un po’ di gentilezza. A volte lei si domandava se lo facesse per pietà, ma non se ne preoccupava. Gli era semplicemente grata perché lo amava, e sapeva che l’amore non conosceva orgoglio.
Fin dall’infanzia aveva capito che avrebbe lavorato nei giardini di superficie; per tutta la vita si era resa conto del perché: perché era diversa, deforme. I suoi genitori l’avevano addestrata all’uso del computer, avendo accettato l’idea che lei dovesse svolgere un incarico con un alto livello di radiazioni; le avevano offerto tutti i mezzi per poter lavorare su una nave, dove avrebbe dato il meglio di sé per la sopravvivenza del suo mondo. Ma a parte tutto ciò, si erano allontanati da lei, come la gente si allontana da un errore che ha rovinato la sua vita, o dalla vittima di una malattia all’ultimo stadio.
Lei non aveva mai messo in dubbio la sua inferiorità, siccome la filosofia materialista le aveva insegnato che ogni individuo deve accettare la responsabilità dei propri difetti. Si era messa a lavorare alla superficie di Lansing quasi con allegria; perché poteva allontanarsi dal mondo della gente normale, perdersi nella bellezza dei giardini, e sentirsi sola anche in compagnia dei suoi compagni anormali.
Poi aveva scoperto Shadow Jack, seduto in preda al terrore in mezzo all’erba, davanti all’ingresso delle gallerie… Shadow Jack, che era cresciuto con l’abitudine a una vita normale di sicurezza e di accettazione. All’improvviso s’era sentito dire che non era normale, ed era stato gettato in un mondo estraneo, dove provava solo vergogna e senso di abbandono. Lei lo aveva confortato, sia per compassione che per propria necessità; e la necessità li aveva legati l’uno all’altra, rendendoli amici.
Ma crescendo lei aveva cominciato a volere qualcosa di più dell’amicizia, anche se sapeva che era sbagliato, e impossibile. Sulla superficie di Lansing le usanze delle gallerie erano distorte dalle nevrosi o dalle necessità, al punto che ciascuno diveniva letteralmente responsabile delle proprie azioni, e sopportava tutte le conseguenze che potevano derivarne. Lei aveva assistito a fatti che avrebbero lasciato sgomenti i suoi genitori, ma aveva anche imparato a capire che non facevano male a nessuno, e questo era l’unico criterio valido per stabilire ciò che era giusto o sbagliato. C’erano state cose che, una volta capite, le avevano fatto paura; perciò era stata grata a Shadow Jack di dormirle accanto tutte le notti nell’erba fresca e profumata o in mezzo ai rassicuranti pilastri degli edifici statali abbandonati.
Ma Shadow Jack non la toccava mai, non le consentiva mai di lenire la rabbia e l’impotente risentimento che non lo abbandonava un attimo. E, a sua volta impotente per la propria futilità, lei era rimasta in silenzio, sapendo che per un’anormale era sbagliato desiderare un marito; impossibile che Shadow Jack potesse mai amare un’invalida brutta e goffa…
Bird Alyn sentì qualcuno scostare la rete che impediva la fuga degli insetti ed entrare nel laboratorio, facendosi strada tra arbusti e viticci. La ragazza si alzò in piedi, sperando che si trattasse di Shadow Jack… ma udì una voce femminile che chiamava sommessamente: «Claire?»
Bird Alyn si alzò in punta di piedi, mentre la camicetta verde e i blue jeans si confondevano contro i fiori. «Cosa?» Vacillò e per poco non lasciò cadere l’asta di livello. Se la strinse al corpo con la mano deforme. «Oh, Betha.»
Betha le restituì uno sguardo sbalordito, poi scosse il capo, confusa e sconcertata.
Bird Alyn abbassò gli occhi, sorridendo. «Io… io pensavo che fosse Shadow Jack. Ha detto che sarebbe venuto a guardarmi mentre lavoravo…» Il sorrise le morì sulla bocca.
«Pappy lo ha requisito; lo sta portando in giro per la sala macchine.» Betha toccò una felce, e ne strappò una fogliolina ingiallita, cercando di separare dal presente il passato morto e sepolto. Guardò all’indietro, con un’espressione di interessamento sul volto pallido e tirato. «Sei sicura di volere fare questo lavoro, mentre siamo ancora a gravità uno?»
Bird Alyn annuì. «È tutto a posto. Sto seduta a lungo e mi limito a… guardare, odorare e ascoltare. È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui ho lavorato nei giardini. Le dispiace?»
«No… no. Non sai quanto lo apprezzi. Su questa nave c’è lavoro per sette persone. E… Clewell non è più giovane come una volta.» Gli occhi di Betha abbandonarono la ragazza, perdendosi fra il verde delle ombre. «Sei bravissima, Bird Alyn… quando sono arrivata poco c’è mancato che ti prendessi per una driade.»
«Per… cosa?»
«Lo spirito di una foresta incantata.» Betha sorrise.
«Io?» Bird Alyn tormentò l’asta di livello, ridendo per nascondere l’imbarazzo. «Oh, io no… queste piante si curano da sole, davvero, è facile… non come su Lansing… qui sembrano così diverse, così folte e raccolte…»
«Queste?» Betha alzò gli occhi.
«Su Lansing le piante continuano a crescere, non sanno quando fermarsi; è complicato, le radici devono scendere giù fino allo strato di roccia e attaccarsi… e poi le mutazioni…» Bird Alyn tacque, all’improvviso rendendosi conto della sua voce.
Betha si sedette su una panca piastrellata e allungò una mano per prendere l’oggetto dalla forma strana che era seminascosto sotto una cascata di rampicanti. «La chitarra di Claire. Era lei, di solito, che curava il laboratorio idroponico, e le piaceva suonare per le piante.» Poi, vedendo l’espressione perplessa della ragazza, aggiunse: «È uno strumento musicale. La sera avevamo l’abitudine di scendere tutti quaggiù, e cantavamo. Lei diceva sempre che alle piante piace la musica e la comunicazione emotiva. Naturalmente Lara affermava che a loro interessa solo l’anidride carbonica… e Sean ribatteva che vogliono l’aria calda.» Betha piegò la bocca in un’espressione meditabonda. «E Eric… Eric diceva che probabilmente hanno bisogno di un po’ di tutto…» Si portò la mano al volto; Bird Alyn contò quattro semplici anelli d’oro, e se ne stupì, prima che la mano ricadesse.
«Come… ehm, come funziona?» Una volta lei aveva conosciuto una ragazza che aveva uno zufolo ricavato da una canna. «La… chitarra, voglio dire.» Si appoggiò a una pesante mensola di legno, tirandosi poi su con uno sforzo.
«Non riuscirei proprio a fartelo capire con precisione. Claire era un’artista; io conosco soltanto qualche accordo. Ma è qualcosa del genere…» Il capitano si mise la chitarra in grembo e sistemò le dita sulle corde. Poi le pizzicò, per prova.
Bird Alyn fu scossa da un brivido. «Oh…»
Betha sorrise; le sue dita cambiarono posizione sulle corde e la scintillante trasparenza del suono mutò. La donna cominciò a cantare — quasi inconsapevolmente, parve a Bird Alyn — con una voce calda e chiara che si fondeva con il flusso della musica:
Bird Alyn sentì un nodo alla gola; abbassò gli occhi sulla mano lesa, aprendoli e richiudendoli più volte.