Shadow Jack spalancò gli occhi e, fissando Abdhiamal, si domandò chi dei due fosse più sorpreso.
Abdhiamal rise di nuovo, alzando le spalle. «Ma chissà perché, ne dubito.»
«Voglio dire… lei ha affermato che ormai non si sarebbe più sposato. Pensavo che ci fosse… qualche altra ragione.» Si appoggiò con la mano allo stipite della porta.
«C’era.»
S’interruppe, poi riprese: «Ho viaggiato molto. Ciò significa che sono stato esposto ad alti livelli di radiazione e a un potenziale danno genetico. Noi siamo in grado di conservare lo sperma, in modo che gli uomini possano almeno viaggiare e mettere al mondo figli sani. Ma con il decreto di confisca, sono ormai legalmente morto. Distruggeranno il mio conto.» Abdhiamal respirò a fondo. «E sono stato sterilizzato.»
Shadow Jack si voltò verso di lui, lasciando via libera alle parole. «Magari fossi sterile io!» Scosse la testa. «Non intendevo dire che… non volevo dire questo. Ma non potremo mai sposarci, Bird Alyn e io, perché io non sono sterile e lei nemmeno. Noi siamo tarati. Non potremo mai permetterci di avere bambini, ma…»
Abdhiamal grattò Rusty sotto il mento. «È un’operazione semplice. Non sono in grado di effettuarla, su Lansing?»
«Sono in grado… ma non vogliono.» La disperazione sembrava opprimerlo come un fardello. «Se uno è un Materialista, si presume che debba prendersi la responsabilità delle sue azioni, e sopportarne le conseguenze, senza aspettarsi che qualcun altro lo faccia per lui. Come mia madre, quando nacque mia sorella e dissero che era troppo malformata… mia madre dovette portarla fuori… E non permise mai più a mio padre di toccarla.» Si guardò le mani. «Ma la tecnologia medica è cattiva in ogni caso. A volte penso che non vogliano semplicemente sprecare quello che è rimasto.»
La voce di Abdhiamal era gentilmente professionale. «Come mai ti hanno giudicato difettoso? A me sembri sano.»
Le mani di Shadow Jack si strinsero sul metallo. «Forse allora non lo ero, ma mia sorella sì. E loro avevano bisogno di altri lavoratori all’esterno, così mi dissero che dovevo lavorare in superficie. Ciò succede quando la tua imperfezione è superficiale, come nel caso di Bird Alyn. È là che l’ho incontrata…» Là dove lui aveva scoperto cosa doveva essere stata una volta la vita, dove aveva vissuto nella bellezza dei giardini e non nello squallore della pietra. E dove aveva imparato che la sua vita non finiva lì solo perché aveva lasciato la protezione delle pareti rocciose; e insieme a essa non finiva il sentimento, o la fede, o la speranza. Ma aveva trascorso troppi megasecondi a rabberciare lo schermo malandato del pianeta, troppi megasecondi all’interno di una nave contaminata… E non c’erano miracoli che potessero guarire una mano deforme o risanare un cuore infranto.
Diede un colpo allo stipite. «Tutto va male! Io non volevo chiamare Betha… come l’ho chiamata. Ma ha così tanti mariti! E ha anche dei bambini! Mentre invece Bird Alyn e io non possiamo neppure avere noi stessi… la cosa mi ha fatto uscire di senno. Betha ha perso molto e io… e io gliel’ho ricordato. Lei ci ha aiutato dopo che abbiamo tentato di impadronirci della sua nave, come hanno fatto tutti gli altri…»
«Davvero? E ve l’ha fatta passare liscia?»
Lui annuì, sentendosi ridicolo. «Tutto ciò che avevamo con noi era un apriscatole… credo che ci abbia preso per degli idioti.»
«E… hai detto che ha dei bambini?» Abdhiamal abbassò lo sguardo sulla larga striscia di cuoio che portava al polso.
«Già. Per loro andare nello spazio… è come fare qualsiasi altra cosa. Non è la fine di tutto.» Si morse la lingua, ricordandosi che così non era stato per l’equipaggio del Ranger.
«Se vi ha perdonato per aver tentato di rubare la sua nave, immagino che ti perdonerà per averla chiamata pervertita. Più presto di quanto perdonerà me per le mie osservazioni a proposito degli ingegneri.»
Shadow Jack aggrottò la fronte, senza capire.
Il sorriso di Abdhiamal si spense. «Pare che tu e io abbiamo più di un problema in comune. Così come ogni gruppo della Cintura di Paradiso deve dividere i problemi di tutti gli altri. E non sono più tanto sicuro che esista una risposta facile per ognuno di noi.»
Shadow Jack distolse lo sguardo e vide Bird Alyn che lo guardava dal fondo del corridoio. I loro occhi s’incontrarono, mentre lo sconforto lo trascinava a fondo come il peso della gravità. «Non c’è nessuna risposta. Avrei dovuto saperlo. Mi dispiace di averle fatto perdere tempo, Abdhiamal.»
Wadie richiuse la porta, continuando a coccolare il gatto contro il suo corpo con aria assente. Con gli occhi della mente vide il futuro di Lansing, dolore e morte tra i giardini… e vide in Lansing il futuro di tutta Paradiso… Il futuro? Il silenzio gli comprimeva gli orecchi, assordandolo. La fine. La Demarchia non era che una delle tante chiazze di neve in via di scioglimento. Non c’era risposta. Lui non poteva fare nulla — non aveva mai fatto nulla — per fermare la Morte. Si era voluto convincere che il suo lavoro avesse un minimo di dignità e di importanza, che nelle sue trattative esistesse qualcosa di creativo, una forza cieca in grado di contrapporsi alla disintegrazione e al decadimento. Ma si era sbagliato. Era sempre stato troppo tardi. Lui era soltanto un dannato bellimbusto che aveva vissuto a spese di tutti gli altri… e che aveva sprecato la sua vita nell’autoillusione che in qualche modo li stesse salvando tutti. Aveva sprecato la sua vita: aveva gettato al vento la sua ultima possibilità di avere una moglie, una casa, una famiglia, qualsiasi vero rapporto. E tutto ciò che aveva sempre fatto, o creduto, tutto ciò che era sempre stato non aveva nessun significato. Tutto per niente, nel passato e anche nel futuro. Niente.
Rusty si dimenò nel suo abbraccio come un bambino impaziente. Nel lasciarlo il suo braccio strusciò sulla griglia del ventilatore, e la sua mano si richiuse su un oggetto quadrato, piatto, grosso come il palmo di una mano, bloccato contro la griglia stessa dalla leggera corrente d’aria che usciva. Lo afferrò e lo guardò. Una fotografia — un ologramma — di un uomo e una donna, ognuno con un bambino in braccio, avvolti da una luce abbagliante di fronte a un’abitazione brutta e mezza affondata. La donna era Betha Torgussen, i lunghi capelli raccolti in trecce sulla testa. L’uomo, alto, occhi neri, un viso magro, bruciato dal sole… Eric? All’improvviso ricordò la voce di lei dietro una visiera schermata, sopra una vettura del vagoncino di Mecca. Mi… mi sembrava che lei fosse qualcuno che conoscevo. Wadie sfiorò le immagini col dito, attraversandole. Spettri…
Da un altoparlante sulla parete gli giunse la voce di Betha Torgussen: avvisava l’equipaggio che Nakamore aveva accettato le condizioni.
RANGER + 2,74 MEGASECONDI
«Bene, Pappy, i cavi sono stati assicurati. Questa volta abbiamo davvero superato noi stessi! Tiraci su.» Betha sollevò il mento dal pulsante dell’altoparlante e si aggrappò con il braccio al robusto cavo d’acciaio intrecciato, sicura nella cavità in mezzo ai cilindri di idrogeno. Sentì lo strappo brusco mentre i verricelli iniziavano l’ultimo carico di carburante, tirandolo verso il Ranger che scintillava in lontananza.
«Così è la sorte, Betha.» La voce di Clewell le riempì il casco. A lei parve di vederlo sorridere, aldilà dello scafo lucido come uno specchio.
«Proprio così. Ce l’abbiamo fatta, Pappy! È quasi finita!» Attraverso la visiera schermata del casco Betha vide l’argento fuso, lo scarabeo rosseggiante di Discus che si rifletteva sullo scafo del Ranger, sorgendo sopra un orizzonte color verde-pallido di cisterne raggruppate, fra le quali si scorgeva una piccola macchia nera: l’ombra di Nevi-delIa-Salvezza… o un foro frastagliato scavato nel metallo. Betha distolse lo sguardo, provando una sensazione di vertigine, e lo fissò sulla figuretta illuminata di Shadow Jack, a una estremità del fascio di cilindri largo cinquanta metri. Da lui lo spostò verso il vuoto, immaginando l’impietosa attrazione della gravità di Discus che la trascinava nella notte senza fine… come cinque altri prima di lei. Chiuse gli occhi e sì strinse al cavo; li riaprì di nuovo per guardare, sotto di sé, la superficie solida delle cisterne e accanto ad esse, verdi e anonime, il fatuo e taciturno Abdhiamal, all’altra estremità del carico. Erano ormai vicinissimi alla massiccia e protettiva sagoma del Ranger; ben presto avrebbero finito. Una volta, solo una volta ancora… Il sudore le scorreva sulla faccia, dandole una specie di prurito, e lei scosse irosamente la testa all’interno del casco. Dannazione! Non cederai…