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La voce dietro il casco proseguì: «Vi abbiamo intercettato perché pensavamo che questa nave fosse un relitto da poter recuperare, e noi la volevamo. Direi che non è così.» Una mano guantata si sollevò dal fianco con gesto minaccioso, brandendo qualcosa di scintillante. «Ma dobbiamo averla, perciò ce la prendiamo lo stesso. Toglietevi da quei comandi.» La mano tremava.

«Ve ne pentirete. Voi due non siete assolutamente in grado di governare questa nave.» Betha tolse lentamente il piede dalla barra, tenendosi a pochi centimetri dal pavimento, con gli occhi sul pannello. Toccando un pulsante, all’improvviso quella stanza si sarebbe trovata soggetta a un’accelerazione di gravità uno: dei due estranei, il primo le sarebbe caduto sulla testa, l’altro sulla schiena… E si sarebbero spezzati l’osso del collo? La donna esitò. «Se credete…»

Un batuffolo di pelo arruffato sgusciò fuori da un portello di plastica nella parete; Rusty si strofinò facendo le fusa compiaciuto attorno alle ginocchia dei due intrusi. Betha udì uno dei due respirare affannosamente e poi balzare all’indietro, urtando il compagno. «Attento!» Rusty scattò subito di lato, come se il gioco lo divertisse molto. «Cos’è?» Le loro voci crebbero di tono. «Shadow Jack, toglimelo di torno!»

Betha si sfilò dalla cintura il telecomando del computer e lo lanciò. Colpì il braccio dello straniero e la sua arma volò per la stanza. Clewell si mosse rapidissimo e l’afferrò a mezz’aria. I due malintenzionati si appoggiarono alla parete, e aspettarono.

«Rusty. Vieni qui, Rusty.» Betha allungò la mano, e gli orecchi screziati del gatto si tesero. Lentamente Rusty attraversò la stanza e si andò ad accucciare contro di lei, facendo le fusa per la soddisfazione. Betha lo grattò sotto il mento d’avorio e gli fece il contropelo, scuotendo la testa. «Rusty, tu ti prendi gioco di tutti noi.»

«Be’, che mi prenda un colpo!» Clewell cominciò a esaminare l’arma; da essa, per tutta la sua lunghezza, si protendevano strane appendici. «Questo è un apriscatole! Cavatappi, forchetta… questo non so cos’è…» Si spinse di nuovo a livello del pavimento. «Sapevo che esistevano gli ailurofobi[1], ma non ne avevo mai visti.»

Betha si afferrò allo schienale di una sedia, seria in volto. «Voi due, toglietevi le tute.» Essi obbedirono, sgusciando come farfalle dai bozzoli delle tute spaziali: un uomo e una donna… un ragazzo e una ragazza, incredibilmente alti e magri, nessuno dei due più che diciassettenne; scalzi, con indosso un abito sudicio e stinto tutto d’un pezzo. Betha strabuzzò gli occhi, quando fu raggiunta dalla puzza che emanavano. «Voi avete appena commesso un atto di pirateria. Adesso ditemi perché non dovrei sbattervi fuori dalla camera stagna, senza le tute.» Si domandò se la minaccia suonava così credibile e terribile come voleva.

Il ragazzo la fissò di rimando, mezzo soffocato da un accesso di tosse. La ragazza si scostò dalla parete. «Era una questione di vita o di morte.» La voce le uscì strascicata dalla gola secca.

«Vi abbiamo offerto aiuto. Non vi è bastato.»

«Non si tratta della nostra vita.» Scosse la testa. «Abbiamo bisogno della nave per… per…» S’interruppe, mentre con gli occhi frugava l’intera stanza.

«Bird Alyn, sanno perché abbiamo bisogno della nave.» Betha scorse un odio tremendo, impersonale, dipingersi sul volto del ragazzo quando lui si voltò. «Voi sapete chi siamo. Rifiuti che cercano fra i rifiuti, e non vi abbiamo fatto niente. Lasciateci andare.»

Betha rise di nuovo, incredula. «Voi avete “semplicemente” tentato di impadronirvi della mia nave. E io vi ho “semplicemente” chiesto per quale motivo non dovrei buttarvi fuori nello spazio per questo. E vi aspettate che vi lasci andare? Ma nel sistema di Paradiso sono tutti matti?» Per poco non perse il controllo della voce.

«Non importa.» Mollò la presa sul corrimano, stringendosi in se stesso. «Tanto moriremo ugualmente. Tutti stanno morendo. Voi Demarchisti ve la passate ancora bene. Per voi non conta nulla, lasciarci andare o farci morire.»

Betha ritrovò la sua pipa che galleggiava, e si frugò nella tasca alla ricerca dei fiammiferi. «Noi non siamo “Demarchisti”, chiunque essi siano. Siamo venuti da un altro sistema per stabilire un contatto con la Cintura di Paradiso; e da quando siamo qui ci hanno attaccato due volte, senza nessuna provocazione, prima in prossimità di Discus e poi qui, per opera vostra. Probabilmente ritenevate di avere un qualche “diritto” di farlo, e forse riuscirete anche a convincermene, o magari vi riporterò su Lansing a farvi processare per pirateria.» Vide un’espressione di sorpresa sui loro volti. «Ma per prima cosa dovete rispondere a qualche domanda… Tanto per cominciare: chi siete, e da dove venite?»

«Io sono Shadow Jack» rispose il ragazzo, «e lei è Bird Alyn. Veniamo da Lansing.» Attese.

«Ma è proprio dove siamo diretti noi…» esordì Clewell.

«Perché?» domandò la ragazza, ammiccando.

«Perché è il centro governativo della Cintura di Paradiso.» Betha rivolse alla ragazza un’occhiata pungente. «La vostra capitale deve avere passato dei brutti momenti.»

«Voi provenite davvero dallo spazio esterno, vero?» Shadow Jack incrociò le gambe come un Buddha, riuscendo in qualche modo a non cadere all’indietro. «Da due gigasecondi e mezzo non esiste più nessuna Cintura di Paradiso.»

«Cosa?»

Lui si limitò a fissarla senza dire nulla. Clewell fece un gesto minaccioso nei confronti del gatto.

«C’è stata una guerra, la Guerra Civile. Tutto è saltato per aria, tutta l’industria. Nessuno riesce più a far funzionare qualcosa, a parte la Demarchia e gli Anellani. Sono gli unici a essere abbastanza lontani da avere un po’ di neve sui loro asteroidi. Lansing è la capitale del nulla; ormai, nella Cintura Principale, sono morti quasi tutti.»

«Non capisco» disse Betha, non volendo capire. Oh Dio, fa’ che la ragione per cui siamo venuti fin qui non sia stata vana… «Abbiamo sentito dire che la Cintura di Paradiso aveva un ambiente perfetto e una tecnologia più avanzata di qualsiasi altra colonia terrestre, perfino della Vecchia Terra.»

«Ma non sono riusciti a conservarla.» Shadow Jack scrollò il capo.

Betha si rese conto di colpo della tragica falla che i coloni originali, gli antenati dei Cinturarli, non dovevano mai avere preso in considerazione. In un mondo che non aveva atmosfera, l’aria e l’acqua — gli elementi basilari della vita — dovevano essere processate o fabbricate, altrimenti non potevano esistere. E senza una tecnologia capace di processare e fabbricare, in un sistema privo di un mondo di tipo terrestre sul quale rifugiarsi, qualsiasi Medio Evo non poteva che significare l’estinzione totale.

Come se avesse seguito i suoi pensieri, Shadow Jack disse: «Alla fine moriremo tutti, anche la Demarchia.» Guardò altrove, costringendosi a parlare. «Ma adesso sui nostri asteroidi non c’è più acqua. Tutti moriranno, se continueremo a girare intorno a Paradiso senz’acqua. E non abbiamo una nave che ci conduca dagli Anellani — su Discus — per rimediare l’idrogeno con cui farne dell’altra. Dobbiamo riuscire a trovare abbastanza relitti da metterne insieme uno funzionante. È per questo che siamo qua fuori. E fra un gigasecondo saremo abbastanza vicini a Discus da poter ritentare una sortita.»

«Commerciate con Discus per avere l’idrogeno?» domandò Clewell, rompendo il silenzio di Betha.

«Commerciare?» Sembrò che Shadow Jack trovasse la parola priva di significato. «E cosa potremmo commerciare? Lo rubiamo.»

«Che succede se… i Discani vi sorprendono nel loro spazio?» Clewell allungò una mano sotto il pannello per prendere il suo contenitore sigillato, e si mise a succhiare dalla cannuccia.

Shadow Jack si strinse nelle spalle. «Cercano di ucciderci. Forse è per questo che vi hanno attaccato: hanno pensato che veniste dalla Demarchia. O forse volevano la vostra nave; chiunque la vorrebbe. Potete farla funzionare voi due soli…?» I suoi occhi bicolori si guardarono intorno con aria interrogativa.

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1

Ailurofobo: una persona che ha una paura morbosa dei gatti (N. d. T.)