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Udì il capitano respirare profondamente, preda dei suoi stessi ricordi. «Mi spiace.» La sua voce chiara si tese appena. «Avrei dovuto scegliere qualcosa di più allegro.»

«Per favore… vorrebbe… vorrebbe suonare ancora qualcosa?» Bird Alyn tornò a sollevare lo sguardo.

La faccia di Betha si rilassò. «Bene… non è gran che, solo vecchi canti popolari. Ma cantare insieme fa uno strano effetto… sì crea un legame, una sensazione di unità. Ti infonde la forza di andare avanti, se le cose non vanno bene. Ed è difficile odiare qualcuno quando canti con lui; è difficile essere arrabbiati…»

Insieme proseguiamo, il nostro canto non finirà. Sorella, fratello, padre, madre, dividono le loro esistenze: donna, uomo e amico…

Bird Alyn si curvò in avanti come un fiore che si tende verso la luce. «Mattino deve essere un posto magnifico!»

Betha emise un suono che non era proprio una risata. «No, è… Sì. Sì… in un certo senso. A suo modo, lo è.» Le sue dita tornarono ad accarezzare le corde.

«Vorrei saperlo fare… Conosce… conosce qualche canzone d’amore?» La donna sollevò bruscamente lo sguardo, e Bird Alyn si rese conto che in qualche modo aveva detto una cosa sbagliata.

«Sarò lieta di mostrarti gli accordi che conosco, Bird Alyn, se vuoi imparare a suonare. Forse le piante ne hanno bisogno.»

Bird Alyn incrociò le braccia. «Io… io non so se ho abbastanza dita…»

Betha si irrigidì in volto, e per un attimo rimase lì imbarazzata, senza sapere cosa fare. «Oh. Be’, credo di poter invertire le corde per te; ho già visto suonare la chitarra con la mano sinistra. Sempre che ti faccia piacere.» Sorrise di nuovo.

«Oh, sì!» Bird Alyn scese dalla mensola, dimenticando distrattamente l’asta di livello. Quella le scivolò dalle dita insensibili e cadde al suolo con fragore. Istintivamente cercò di sollevarla allungando il piede nudo, ma perse l’equilibrio e cadde anche lei. «Dannazione!» Sdraiata a terra, la ragazza annaspò per recuperare l’asticella, la scosse e ne controllò la lettura, mentre un familiare rossore le imporporava il viso.

Betha si chinò su di lei, la prese per le braccia e la rimise in piedi senza sforzo. «Va tutto bene?» Le accarezzò un braccio con aria protettiva, come avrebbe fatto una madre. «Ci vuole un po’ per perdere le abitudini di un’intera vita, vero?»

Bird Alyn abbassò lo sguardo, confusa dalla sua sollecitudine. «Si riesce mai ad abituarsi a questo? Voglio dire, se non ci si è abituati dalla nascita…»

Betha fece un passo indietro. «Col tempo. Su Mattino abbiamo una gravità inferiore a uno, ma sono tre anni che sulla nave siamo a gravità uno, e ormai non ci facciamo più nemmeno caso. Ho letto alcuni studi del Vecchio Mondo sull’adattamento dalla bassa gravità a gravità uno. È possibile, ma ci vuole circa un anno — trenta o quaranta megasecondi — per ritornare alla sollecitazione minima che si ha a gravità zero. E vi sono effetti di logorio a lungo termine sul corpo. Ma tu puoi farcela, con opportune cure mediche, se veramente lo vuoi.»

«Io credo che vorrei andare a casa» disse Bird Alyn.

«Anch’io» ribatté Betha, annuendo.

Ma tu non puoi. Bird Alyn abbassò di nuovo lo sguardo, arrossendo. «Volevo dire… mi esprimo sempre nel modo sbagliato!»

«No. È quello che tutti vogliamo, Bird Alyn. E lo faremo.» Betha studiò il disegno degli anelli risplendenti sulle sue mani, irrigidendole di colpo.

La ragazza sentì uno sgocciolio d’acqua da qualche parte. Poi udì qualcuno che entrava nel laboratorio, e stavolta riconobbe Shadow Jack.

Betha sorrise: un sorriso compiaciuto, privato, seguendo lo sguardo di Bird Alyn, poi prese di nuovo la chitarra dalla panca. «Alla prima occasione ti cambierò le corde. Ma ora sarà meglio che io ritorni al lavoro. Siamo quasi nello spazio della Demarchia; non dovrete sopportare ancora a lungo questa gravità.» Si diresse verso la porta salutando Shadow Jack mentre gli passava accanto. Bird Alyn vide che lui la fissava e la seguiva con lo sguardo, ammirato fino al punto di sfiorare l’adorazione. La ragazza sentì crescere dentro di sé l’invidia e come d’abitudine la soffocò, ricacciandola giù. La sua bocca si strinse per il dolore come se lei fosse stata colpita da una coltellata.

Ma Rusty si agitò fra le braccia di Shadow Jack, miagolando con improvvisa insofferenza quando si accorse della ragazza. Shadow Jack lo lasciò cadere al suolo, ancora mezzo impaurito per il suo strano comportamento. Rusty trotterellò verso Bird Alyn e le strofinò la testa sulle caviglie nude; la ragazza si chinò e sollevò la bestiola, che le scartavetrò allegramente il mento con la lingua rosa. Poi si sistemò tutto soddisfatto sulla sua spalla. Lei ripensò al quadro appeso in quella che adesso era la sua stanza: un ritratto di Rusty ricamato in punto a croce con le parole: UNA CASA SENZA UN GATTO SARA FORSE UNA CASA PERFETTA… MA COME PUÒ DIMOSTRARLO? Bird Alyn immaginò un intero mondo pieno di creature viventi, e di musica; non un sogno sterile, ma una realtà. Il genere di mondo che doveva essere stato Lansing, in un tempo che lei non aveva mai conosciuto; il genere di mondo che non sarebbe stato mai più.

«Pensavo che Rusty ti stesse cercando» mormorò Shadow Jack, impacciato. «Scommetto che se su questa nave ci fossero dieci animali, vorrebbero stare tutti con te.»

Lei incontrò i suoi occhi, esitante, e dimenticò tutto nel miracolo del suo sorriso.

NAVE AMMIRAGLIA + 300 CHILOSECONDI

(SPAZIO DI DISCUS)

Raul Nakamore, Mano dell’Armonia, si mise comodo nel sedile imbottito anti-accelerazione; privo di peso, era assicurato mediante le cinture. Infilò le cuffie a cavetto in una fessura del quadro comandi: basta con la radio, basta discutere con il suo fratellastro Djem. E così lui stava dilapidando le finanze della Grande Armonia… stava mettendo a repentaglio la sua vita… e quella del suo equipaggio di tre navi per inseguire un fantasma. Stava lasciando Nevi-della-Salvezza indifeso contro un attacco della Demarchia per andare a caccia di una nave che era in grado di prendersi gioco della flotta della Grande Armonia, perfino della sua grande forza d’attacco delta-V. Una nave proveniente dall’Esterno… una nave malconcia, che si era lasciata alle spalle una nuvoletta sparpagliata di detriti e di resti umani. Aveva già eluso una volta la loro stretta… ma forse non sarebbe stata capace di farlo di nuovo. Il gioco valeva la candela. Povero Djem; non riusciva mai a vedere aldilà del suo naso. Raul sorrise fra i denti.

Da qualche parte, cinquemila chilometri sotto di lui, stagliata contro i detriti argentei degli Anelli Discani, la massa informe di gas ghiacciati che era Nevi-della-Salvezza proteggeva la principale distilleria della Grande Armonia. Era stata costruita con l’aiuto della Demarchia, ed era fondamentale per la sopravvivenza dell’Armonia e della Demarchia. Il fratello di Raul era il direttore di Nevi-della-Salvezza, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantirne la sicurezza. Ma se la Demarchia decideva di attaccare, lì negli Anelli, neppure quell’“arma segreta” poteva impedir loro di causare danni irreparabili. E malgrado ciò che troppi nella Marina ritenevano, comunque la Demarchia non ci avrebbe mai provato. Djem non sarebbe mai stato capace di rendersene conto, ma Raul ci si sarebbe giocato la carriera… anzi, ci si era giocato la carriera. La Demarchia non li avrebbe mai attaccati… a meno che riuscisse ad avere quell’astronave. Ma se la Grande Armonia ci metteva le mani per prima…

«Signore.» Sandoval, il capitano della nave, mezzo calvo, interruppe timidamente il corso dei suoi pensieri. «Tutto è pronto per l’accensione. Ai suoi ordini…»