«Prima della guerra era una città modello.» Betha si accorse che era il funzionario governativo quello che l’aveva presa per le braccia; senza dare peso alla cosa, lui la lasciò andare. «Si giocava d’azzardo. Adesso vi si fanno giochi molto più concreti; la maggior parte di quelle torri appartiene a gruppi di mercanti.» L’uomo si slacciò il casco, poi se lo tolse e la fissò come in attesa. «Qui l’aria è buona.»
Lei sollevò la mano solo per attivare l’altoparlante esterno; provava un formicolio sulla pelle, e desiderava incontrare gli occhi dell’altro. «Grazie» disse, cercando di dare alle sue parole un tono di insicurezza, «ma preferisco aspettare.» Shadow Jack, privo di altoparlante, se ne stava in piedi ad ammirare la città, astiosamente soddisfatto di fare il sordomuto. «Ci può dire quale di quelle torri appartiene a qualcuno che voglia venderci dell’idrogeno?»
«Idrogeno?» La sua occhiata interrogativa sembrò scivolarle sulla visiera. «Pensavo che aveste bisogno di aria. O di acqua.»
«Infatti. Abbiamo bisogno di acqua… l’ossigeno lo abbiamo. Perciò, ovviamente, ci serve anche l’idrogeno.» Rusty miagolò; lei si tappò gli orecchi.
«Oh.» Il volto dell’uomo si rilassò con aria di approvazione. «Ovviamente… Sa, non mi capita spesso d’incontrare una donna che ha scelto di sua volontà d’andare nello spazio. Su Lansing è una cosa comune?»
«Andare nello spazio non è più comune, su Lansing.» Betha ricordò all’improvviso che gli occhi bruno-dorati dello straniero erano quelli di un nemico. «Mi può indicare dove si trovano gli uffici della distilleria?»
«Laggiù…» indicò lui, «quel gruppo di lunghi edifici verdi; ci sono parecchi uffici di distillerie: Tiriki, Flynn, Siamang…»
«Distillerie? Ce n’è più di una?» Avrei dovuto saperlo? Betha imprecò fra i denti.
«Ma certo.» L’uomo sorrideva, comprensivo. «Questa è la Demarchia: è il popolo che governa. A noi non piacciono i sistemi monopolistici; sarebbe un’usurpazione dei diritti del popolo, e loro non l’accetterebbero… lo so. Lasci che l’accompagni.»
«No, davvero…»
«È il meno che posso fare, a questo punto.» Si mise due dita in bocca e fischiò tre volte acutamente. Betha si ritrasse; allora lui si voltò, sorprendendola con un rapido inchino di scusa. «È così che qui si chiamano i taxi, adesso. Su Mecca le buone maniere stanno andando all’inferno… Paradiso sta andando all’inferno.» Rise in modo strano, come se non avesse avuto l’intenzione di dirlo ad alta voce. «Quanto a me, vengo da Toledo.»
«Cosa… ehm… ha detto che fa’ per il governo?» Sentendosi a disagio, lei si mise a guardare il panorama. La donna che era con loro sulla vettura era scomparsa. Perché quest’uomo resta con noi?
«Sono un negoziatore. Cerco d’impedire alle cose di diventare più incivili di quanto siano già.» Di nuovo quella rapida, sofferta risata. «Appiano le dispute, elaboro gli accordi commerciali… mi occupo delle visite inattese.»
Lei fu lì lì per voltarsi, ma s’irrigidì nel vedere gli operatori di prima che uscivano dalla galleria. «Shadow Jack!» Gli afferrò il braccio. «Resta con me, non separiamoci.»
Le voci si strinsero intorno a loro. «… in quella nave malconcia?»
«Con chi avete intenzione di trattare?»
«Quanto…»
«Cosa avete…»
Pubblicitari e semplici curiosi si affollarono intorno a loro, stringendoli, accalcandosi, interrompendosi l’un l’altro. Betha vide il funzionario governativo che veniva allontanato a gomitate, proprio mentre l’aerotaxi saliva verso di lei, fermandosi poi con un rumore stridente. Avanzò verso il velivolo, invitando Shadow Jack a seguirla con un gesto della mano. Si trattava di una vettura con baldacchino e guida a propulsione, governata manualmente da un giovane ben vestito e dall’aria annoiata. «Dove andiamo?»
«A… alla distilleria Tiriki. E in fretta.» Betha sporse la testa oltre il bordo del baldacchino striato, e sentì il pavimento che le dondolava sotto i piedi in mezzo a un mare d’aria, mentre in alto e in basso era tutto uno scintillio di cristalli. Shadow Jack la seguì. Il taxi decollò, abbassandosi, mentre la folla accalcata sull’orlo del precipizio si allontanava pian piano.
«… Torgussen!» Betha udì il funzionario governativo che le gridava dietro qualcosa.
Si girò a guardare; le sue mani salirono al casco, e con movimenti impacciati lo sfilarono. Lei vide sul volto dell’uomo un’espressione di incredulità… riconoscimento… perdita… Basta così! Non c’era rassomiglianza, non poteva esserci riconoscimento… Eric è morto! Si aggrappò a uno dei sostegni del baldacchino, sentendo le correnti d’aria che le agitavano i capelli pallidi e arruffati, e le rinfrescavano il viso ardente. Oh, Dio, quanto spesso succederà tutto ciò? Shadow Jack se ne stava affacciato a guardare giù, in alto, di lato, mentre sfioravano il sole artificiale ingabbiato nel vetro e sospeso nel centro della caverna. Pian piano lei scivolò nel sedile, costringendo i suoi sensi ad assorbire ciò che la circondava, ponendo un freno agli echi del passato.
La caverna era piena di suoni, indistinti e fusi l’uno nell’altro: risate, grida, il ronzio da alveare di meccanismi invisibili. Betha guardò davanti a sé, rendendosi conto in quel momento delle sottili differenze nella sontuosità e nella disposizione delle torri ammassate; negli assurdi angoli dei balconi; nelle buie cavità che occhieggiavano dalle pareti rocciose, gallerie d’ingresso ad abitazioni esclusive. E lentamente si accorse anche del miscuglio di odori aromatici che profumava la fresca aria filtrata; respirò a fondo gustandola, assaporandola, dando sollievo alla sua testa oppressa e affaticata. Imperturbabile, l’autista continuava a fissare dietro di lei il pinnacolo color smeraldo che era la loro destinazione.
Penetrarono attraverso l’imboccatura soffice ed elastica dell’ingresso sul tetto, e percorsero un lungo corridoio vuoto che scendeva in linea retta per venticinque metri fino alla base dell’edificio, al livello della roccia. Betha vi affondò quasi senza accorgersene, e senza provare l’impressione di cadere; attraversarono alcune porte pneumatiche. Shadow Jack si slacciò il casco, se lo tolse e scosse la testa. Lei lo udì trarre un profondo respiro. «Dove siamo?» I capelli erano appiccicati come ciuffi d’erba sul viso sudato; si deterse con la mano guantata.
«Distillati Tiriki. L’ha suggerito l’uomo che era con noi sul carrello.» Betha esitò, non volendo comunicargli i suoi sospetti.
«Bastardi.» La bocca gli si piegò all’indietro. «Mi piacerebbe veder saltare in aria questo posto. Non sarebbero così…» La rabbia gli soffocò le parole in gola.
Betha lo osservò, avvertendo un senso di dolore e una punta di fastidio. Allungò una mano; il guanto premette sul tessuto morbido e resistente della sua spalla. «So quello che provi… lo so bene. Ma quelli che erano con noi su quel carrello provavano la stessa cosa. Perciò smettila subito con questo atteggiamento, o dovrai fare i conti con me. Non possiamo permettercelo. Io voglio qualcosa da questa gente, e anche tu, e questa cosa è di gran lunga più importante di ciò che noi proviamo. Quindi stampati un bel sorriso sulla bocca per tutto il tempo in cui tratteremo questa faccenda, e nasconditici dietro.» Da qualche parte la sua memoria riuscì a liberarsi dai legami. «“Sorridi sempre… e comportati male”.» Betha sorrise, inalando l’aria fresca e profumata, e desiderò che lui la guardasse in faccia. Lentamente Shadow Jack sollevò la testa e quando i loro occhi s’incontrarono, per la prima volta lei lo vide sorridere.