«Capitano.» Si inchinò come di consueto, e lei rispose con un cenno del capo, osservandolo mentre sì avvicinava: il demerca perfetto, obbligatoriamente educato, obbligatoriamente impeccabile. E goffo come un bambino che muovesse i primi passi, sotto il peso di una gravità. Aveva un volto sofferente, che recava i segni della tensione e della perdita di fluidi. Betha ricordò di averlo visto utilizzare l’acqua potabile per lavarsi la faccia, sul Lansing 04, convinto che nessuno se ne accorgesse… Lei si ravviò distrattamente i capelli. «Ha trovato tutto ciò che le occorreva, Abdhiamal? Ha mangiato?» Wadie non si era unito agli altri, quando avevano mangiato insieme in sala da pranzo.
Lui sì sedette. «Sì… qualcosa. Non so cosa.» Al ricordo sembrò sentirsi poco bene. «Temo di avere qualche problema, con il cibo.»
«Come si sente?»
«Ho nostalgia di casa.» Lui rise, disprezzandosi da solo, quasi avesse detto una bugia. Poi fissò lo schermo vuoto. Rusty si materializzò sulle sue ginocchia e gli si accoccolò in grembo, coprendosi il naso con la coda. Lui gli accarezzò il dorso con la mano scura, quasi meticolosamente; Betha notò sul pollice il grosso anello d’argento tempestato di rubini.
«Mi dispiace.» Betha estrasse la pipa dalla tasca laterale dei jeans, rassicurandosi al contatto delle sue mani con la familiarità del legno intagliato.
«Non deve.» Si spostò, e Rusty protestò lamentosamente, drizzando la coda. «Perché lei aveva ragione, capitano; e io ho fatto la scelta giusta, venendo con lei. Non si può permettere alla Demarchia di impadronirsi della sua nave; nessuno nella Cintura di Paradiso può… io non sto dicendo che a causa di quello che mi è successo…» Qualcosa nella sua voce le disse che non era del tutto sincero. «Ho sempre saputo, fin dal primo momento in cui ho sentito parlare di questa nave, che troppa gente si sarebbe fatta prendere dalla smania di sentirsi un dio.» Wadie alzò gli occhi. «Anche se non è mio diritto, consegnerei ancora la sua nave alla Demarchia, ammesso che me ne capitasse la possibilità… e se fossi convinto che li salverebbe. Ma non è così. Il governo è troppo debole, e adesso non sarebbe mai capace di mantenere l’equilibrio.» Le sue dita affondarono nei soffici braccioli della sedia. Il suo viso non tradiva nessuna emozione. «Perciò le dico questo: l’aiuterò a uscire da questa situazione, nel modo che potrò. Farò tutto ciò che posso, le dirò tutto ciò che lei vuole sapere. Sarà il mio ultimo servizio per la Demarchia: guadagnare loro un altro po’ di tempo e salvarli da se stessi.» I suoi occhi si fissarono su Discus, sullo schermo. «Se devo essere un traditore, almeno reciterò bene il mio ruolo. Per me, il lavoro è una questione di orgoglio.»
Betha smise di spiare ogni suo minimo movimento, rossa in volto. «Se davvero dice sul serio, Abdhiamal… io voglio il suo aiuto, quali che siano i suoi motivi personali. Ho bisogno di sapere tutto ciò che può dirmi sugli Anellani… specialmente il numero e la disposizione delle loro distillerie. Per quanto siano primitivi, bisognerà pur fare un piano molto accurato per rubar loro qualcosa con un’astronave disarmata… E poi, come dice lei, finora non me la sono cavata troppo bene. È sempre stato Eric l’esperto in strategia… io non ci ho mai capito molto.»
«Al contrario. È stata proprio lei che ci ha giocato con molta abilità, su Mecca.» Dietro il suo sorriso c’era una certa ironia. «Credo di poterle dare delle coordinate piuttosto precise; ho trascorso un bel po’ di tempo sugli Anelli, circa duecentocinquanta megasecondi fa’, quando li aiutammo ad ampliare la loro distilleria principale. In realtà, io…» Improvvisamente si interruppe. «Mi parli di Mattino, capitano. Mi dica in che modo funzionano le cose da voi. Mi sembra che lei non approvi molto il nostro modo.»
Betha studiò le parole, cercando di trovare la ragione di quell’improvviso cambiamento di discorso; era soltanto certa che a lui non interessava una risposta, ma solo sviare l’argomento. E anche a me. «No, non posso dire di approvarlo, Abdhiamal. Ma questi sono problemi della Demarchia, tranne quando intralciano la mia strada… immagino che dal vostro punto di vista possiate accusarci di enfatizzare troppo i vostri vincoli di parentela, come esseri umani ma soprattutto come consanguinei. Lei già conosce la nostra unità familiare a matrimonio multiplo.» Betha sollevò gli occhi; quelli di lui rimasero inespressivi, ma lei avvertì il suo disagio. «Al disopra c’è il nostro “clan”» non nel senso tecnico del Vecchio Mondo, a parte il fatto che ti dice chi non puoi sposare «i parenti veri e propri, i fratelli e le sorelle, i figli. Tutti i rapporti vanno aldilà di ciò… fin quasi all’infinito, a volte. Tutti noi cerchiamo di prenderci cura di noi stessi; su Mattino ognuno ha dei parenti da qualche parte… Solo che una persona non disposta a dividere il suo lavoro, si accorge che anche i suoi parenti non sono contenti di dividere in eterno la ricompensa.»
“L’unica struttura sociale formalizzata al disopra del livello del clan è quella che noi chiamiamo “emisfero”…”. «Betha perse il suono della sua voce e perfino la dolorosa consapevolezza della presenza di Abdhiamal; vividi ricordi riempirono di improvviso tormento gli spazi fra le sue parole. L’emisfero di Borealis: un’arbitraria unità economica per la distribuzione delle merci e dei servizi. L’emisfero di Borealis: la sua casa, il suo lavoro, la sua famiglia, il suo mondo… una bambina ridente (sua figlia, o forse lei stessa) che camminava all’indietro per lasciare sulla neve le impronte di un angelo.»
«Le nostre industrie sono gestite in maniera autonoma, come le vostre… ma immagino che voi le definireste “monopolistiche”. Esse collaborano non per i profitti, ma perché devono farlo per non fallire. La cosa funziona perché noi non abbiamo mai qualcosa in quantità sufficiente, soprattutto le persone. I miei parenti stretti e la maggior parte di quelli acquisiti lavorano in una fattoria arboricola nell’emisfero di Borealis… Anche mia moglie Claire lavorava lì. Alcune famiglie si specializzavano nel commercio, ma Clewell e io e i nostri coniugi ce la cavavamo un po’ in tutto…» Ricordò la fine del giorno nel crepuscolo infinito, la famiglia seduta insieme intorno al lungo tavolo di legno scuro, mentre i loro figli servivano la cena. II carezzevole calore del fuoco, il tramonto che non svaniva mai dal lucernario di una casa semisotterranea, la piccola conversazione sui piccoli trionfi del giorno, la confortevole stanchezza… il ritorno a casa, salutato da tutti, di qualche coniuge che era stato trattenuto lontano per lavoro, dopo giorni o magari settimane. Eric, di ritorno dall’arbitrato di una contesa portata per le lunghe…
La donna fissò Wadie Abdhiamal, che era tornato ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia, nella sala comandi del Ranger. Un negoziatore… Appiano le dispute, elaboro gli accordi commerciali… Abdhiamal riprese a guardarla con un’espressione leggermente perplessa. Lei scosse la testa. Basta! Basta con queste sciocchezze! «Io… io me ne ero quasi dimenticata; abbiamo anche un Alto Consiglio. È una specie di parlamento formato da funzionari dei diversi emisferi eletti per periodi di servizio. Esso si occupa di quel piccolo commercio interplanetario che riusciamo ad avere, e delle spedizioni di emergenza. È stato il Consiglio a proporre il nostro viaggio su Paradiso. Ma non ha molto a che fare con le nostre vite quotidiane…»
«Allora in un certo senso anche voi, come noi» disse Abdhiamal, «siete privi di un forte governo centrale e con una spiccata tendenza all’indipendenza…»
«No.» Lei scosse di nuovo la testa, negando qualcosa di più che le parole. «Noi siamo come una famiglia. Affrontiamo le cose con la collaborazione, non con la competizione come fa la Demarchia. Il vostro sistema è un paradosso: l’individuo ha un controllo assoluto, eppure non ne ha affatto, se il suo giudizio non coincide con quello della maggioranza. Noi collaboriamo e troviamo comunque forme di accordo perché ciascuno di noi sa esattamente ciò che occorre a sé e agli altri per sopravvivere… E considerando la posizione in cui si trova adesso la Demarchia, direi che non può nemmeno permettersi di continuare ad anteporre il suo interesse a ogni altra cosa.»