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Lei si voltò a guardarlo, e lo tacitò con un’occhiata. Raul si domandò che espressione avesse assunto. La donna si girò di nuovo verso di lui. «Lo farà?»

Sapendo quanto sarebbe stato facile mentirle, lui rispose: «Chiederò l’autorizzazione. Forse riuscirò a ottenerla, forse no.» Poi attese una reazione da parte della donna, e rimase stupito nel vederla quasi esasperata, come se avesse preferito sentire una menzogna, trovare una scusa per perpetrare il suo tradimento. O c’era qualcos’altro? Pensò a Wadie Abdhiamal.

«E che ne farà dell’equipaggio? se riuscirà… a prendere la nave intatta?»

«Intende dire se li lascerò vivi?» Sua figlia… e alla fine trovò in ciò una spiegazione sufficiente. «Le sta così a cuore?»

Flame Siva trasalì; i suoi occhi erano ceneri ardenti, ma la voce aveva perso ogni vitalità. «Sì… certo che mi sta a cuore…» Poi, d’un tratto, in tono di sfida: «Tutti mi stanno a cuore! Stanno cercando di salvarci!» S’interruppe, mordendosi le labbra.

Raul si spostò un poco. «Se non oppongono resistenza, libereremo tua figlia e l’altro; se è questo che vuoi.» Sarà già una punizione sufficiente. «Quanto agli altri… a bordo c’è un traditore della Demarchia che ha fornito loro le informazioni per attaccare la nostra distilleria. Non credo che abbia molta scelta.» Ma voglio ancora una spiegazione. «Gli altri, gli alieni, o ciò che rimane di loro… immagino che in un modo o nell’altro collaboreranno con la nostra marina.»

«Lei non li lascerà mai andare.» Non era una domanda.

«Non credo che ci sarà mai una possibilità di trattare la questione, tra noi e loro.»

Lei annuì, o forse scosse la testa con uno strano movimento laterale. «Noi facciamo quello che possiamo, qui… e prendiamo quello che troviamo. Siamo responsabili delle nostre azioni.» Di nuovo la sfida, la provocazione, il fuoco… la donna fissò gli spettri incarnati dell’assemblea di Lansing. «Ce ne assumiamo le conseguenze.»

«Sandoval.» Raul gli fece cenno di venire avanti. «La riporti indietro e lasci che lavori alla riparazione della radio. Ma qualunque cosa succeda, non le permetta di trasmettere nulla, ripeto, nulla, a meno che io l’autorizzi.»

«Sì, signore.» Sandoval fece un rapido saluto e condusse via la donna; quest’ultima lasciò la sala a testa alta, fiancheggiata dalle guardie.

Raul incaricò altri due uomini di controllare il portello di ingresso, e ne tenne uno con sé. Il primo ministro e l’assemblea attesero, rendendosi conto ancora una volta — così come se ne rendeva conto lui — della loro mancanza d’importanza, della loro perdita di autorità.

Il primo ministro si rivolse a Wind Kitavu, mentre i suoi abiti si aprivano come un germoglio. «Tu. Cosa ci fai quaggiù?»

«So quello che stavo facendo.» Wind Kitavu fece un balzo ad arco, allontanandosi dalla parete. «Il bambino. Lo sapete tutti, non comportatevi come se non lo sapeste.»

Il primo ministro si ritrasse con un movimento che non si addiceva a un dignitario. «Allora non aspettarti niente da noi! Sapevi cosa sarebbe accaduto. Accetta i tuoi errori… torna al lavoro.» Il primo ministro tese il braccio.

Raul vide la sporcizia sotto la manica, uno strato incrostato dal polso al gomito. Udì uno dei suoi uomini ridere di nuovo rumorosamente, ma stavolta non fece nulla per zittirlo. Distolse lo sguardo. «Wind Kitavu.»

Wind Kitavu si fermò a metà del suo cammino in direzione della porta.

«Esci in superficie?»

Un cenno affermativo con il capo; il volto rimase inespressivo. «Vado a dirlo a mia… moglie. A dirle del bambino.»

«Allora ti seguiremo. Voglio vedere quei maledetti giardini.»

«Maledetti giardini…» Quelle parole riecheggiarono, ma sembrava la voce di qualcun altro. Wind Kitavu si diresse verso l’uscita. Raul non si voltò per rendere omaggio al Primo Ministro di tutta la Cintura di Paradiso.

Raul seguì la sua insensibile guida attraverso altre gallerie, stavolta verso l’alto. In un punto davanti a loro apparve una luce che si allargò sempre più via via che loro si avvicinavano… una luce così intensa che poteva essere solo quella del sole. Ma in questa occasione Raul affrontò la luce del giorno in un modo che era stato naturale per la specie umana in tutti gli innumerevoli anni della sua esistenza, un modo che per lui era completamente nuovo e inaspettato: passò dall’oscurità alla luce liberamente, facilmente, senza che nessuna barriera si frapponesse fra loro.

E si fermò, emergendo sul fianco della collina, assorbendo la verde, accecante luminosità, e lasciandosene assorbire. Ebbe un improvviso, vivido ricordo delle serre idroponiche dell’Armonia, il calore e l’umidità che le rendevano un inferno soffocante per il cittadino medio. Il marinaio che lo accompagnava si ritrasse nell’imboccatura della galleria, e lui gli ordinò seccamente di tornare al suo posto. A tutti i cittadini era richiesto un servizio periodico nei laboratori idroponici, una specie di prova che tutti dovevano sopportare. Lo aveva fatto anche lui, da giovane, ma adesso che era diventato una Mano dell’Armonia non gli era più richiesto. Forse il rango ha i suoi vantaggi.

Ma il gruppetto di cenciosi lavoratori che si stava radunando in quel momento non aveva un’aria più invidiabile di quelli che si era appena lasciato alle spalle nella galleria. Isolato dalla tuta, non avrebbe mai sperimentato la realtà dei giardini, come era stata la vita sulla Vecchia Terra. Due futuri erano in attesa per lui, nell’equilibrio della vita e della morte… e in un caso o nell’altro, quell’opportunità non gli si sarebbe mai più ripresentata…

Tornò a guardare quel mucchio ondeggiante di volti sporchi e tristi, le deformità genetiche che li segnavano come un marchio d’infamia. Sopra di loro, in mezzo ai tralicci e ai ghirigori degli alberi fragili e indistinti, il tetto del cielo era una membrana trasparente sfigurata da troppi rappezzamenti di diversa forma e colore. Lassù, una volta, doveva esserci stato qualcos’altro, uno schermo di energia per proteggerli dalle radiazioni solari… una protezione che da lungo tempo era andata perduta. Nella Grande Armonia il lavoro permanente nei laboratori idroponici veniva assegnato come punizione. Anche lì era una punizione, ma in un modo diverso, per il delitto di essere vittima… Tenne addosso il casco, di nuovo preoccupato al pensiero della contaminazione: non la contaminazione della malattia, ma quella ben più pericolosa dello spirito. In fondo quello era un posto con cui non voleva avere nessun tipo di contatto.

«Cosa succede adesso?» Uno degli uomini afferrò la manica di Wind Kitavu, tirandogli fuori un lembo della camicia già malconcia. «Si mettono le tute per venire fuori a farci la predica?»

Wind Kitavu si liberò dalla presa, sistemandosi di nuovo la manica sul braccio. «No… La sua voce si affievolì, mentre cercava di spiegare a gesti. Raul non riuscì a cogliere le sue parole, accorgendosi che l’atmosfera si stava impercettibilmente animando; osservò il lieve agitarsi degli alberi, e notò un’espressione ormai fin troppo familiare farsi strada di volto in volto, in mezzo al gruppo dei lavoratori: una desolazione così totale da non potersi neppure trasformare in rabbia.»

Wind Kitavu chiese a sua volta qualcosa, e l’uomo che lo aveva fermato indicò vagamente in una certa direzione. Senza chiedere il permesso, senza nemmeno girarsi a guardarli, Wind Kitavu se ne andò, scomparendo in mezzo ai cespugli e facendo cadere al suo passaggio leggere nuvolette di petali colorati. Il bambino. Raul non fece nulla per fermarlo, poiché ricordava ciò che andava a fare e non aveva perciò nessun desiderio di esserne testimone. Gli altri lavoratori cominciarono a dileguarsi di qua e di là, ma continuarono a seguirlo con lo sguardo mentre i loro piedi nudi si scostavano dal morbido tappeto di vegetazione calpestata.