«Mettiti pure seduto.» MacWong gli rivolse un sorriso tollerante. «Il “messaggio” è genuino. Non ho intenzione di mostrarti filmetti per passare il tempo.» Si chinò attentamente verso l’angolo della sua scrivania, evitando l’affresco di argentee teste d’animale, e fece scattare un interruttore sul pannello comunicazioni. Non successe nulla. «Dannazione.» Sollevò un fermacarte di platino a forma di gatto in procinto di scattare e lo sbatté sul pannello. L’impatto non fu particolarmente violento, ma la proiezione murale Kleinfelter sulla parete più lontana scomparve e venne sostituita dall’immagine di un volto femminile. «Non so cosa farò se questa scrivania smetterà di funzionare. Non le costruiscono più come una volta.» Rimise delicatamente a posto il fermacarte.
«Non le costruiscono più per niente, Lije.» Wadie seguì con le dita le volute ricamate sulla parte anteriore della sua giacca, e s’immobilizzò quando sollevò gli occhi verso lo schermo. «Un ologramma? Dove l’hai trovato, MacWong?»
«L’abbiamo captato dall’aria, o dallo spazio, se preferisci, trenta chilosecondi fa’. È una vera e propria trasmissione ologrammica; ci abbiamo messo dieci chilosecondi per accorgercene. E non è orientata. Pensa alla potenza e all’ampiezza d’onda che richiede una cosa del genere! Non conosco nessuno che sia più disposto a farlo, ormai.»
«Non sono in molti a poterlo fare…» Wadie si interruppe, osservando e ascoltando mentre la voce della donna cresceva di tono. La sua carnagione era talmente pallida da sembrare priva di colorito, così come i suoi capelli tagliati corti e svolazzanti; il volto era lungo e angoloso. Indossava una camicetta sbiadita aperta sul collo, e non portava gioielli. Doveva essere sui trentacinque, giudicò Wadie, e non sì sforzava minimamente di nasconderlo; era tanto scialba da far pena. Se ne disinteressò, concentrandosi unicamente sulla sua voce. Parlava in Anglo, ma con un accento non familiare; nella sua bocca le parole più comuni sembravano possedere delle sillabe in più.
«…fatevi riconoscere nuovamente, prego. Non ci eravamo resi conto che stavamo violando il vostro spazio. Non proveniamo, ripeto non proveniamo, dal vostro sistema; noi…» Venne interrotta da un rumore appena udibile sulla registrazione; Wadie vide la sua pelle esangue arrossarsi per l’ira, e i suoi occhi indurirsi come zaffiri. Diede un’occhiata a MacWong.
«La marina degli Anellani» disse quest’ultimo. «La loro trasmissione andava nella direzione opposta. Questo è tutto ciò che abbiamo captato.»
La donna guardò fuori dallo schermo, e pronunciò delle parole che lui non riuscì a udire, parole offensive, gli parve; ma la sua voce ritornò sicura appena lei si volse di nuovo verso lo schermo. «Questa non è una nave dei Cinturani, non siamo “Demarchisti”, e non abbiamo commesso nessun atto di “pirateria”. Voi non avete nessuna autorità sulla mia nave; il permesso di salire a bordo è negato. Ma se ci fornirete le coordinate del vostro…»
Venne interrotta nuovamente; Wadie vide la tensione crescere sul suo volto, irrigidendole i lineamenti. «Noi non siamo armati…» E poi, con fermezza: «Ma neghiamo il vostro “diritto di sequestro”. Pappy, fai…» Si girò ancora, e la sua immagine venne spezzata in due da una scarica elettrica rossa. Wadie continuò a vederla per un altro mezzo secondo, poi lo schermo divenne bianco.
«Allora?»
Wadie allentò la stretta delle mani sulla sagoma metallica della poltrona. «L’hanno distrutta? Tutto qui?»
MacWong scrollò il capo. «La nave è stata colpita, ma è riuscita a sfuggire agli Anellani… escluso uno. Abbiamo seguito in parte ciò che è successo dopo; quella nave aliena ha un motore stellare, e quando uno dei vascèlli Anellani lanciato all’inseguimento si è avvicinato troppo, quella donna si è servita dei gas di scarico per ridurlo a un ammasso di rottami liquefatti. Forse quella sdegnosa Regina Vichinga non è armata, ma è pericolosa.»
Wadie non disse nulla, aspettando il seguito del discorso.
«Non sappiamo dove si trovi adesso la nave, e nemmeno perché sia qui. Ma ho qualche idea in proposito. Lei ha detto di provenire dallo spazio esterno, e io le credo. Nessuno nella Cintura possiede più nulla di così sofisticato. E poi il fatto che sia guidato da una donna… in particolare da una donna che sembra…»
«Forse è un’albina… forse proviene dalla Cintura Principale. I recuperatori non si preoccupano di chi va nello spazio; e comunque non hanno nessuna protezione contro le radiazioni. Può darsi che siano stati molto fortunati, nella loro opera di recupero.» Però sapeva che MacWong aveva ragione, che quella donna e il suo accento erano troppo alieni.
MacWong lo guardò. «Nessuno è così fortunato. Cos’è che non va, Wadie, ti sembra un miracolo eccessivo? Questa non è la fantasia di qualche pubblicitario, credi a me. Quella nave proviene dall’Esterno, il primo contatto che abbiamo avuto con il resto dell’umanità da più di tre gigasecondi. E la rotta che hanno seguito dagli Anelli potrebbe condurli alla vecchia capitale, Lansing. Se le cose stanno così, può esserci solo una spiegazione circa la presenza di quella nave: non sanno niente della Guerra Civile. Sono venuti su Paradiso credendo di trovare strade lastricate d’oro, e quando si renderanno conto che non ne esistono più se ne andranno via per sempre. Non possiamo permettere che ciò accada…»
«Che bene potrebbe farci ormai una sola nave?» Wadie fissò la parete bianca, e suo malgrado sentì un’altra domanda prender forma ostinatamente dentro di sé.
«Quella nave potrebbe farci un mondo di bene.» MacWong prese il suo gatto di platino. «Quella nave è un tesoro, quella nave è potenza… quella nave potrebbe salvarci.»
Wadie annuì, ammettendo fra sé che l’immenso reattore a fusione della nave sarebbe bastato da solo per consentire alla Demarchia di gettare le basi di una ricostruzione industriale su larga scala. E Dio solo sapeva quali altri prodigi tecnologici — e funzionanti — potevano trovarsi a bordo. Il semplice possesso di una nave come quella poteva dare una svolta decisiva al commercio di neve della Demarchia con gli Anelli. Avrebbero potuto addirittura fare a meno di Discus e degli Anellani, e impiantare delle proprie distillerie sulle lune di Sevin…
Per quanto riusciva a ricordare, Wadie aveva sempre visto intorno a sé i segni di una società che gradualmente si era andata lacerando in corrispondenza delle linee di giunzione, sentendosi solo in quella terra desolata che la Cintura di Paradiso era divenuta a causa della guerra civile. In virtù della sua collocazione periferica, la Demarchia era uscita dalla guerra civile relativamente intatta. Ma la Cintura Principale era stata distrutta, e ora l’unico contatto commerciale che la Demarchia aveva con l’esterno era quello con la Grande Armonia degli Anelli di Discus, e gli Anellani riuscivano appena a sopravvivere. La Demarchia era anch’essa sul punto di precipitare insieme agli altri, ma dal momento che la strada del declino era ancora lunga, Wadie si era accorto che nessun altro sembrava aver intuito la verità. Erano accecati dal fiero, tradizionale egocentrismo che era stato la forza della Demarchia… e che adesso, forse, ne era la fatale debolezza.
Lui era diventato negoziatore nella speranza di guarire le ferite che il suo popolo si era inflitto da solo. Aveva creduto che in qualche modo l’elemento unificante, il comune legame del bisogno che univa ogni essere umano, potesse essere usato come una forza contro la disintegrazione e il decadimento; che la Demarchia sarebbe sopravvissuta; che essi avrebbero trovato una risposta. E adesso quella nave… La sua fantasia fece un balzo, per poi ricadere nel momento in cui la domanda tornò a colpirlo: chi avrebbe controllato una nave del genere… e chi avrebbe controllato i controllori? «Ma, come hai detto, quando vedranno ciò che è rimasto di Lansing, quelli ritorneranno in patria.»