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«Può darsi.» MacWong si tolse qualche granello di polvere dal polsino. «Ma Osuna ritiene che forse hanno prima bisogno di fare rifornimento. La strada di casa è lunghissima per chiunque, da qui. Non è probabile che ritornino sugli Anelli per rifornirsi, date le circostanze. Il che significa che potrebbero venire da noi; se hanno bisogno di idrogeno trattato, non c’è altro posto dove possono andare. Perciò sto distaccando tutti gli uomini disponibili. Voglio che tu vada su Mecca. Le distillerie ne fanno un obbiettivo primario, e tu hai più esperienza di ogni altro membro del personale nel trattare con gli… alieni.»

Wadie accettò il tacito complimento e la tacita ripugnanza, ricordando i cinquanta milioni di secondi trascorsi nella Grande Armonia degli Anelli di Discus e tutte le cose viste lì, cose che non avrebbe mai immaginato di vedere. Si alzò in piedi, allungando la mano per prendere il cappello. «E se non hanno voglia di negoziare?»

«Non mi aspetto che ce l’abbiano. Ma questo non importa; tu sei pagato per fargliela venire. Prometti loro quello che vuoi, ma tienili lì, blocca la nave finché potremo assumerne il controllo.»

Wadie si aggiustò il berretto guardandosi nella parete a specchio. «Cosa intendi dire con quel “potremo”, Lije? Chi controllerà quella nave? Non sarà il governo, ci penserà il popolo. E il primo ragazzetto più intraprendente degli altri che se la ritroverà fra le mani…»

MacWong non ne fu divertito. «A volte mi domando se non hai passato troppo tempo con gli Anellani, Abdhiamal. Dannazione, Wadie, non metto più in dubbio la tua lealtà, dopo duecento megasecondi. Ma c’è chi lo fa ancora, e pensa che forse ti piacerebbe davvero vedere un governo centralizzato.» Si interruppe. «Quando avremo la nave ci sarà una riunione generale per risolvere la faccenda.» Si piegò in avanti al disopra della scrivania dai bordi sporgenti. «La Demarchia deve avere quella nave, e nessun altro al di fuori della Demarchia.»

«Il capo sei tu» replicò Wadie con un inchino.

«No.» MacWong si raddrizzò. «Il capo è la Demarchia. Noi diamo al popolo ciò che il popolo ritiene di volere. Nient’altro ha significato. Dimenticatene, e abbiamo perso il posto… o peggio. Fossi in te, non me ne dimenticherei mai.»

Sapendo che MacWong non se ne scordava mai, Wadie lasciò l’ufficio.

RANGER +130 CHILOSECONDI

(IN TRANSITO DA DISCUS A LANSING)

Alla fine Betha lasciò il laboratorio idroponico e cominciò a salire lungo il vuoto silenzio del pozzo centrale delle scale. Non riusciva più a ricordare quante volte l’avesse fatto, negli ultimi due giorni; le incombenze di un equipaggio di sette uomini costituivano un compito ingrato e interminabile per un equipaggio di due. Oltrepassò la sala macchine al quarto livello e raggiunse gli alloggi per la notte, situati al terzo. Al livello superiore il pozzo era invaso dalla luce rossa e abbagliante che proveniva da sopra la porta sigillata della sala riunioni, e che le fece dolere gli occhi non più avvezzi a quella forte luminosità. Betha si fermò, mentre una fresca ondata di dolore attenuava momentaneamente la sua stanchezza.

S’infilò di corsa nel corridoio che circondava il pozzo al terzo livello e conduceva a sette stanze private… con tutto ciò che rimaneva di cinque esseri umani ormai perduti per sempre. Alla sua destra, la stanza di Lara: ogni cosa al suo posto, l’immagine della precisione della mente di Lara… Betha ricordò la pungente franchezza della sua voce sopra il tavolo diagnostico dell’infermeria; ricordò i suoi capelli grigi, il caldo interesse negli occhi grigi che contrastava con il suo distacco professionale. Nella stanza di Lara c’era uno sgabello imbottito ricavato dalla vertebra di un cetoide, e un Atlante a colori delle malattie dei pesci, degli anfibi e dei rettili. Era stata medico ricercatore su Mattino, prima che la sua famiglia divenisse un equipaggio e che lei ne diventasse a sua volta il medico. Ma il suo hobby, la sua vera passione, era stata la biologia marina. E Sean, lo sfacciato, aveva composto una canzone, “Lara e il Leviatano”, dove lei veniva inghiottita dal “mostro cetoide”, il Ranger…

Attraverso la porta aperta Betha vide un groviglio di ingranaggi elettronici, la balalaika di Nikolai, poggiata sul sacco a pelo sopra il letto. Le tornò alla mente la sua figura dalla calvizie incipiente: barbuto, meditabondo, con una voce simile a un’eco che uscisse da un pozzo… un ricercatore abile e paziente, un esperto di elettronica; in patria, un riparatore al servizio dell’intero emisfero di Borealis. Lo rivide ridere mentre schivava la scarpa che lei aveva scagliato contro Sean per aver chiamato il suo Ranger una balena…

Svoltò a sinistra e s’incamminò lungo il corridoio circolare, ripercorrendo a ritroso le correnti del ricordo, come una donna che avanzasse a fatica in mezzo all’acqua… Ricordò Claire, dalla placida faccia di luna, i capelli riccioluti, contadina figlia di contadini dall’aspetto sano e paffuto… Sean, il ragazzo dai capelli rossi, solo ventiquattrenne…

Betha esitò, nel ritrovarsi davanti alla porta della sua stanza. Diede un’occhiata allo scrittoio disordinato, al letto disfatto. Proseguì in preda alla disperazione, come chi fosse intenzionato ad annegarsi, fino alla stanza successiva… quella di Eric. Eric van Helsing, sociologo, portavoce dell’emisfero…

Tu sei la pioggia, amor mio, la dolce acqua Che scorre nel deserto della mia vita.

Le parole della canzone ritornarono spontanee alla sua mente, con l’impeto travolgente del vento caldo di Mattino, la passione del primo amore:

Lascia che io fiorisca per te, Lascia che spenga la tua sete, che divida con te il bene e il male…

Involontariamente le sue mani si torsero; sei anelli d’oro scivolarono l’uno sopra l’altro, cingendole le dita, quattro sulla mano sinistra, due sulla destra.

Marito, sceglimi come moglie, tu sei la pioggia…

Si accasciò contro lo stipite di legno chiudendo gli occhi e premette il volto sulla superficie gelida. Cercò sostegno in quella forza indifferente. Lui non c’era più, non c’era più nessuno: il suo equipaggio, la sua famiglia… i suoi mariti e le sue mogli. La sua forza, la forza che proveniva dal dividere tutto con gli altri, se n’era andata insieme a loro, risucchiata nel vuoto senza fondo. Come sarebbe riuscita ad andare avanti? La perdita era un fardello troppo pesante, la vita era un fardello troppo pesante, per poterlo sopportare da sola…

Qualcosa le sfiorò le caviglie; Betha riapri gli occhi e li mise a fuoco sul gatto, che si era intrufolato tra le sue gambe miagolando pietosamente. «Rusty…» Si inginocchiò per prendere la bestiola, e rivide il giorno della loro partenza da Mattino: sua figlia Kiki che le porgeva con le manine sporche il gattino miagolante e irrequieto, così come tutti gli altri figli avevano solennemente consegnato ai rispettivi genitori il dono prescelto. C’erano una decina di nonni ad assistere… e fratelli, cugini, nipoti, con i volti fieri e speranzosi bagnati dalla luce rossiccia, l’eterno crepuscolo del Perimetro del Lato Oscuro.

Tutti aspettavano, e tutti facevano parte di lei. I bambini attendevano, e lei non era sola. Ma adesso erano tutti aldilà della sua portata, separati da lei da troppo spazio e troppo tempo; ed era suo dovere, sua responsabilità, ricondurre quella nave fino a loro…