Il vecchio rivolse un’occhiata al capitano, che scrollò il capo. «Non importa; immagino che comunque lo verrà a sapere abbastanza presto.» Gesticolò con la mano in direzione dello schermo, richiudendola poi a pugno. «Sono morti tutti su Discus. E noi stiamo per ritornare indietro. Pappy, tienti pronto a fare rotta per Discus. Non possiamo rischiare di restare ancora qui. Abdhiamal, prenderemo ciò che ci serve dagli Anellani, in tutti i modi possibili e convenienti.» Gli scagliò addosso quelle parole con tono di sfida, poi si voltò verso Shadow Jack e la ragazza. «Ho intenzione di allontanarmi da qui al più presto possibile, e voglio essere sicura che nessuno della Demarchia possa raggiungerci. Per cinque o sei giorni viaggeremo a gravità uno, per tornare sugli Anelli.»
«Ne varrà la pena.» Shadow Jack fece schioccare le nocche. La ragazza fece un cenno affermativo con il capo, stringendo la bocca fino a farla diventare una linea sottile, poi si avvicinò a Shadow Jack e gli sfiorò il braccio nudo. Irritato, lui le guardò la mano ma non si ritrasse.
«Hai sete?» gli domandò. Lui raddrizzò le spalle, abbandonando il suo portamento accasciato, e improvvisamente sorrise, passandosi la mano sulla bocca. «Sììì!» Si spinse via dalla parete e lasciò la sala insieme alla ragazza.
Il vecchio si era legato al sedile con le cinture di sicurezza, ed era affaccendato sul quadro comandi. Il capitano si sollevò in aria per recuperare una matita e un indefinibile cubo metallico, poi spinse il gatto in un’apertura nella parete.
«Capitano…»
La donna si girò verso il quadro comandi. «Sì?»
«Vorrei il permesso di usare la radio.»
«Rifiutato.» Lei raggiunse una sedia, e vi si sistemò sopra.
«Ma io devo…»
«Rifiutato.» Gli voltò le spalle e non si curò più di lui, dedicandosi al suo lavoro davanti al pannello. L’uomo attese, studiando l’anonima combinazione formata dalle pareti azzurrine e dal tappeto verde. Notò su una parete una striscia color blu scuro a forma di freccia, con sopra la parola GIÚ.
«La nave di Lansing è assicurata. Sono state inserite le coordinate, Pappy?»
«Sì. Quando vuoi, siamo pronti.»
«D’accordo. Accensione… trenta secondi. Piedi al suolo, tutti voi!» Le sue ultime parole echeggiarono per tutta l’estensione dell’astronave, attraverso l’intercom. Wadie osservò le sue mani che si muovevano sul quadro comandi secondo una sequenza logica, poi sentì la mano leggera e familiare della gravità che lo premeva sulle spalle. E cominciò a scendere. I suoi piedi toccarono il pavimento, e la tensione sulle sue gambe continuò, oltrepassando il livello della familiarità, poi il livello della leggerezza. Indietreggiò e si afferrò a una sbarra lungo la parete, ricordando i trenta secondi a gravità uno trascorsi a bordo di una nave Anellana, e rendendosi conto di come sarebbero stati i successivi cinquecentomila secondi. Il dolore gli torse i muscoli. La striscia blu sulla parete azzurra riempì il suo campo visivo con quella parola: GIÙ… Le sue mani si strinsero e lui si mise in piedi, sopportando il dolore, ignorando il cuore che gli pulsava contro le costole come uno stantuffo.
Rimase in piedi… e si allontanò a tentoni dalla parete, mentre la pressione che lo opprimeva tendeva a stabilizzarsi. Fu colto da un accesso di vertigini che lo fece barcollare, ma riuscì a controllarsi, e si tenne in precario equilibrio mentre il capitano e il vecchio si alzavano dai loro sedili. Lo guardarono con ansiosa commiserazione; il gatto uscì dalla parete attraverso un portello di plastica, girò attorno alle sue gambe e gli leccò lo stivale, quasi volesse consolarlo. Lui incrociò le braccia e fissò gli altri con un pallido sorriso.
Il capitano si voltò e uscì dalla sala. Il gatto la seguì saltellando, la coda eretta come una bandiera.
«Abdhiamal, non è vero?» Il vecchio si diresse verso di lui protendendo la mano. «Io mi chiamo Welkin, e sono l’ufficiale di rotta del Ranger.»
Wadie fece un cenno affermativo con la testa e gli strinse la mano, domandandosi perché mai gliela avesse offerta. Notò che le dita di Welkin risplendevano di anelli dorati come quelle di Betha Torgussen, e che la sua stretta era decisa e virile… Il vecchio doveva essere robusto, se riusciva a sopportare un’accelerazione a gravità uno: dieci metri per secondo quadrato, la gravità della Vecchia Terra. Era così che si viveva, una volta, sulla Terra. Un frastuono, e da qualche parte sotto di loro si levò l’esclamazione di dolore di Shadow Jack. «All’inferno!» Non c’è da stupirsi se abbiamo chiamato Paradiso questo sistema.
RANGER +2,25 MEGASECONDI
Cinquanta chilosecondi più tardi Wadie si stava arrampicando per il pozzo vuoto delle scale, un gradino dopo l’altro… desiderava ardentemente muoversi carponi e sapeva benissimo che nessuno lo avrebbe visto, ma era ben deciso a riguadagnare il controllo di qualcosa, se non altro della sua dignità. Aveva esplorato i livelli inferiori della zona abitata della nave: gli alloggi dell’equipaggio, l’aliena rigogliosità di un laboratorio idroponico adattato a gravità uno; la sala macchine… l’ultimo ricordo era un desiderio bruciante. Aveva visto tutto, tranne la sezione al secondo livello dietro una porta sigillata sulla quale ammiccava una luce rossa di pericolo. E dovunque era rimasto sbalordito dall’incredibile spreco — di acqua, di aria, di spazio vitale — in una matrice di uniforme austerità che era primitiva, se paragonata alla raffinatezza della Demarchia. E aveva trovato ironico che gli abitanti di Mattino si considerassero poveri, quando per certi aspetti erano le persone più ricche che lui avesse mai visto.
Raggiunse la sommità delle scale, e si appoggiò alla ringhiera finché le vertigini furono passate e il cuore ebbe rallentato il suo battito. Quando si rimise in piedi i muscoli gli dolevano atrocemente, e appena si mosse il dolore gli trafisse le gambe tremanti come un cavo incandescente. Prima di entrare in sala comandi fece del suo meglio per dare una sistemata ai suoi nuovi abiti.
Gli altri erano già lì e fissavano qualcosa sullo schermo. Il capitano e Welkin erano seduti, Shadow Jack e la ragazza stavano invece sdraiati sul tappeto, con il peso distribuito sulla maggior porzione possibile di spazio. Proprio in quel momento la ragazza stava cercando di sollevarsi sui gomiti, con il corpo rigido dalle ginocchia in su. Lui vide che le sue braccia tremavano, e subito dopo Bird Alyn si accasciò sul cuscino a faccia in giù. Sconfitta, rimase sdraiata sul pavimento a braccia aperte. «Non ce la faccio.»
«Allora non lo fare» le disse Shadow Jack; poi, più dolcemente: «Finirà presto, Bird Alyn; non è necessario che ci abituiamo.» Lanciò in aria delle carte da gioco e le osservò mentre piombavano a terra in modo incredibilmente rapido. «Guarda che si è svegliato, finalmente!» Shadow Jack sollevò lo sguardo al disopra delle spalle; il gatto gli sfiorò la testa e andò ad accucciarsi sulle carte.
Wadie improvvisò un inchino, stando bene attento a non perdere l’equilibrio. Nessuno gli restituì il saluto, e lui sentì crescere dentro di sé l’indignazione, ma poi ricordò che non poteva aspettarsi di trovare la civiltà, lì dove si trovava. Pirati… quasi sorrise, colpito dal ricordo di ciò che una volta significava essere chiamato Cinturano, quando l’unica Cintura di Asteroidi era quella di Sol. Studiò il volto del capitano (un volto adesso pulito, così come i bei capelli tagliati corti) e scorse nei suoi occhi qualcosa che lo sbalordì. Lei abbassò lo sguardo, accendendosi la pipa. La penetrante dolcezza di ciò che bruciava, qualsiasi cosa fosse, ridestò in lui dei ricordi istintivi di cose che non aveva mai visto.