Lui rise, ma senza allegria. «Se fai troppe docce, ragazza mia, ti raggrinzirai per bene.»
«Forse ne avrei bisogno.» Seria, si allontanò dal pannello.
Lui osservò la sterile notte, nella quale risiedevano tutte le loro speranze e giacevano in frantumi tutti i sogni dei loro diversi mondi. Il dolore gli artigliò il petto, e lo spaventò. Dio, aiutami. Io sono vecchio; non farmi diventare troppo vecchio… Si premette le mani sul petto dolorante, e sentì la doccia scrosciare e la voce di Bird Alyn levarsi come un melodioso cinguettio, mentre cantava una ninnananna di Mattino:
LANSING +1,51 MEGASECONDI
«Eccolo lì» disse Shadow Jack, quasi in un sospiro. «L’asteroide Mecca.»
Betha l’osservò mentre si rivelava alla vista attraverso l’oblò: un sasso a forma di patata lungo cinquanta chilometri, butterato dalla mano della natura e da quella dell’uomo. Il suo asse maggiore puntava verso il sole, e il lato più vicino a loro era avvolto nell’oscurità, con una corona circolare di luce che lo avvolgeva completamente. A mano a mano che si avvicinavano incominciarono a scorgere le luci del campo di atterraggio e, in mezzo ad esse enormi sagome scintillanti illuminate dal basso, le cui ombre si andavano a perdere tra le ombre del vuoto spaziale. Alla fine Betha riuscì a capire che si trattava di serbatoi di immagazzinamento: enormi palloni pieni di preziosi gas. Finalmente… La donna si mosse nel piccolo spazio fiocamente illuminato davanti al quadro strumenti, e sentì che anche le sue emozioni ottenebrate si muovevano e tornavano a vivere. Si riempì i polmoni congestionati con l’aria morta e stagnante, mentre da qualche parte alle sue spalle un ventilatore si metteva in funzione, rumoroso e inefficace; si domandò se sarebbe mai stata capace di far rivivere il senso dell’odorato, misericordiosamente morto da lungo tempo. La confortava ben poco sapere che il claustrofobico tormento del loro viaggio sarebbe stato ancora peggiore senza la revisione che avevano effettuato a bordo del Ranger. Due stranieri di Lansing avevano qualcosa da insegnare, in fatto di resistenza, anche agli abitanti di Mattino… Le ritornò in mente il Ranger, e insieme ad esso l’irritante consapevolezza che avrebbero potuto attraversare lo spazio della Demarchia fino a Mecca in un giorno invece che in quindici, con tutte le comodità, se le cose fossero state differenti. «Ma ce l’abbiamo fatta, grazie a Dio. E grazie a te, Shadow Jack. Hai fatto un buon lavoro.» Senza volerlo, gli toccò il braccio con la mano, in un gesto indirizzato a qualcun altro. Lui emerse dalla sua consueta tristezza, mentre l’imbarazzo cedeva il posto a qualcos’altro, qualcosa di più, poi protese la mano per sintonizzare la radio. Il silenzio ticchettante della cabina fu rotto dal rumore di voci e di scariche elettriche.
«Lei… lei amava qualcuno di loro in particolare?»
Betha sospirò. «Sì… sì, immagino di sì. È qualcosa che non si può fare a meno di provare; li amavo tutti moltissimo, ma uno…» Che non è qui, ora che ho bisogno di lui. Scrollò la testa e i suoi occhi si velarono; poi riprese il controllo di sé mentre un frammento del mondo reale si dirigeva verso di loro. «Là, Shadow Jack.» Si chinò verso l’oblò, strofinando il vetro appannato. «Una nave cisterna si sta avvicinando.»
Anche lui guardò. Videro la nave, ancora illuminata dal sole: un voluminoso traliccio metallico, con il ventre di plastica rigonfio dei preziosi gas e racchiuso fra tre gambe d’acciaio, supporti dei razzi elettrico-nucleari della nave. «Guardi le sue dimensioni! Deve provenire dagli Anelli. Non si servirebbero di una nave simile per il trasporto locale.» Shadow Jack sollevò la testa, seguendo l’arco discendente della nave cisterna. «Ecco, quello laggiù deve essere lo spazioporto commerciale.»
Adesso Betha poteva vedere chiaramente il campo d’atterraggio, una superficie liscia e innaturalmente scintillante costellata di gru e circondata da altri parassiti meccanici, carichi o vuoti. Scafi più piccoli si muovevano al disopra, simili a falene rossastre; pigri rimorchiatori in una profusione di arrangiata assurdità. Un altro mondo… Continuarono a guardare, la donna ascoltò i frammenti delle conversazioni radiofoniche unilaterali che facevano da sottofondo sonoro alle lente movenze da balletto sotto di loro: noia e concentrata attenzione, un’esplosione di rabbia, incomprensibile inclinazione per un invisibile tecnicismo. «Non dovrebbero ricevere il nostro segnale?»
Lui annuì. «Lo stanno ricevendo. Penso che ci chiameranno e ci faranno scendere quando lo riterranno opportuno.»
Rusty galleggiò al disopra del quadro comandi, e urtò involontariamente contro i fili attorcigliati della cuffia del ragazzo. «Povero Rusty» mormorò Betha, allungando una mano per prenderlo. «II tuo viaggio in questa sauna è quasi finito…» Tutt’a un tratto si sentì la gola terribilmente secca.
Shadow Jack si piegò con aria colpevole e accarezzò il pelo arruffato di Rusty. «Bird Alyn non mi ha proprio perdonato di averla convinta a portare con noi Rusty. Non voleva separarsene. Lei ama le piante, ama far crescere le cose… le cose che sono vive…» La sua bocca sì contorse in una specie di sorriso velato di tristezza. «Credo che Rusty sia stato quasi la cosa più bella, per Bird Alyn.»
«Ne senti la mancanza, vero?»
«Già, io… voglio dire, ecco… lei è l’unica persona che sappia usare il computer.»
«Oh.»
Lui la guardò, rendendosi conto di ciò che Betha non aveva espresso a parole. «Noi lavoriamo insieme, e basta. Lei annuì.» Io pensavo che forse…
«No. Non siamo sposati.»
La donna sentì la sua bocca piegarsi in un’espressione di scandalizzato divertimento. «Ammiro il tuo autocontrollo.»
Shadow Jack spalancò gli occhi bicolori, e lei li vide nuovamente scivolare nell’oscurità. «Non c’è nessun motivo di desiderare ciò che non possiamo avere. Conta solo mantenersi vivi… sopravvivere, tutti. Se non riusciamo a trovare l’acqua per Lansing, è la fine, ed è stupido fingere che non sia così. Non c’è ragione di… di…» Abbassò lo sguardo sul quadro comandi. «Accidenti a quei sonnambuli! Perché non ci rispondono? Cosa aspettano, un miracolo? “»
Una voce proruppe dall’altoparlante. «Nave non registrata… cosa diavolo state facendo lassù? Perché non scendete?»
Shadow Jack si girò verso di lei senza dire nulla. Betha sorrise. «E adesso cerca di desiderare un po’ d’idrogeno.»
Shadow Jack guidò la nave, maledicendo il bagliore del sole, fino a un punto d’attracco sul lato illuminato di Mecca. «“Non registrata per il campo principale”. Pidocchiosi bastardi! Perché non ci hanno fatto atterrare sul lato oscuro, come tutte le altre dannate navi cisterna?» Si allungò, stirandosi all’indietro, e fece scrocchiare le nocche.
«Probabilmente vogliono evitare che qualche turista vada a schiantarsi sopra una distilleria.» Finalmente Betha si rilassò, nel sentire dall’esterno il rumore rassicurante dei cavi magnetici che si agganciavano allo scafo.
Lui si spinse via dal sedile. «Questo non ci aiuta. Se qualcosa va storto, occorrerà un sacco di tempo per fuggire da questa parte.» Si diresse verso l’armadietto che conteneva le tute.
Betha annuì col capo, sospirando, e allungò la mano per prendere Rusty. «Speriamo solo che vada tutto bene» disse, pensando che chiunque gli avesse dato quel nome aveva scelto proprio quello giusto.[4]
Betha si aggrappò per un attimo al bordo del portello aperto, guardando verso il basso e in lontananza, fin dove il mondo terminava troppo bruscamente: visto in prospettiva, l’orizzonte assomigliava a una lama scintillante che tagliava l’oscurità. Aldilà c’erano le stelle, appena visibili, incredibilmente lontane nel vuoto privo di luce. Betha vide cinque corpi martoriati che precipitavano in quel vuoto, dove nessuna mano poteva fermare la loro caduta, dove nessuna voce poteva infrangere il silenzio dell’eternità… Ebbe un attimo di stordimento. Shadow Jack le toccò la schiena.
4
Shadow, in inglese, significa “ombra”, e il carattere del personaggio è infatti ombroso, tenebroso