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Raul aveva cacciato il pensiero dalla sua mente, mentre un’altra verità più dolorosa vi si affacciava: la sua gente, tutta la gente della Cintura di Paradiso, era condannata. Il rimpianto era inutile, l’odio controproducente. Raul aveva fronteggiato quella verità, non senza sgomento. Aveva visto chiaramente la strada davanti a sé, sempre più ripida e irta di difficoltà e alla fine impercorribile. Ma lui era andato avanti, un passo dopo l’altro, rafforzato dalla convinzione di aver fatto tutto ciò che era umanamente possibile.

C’era stato un tempo in cui Raul aveva fatto indigestione di quelle trasmissioni, credendo a ogni loro parola. Allora aveva odiato la Demarchia, con la cieca passione della giovinezza; e poiché era giovane, competente e sacrificabile, era stato inviato in missione di sabotaggio nello spazio della Demarchia. E l’aveva fallita. Ma con sua massima umiliazione, la perversità della mobocrazia[2] demarchista, dominata dai “media”, lo aveva trasformato in un eroe popolare, prendendo a cuore la sua ultima appassionata denuncia della loro aggressione… e la Demarchia lo aveva rispedito a casa, confuso messaggero di buona volontà, ad aprire le trattative per la costruzione di una distilleria che avrebbe giovato sia alla Demarchia che alla Grande Armonia.

Ma i rapporti fra i due non avevano mai fatto un passo aldilà di quell’unico atto di collaborazione, il cui vero significato risiedeva nella comune necessità: corporazioni indipendenti della Demarchia avevano continuato a violare lo spazio Discano, e soltanto la loro costituzionale debolezza economica gli aveva impedito di impossessarsi per intero delle fonti di sussistenza della Demarchia. La Grande Armonia aveva continuato a inveire contro la Demarchia, e a biasimarla per la sua stessa marginale esistenza.

Ma proprio a causa della sua esperienza fra i Demarchisti, era svanita in lui definitivamente la convinzione che bene e male fossero facilmente distinguibili come nero e bianco, che ogni domanda avesse una risposta semplice. Quando si era accorto che la Demarchia non era il simbolo del male, si era anche reso conto che non si poteva attribuire ad essa tutta la colpa per la precaria esistenza dell’Armonia. Era riuscito a scorgere il superiore destino, totalmente amorale e totalmente inevitabile, che stava trascinando entrambe lungo una strada senza ritorno.

E quando aveva compreso che non si poteva ritornare indietro, né prendere vie laterali, si era fatto trasferire dalla Difesa alla Marina Mercantile; per servire laddove riteneva di poter funzionare in maniera più efficace, e di facilitare al massimo il percorso dell’Armonia lungo quella strada.

Raul aveva raggiunto alla fine il nucleo centrale del complesso governativo, ed era stato investito dai mulinelli d’aria gelida, ritrovandosi all’improvviso nello spazio aperto. Sopra di lui il soffitto era buio e amorfo, ma sapeva che si trattava di una volta di plastica trasparente, e non di solida pietra. Un tempo era stata un’apertura da cui si vedevano le stelle, e la magnificenza di Discus… quando gli anelli di Discus erano stati il pozzo a cui l’intera Cintura di Paradiso attingeva acqua. Ma adesso la cupola trasparente era bloccata al disotto di uno strato isolante di neve, per evitare un’eccessiva dispersione di calore.

Si era fatto strada in mezzo alle molteplici file di altri impiegati governativi, anch’essi in gran parte dipendenti dalla Marina; aveva risposto meccanicamente alla loro mano alzata in segno di saluto, ma con la mente era già all’interno della saletta riservata dove le altre Mani, suoi colleghi, erano seduti per un colloquio privato con il Cuore.

Raul si era messo tranquillamente a sedere, aspettando che l’assemblea venisse richiamata all’ordine, accomodandosi all’estremità del lungo tavolo più lontana dalla posizione del Cuore, in qualità di ultimo ufficiale ad aver raggiunto il rango di Mano. Aveva salutato con un cenno del capo Lobachevsky, sulla sua destra, poi aveva passato in rassegna tutti gli ufficiali e consiglieri che si trovavano intorno al tavolo, notando senza sorpresa che si erano divisi, come al solito, in due fazioni opposte: quella della difesa da un lato, quella del commercio dall’altro. E come al solito lui si era schierato con i secondi. La superficie nuda e scintillante del tavolo stava fra loro come una terra di nessuno; Raul aveva sorriso debolmente.

Una sola parola era bastata a porre fine alle congetture mormorate a mezza bocca; Raul aveva rivolto la sua attenzione all’estremità del tavolo e si era alzato insieme agli altri, accorgendosi che stava arrivando il Cuore: Chatichai, Khurama e Gulamhusein, il triumvirato che controllava il flusso e il riflusso del potere nella Grande Armonia. Simili a una divinità indiana dalle molte facce, indistinguibili l’uno dall’altro, o dal loro personale, nella grigia uniformità dei loro abiti voluminosi… ma inconfondibilmente riconoscibili per via di un certo autocompiacimento, e della disarmonica ambizione che li aveva portati al vertice e ora li faceva lottare per rimanervi. Raul conosceva il genere di tensione che dovevano affrontare, ed era contento di avere già oltrepassato il livello delle sue stesse ambizioni.

I tre uomini all’estremità del tavolo si erano seduti lentamente, invitando con un cenno della mano i presenti a fare lo stesso.

«Immagino che tutti voi abbiate letto il comunicato per il quale vi trovate qui» aveva esordito Chatichai, prendendo come d’abitudine l’iniziativa, «perciò immagino sappiate che cinquanta chilosecondi fa’ la nostra marina si è imbattuta in una nave diversa da qualsiasi altra esistente in questa regione…» Aveva fatto una pausa, abbassando lo sguardo; Raul si era accorto che davanti a lui c’era un registratore a nastro. «Questo è un rapporto del capitano Smith, il quale era al comando della flotta di pattuglia che ha incontrato quella nave.» Aveva premuto un pulsante.

Raul si era sporto al disopra del tavolo e, mentre ascoltava, aveva notato i cambiamenti nelle espressioni di tutti coloro che vi sedevano intorno. Dapprima l’intruso era stato preso per una nave a fusione della Demarchia che violava lo spazio Discano. In seguito si erano ulteriormente avvicinati e, quando una voce femminile aveva risposto alla loro intimazione, si erano resi conto di trovarsi di fronte a qualcosa di totalmente inaspettato. Poi la nave era fuggita, allontanandosi alla incredibile e prolungata velocità di dieci metri per secondo quadrato, e distruggendo quasi per caso una delle loro unità più vicine semplicemente con la mortale fuoruscita dei suoi gas di scarico. Essi avevano aperto il fuoco sulla nave fuggitiva, ma avevano rilevato soltanto una nuvoletta di detriti in lenta espansione…

Una corrente sotterranea di irritazione e di animazione si era manifestata tra i presenti. «Perché diavolo Smith non ha fornito a quella donna le coordinate del porto, quando lei gliele ha chieste?» borbottò Lobachevsky accanto a lui. «Accidenti a lui, era più logico, invece che cercare di prenderla con la forza. E ha pure perso una nave… gli sta bene.» Aveva fissato l’opposizione aldilà della terra di nessuno, mentre Raul si era mantenuto inespressivo.

Chatichai aveva alzato gli occhi, e la voce. «La questione che dobbiamo affrontare, signori, non è se il capitano Smith abbia agito nell’interesse della Grande Armonia, ma come bisogna comportarsi adesso nei riguardi di quella nave. Io non credo che qualcuno tra voi dubiti della sua provenienza dallo Spazio Esterno…» Una breve pausa: nessuno aveva dubitato. «E non credo nemmeno che sia necessario spiegare nei dettagli cosa potrebbe significare una nave come quella per la nostra economia… o per quella della Demarchia, se saranno loro ad impossessarsene.» Un’altra pausa. «Ma è possibile, per noi, o magari probabile, riuscire a mettere le mani su quella nave? E in ogni caso, quali provvedimenti bisogna prendere per assicurarsi che essa non cada nelle mani della Demarchia?»

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2

Mobocrazia: illecita gestione della cosa pubblica da parte del popolo o della massa. (N.d.T.)