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«Due persone bastano, purché siano addestrate» rispose Betha. «Nell’eventualità che abbiate ancora qualche cattiva intenzione. Non è facile nemmeno per noi. Il nostro equipaggio comprendeva cinque altri componenti; i Discani li hanno uccisi tutti.» E per niente.

Lui fece una smorfia. «Oh.» Betha vide la ragazza ritrarsi.

«Un’altra domanda.» La donna trasse un profondo respiro. «Ditemi cos’è questa “Demarchia” con cui tutti sembrano confonderci.»

Shadow Jack distolse lo sguardo da lei, quasi non l’avesse nemmeno sentita, quando Clewell ebbe finito di bere. Bird Alyn si leccò le labbra, poi si strofinò la bocca con una mano deforme.

Non c’è più acqua… Il ricordo dei suoi figli, troppo lontani nel tempo e nello spazio, si sovrappose ai volti affamati dei due giovani. Betha si guardò le mani, i sottili anelli dorati, quattro sulla mano sinistra, due sulla destra. «Allora?»

Shadow Jack si schiarì la gola, con negli occhi il muto desiderio di un’offerta d’acqua. «La Demarchia è… si trova negli asteroidi troiani, sessanta gradi più avanti di Discus. Adesso possiede la migliore tecnologia. Sono stati loro a costruire la batteria nucleare che fa funzionare il nostro razzo elettrico, e sono gli unici ancora capaci di farlo.»

«Se sono così avvantaggiati, perché devono rubare ai Discani?»

«Non devono farlo. Di solito commerciano, metalli in cambio di neve trattata, di acqua, gas e idrocarburi. Però qualche volta succedono… degli incidenti. Tutti e due vogliono predominare. Credo siano convinti che prima o poi ricostituiranno la Cintura. Però si sbagliano. Anche se la smettessero di combattersi, è troppo tardi. Chiunque può rendersene conto.»

«Sei uno strabico tutt’altro che ottimista, eh, ragazzo?» commentò Clewell.

Shadow Jack aggrottò le ciglia, grattandosi. «Non sono cieco.»

«Allora, Clewell.» Betha sentì Rusty sbuffare contro il suo collo, e se lo posò sulla spalla. Gli artigli si uncinarono prudentemente nella stoffa della sua giacca di cotone. «Che ne pensi? Credi che sia la verità? Abbiamo… fatto tutta questa strada per niente?»

Lui si strofinò la faccia con le mani. Betha vide i suoi anelli nuziali che mandavano bagliori, tre sulla mano sinistra, tre sulla destra. «Credo che sia possibile. È folle, ma è l’unico modo per spiegare quello che ci è successo.»

Lei annuì, e tornò a guardare le facce sparute dei due intrusi in attesa: non proprio angeli. Vittime di una tragedia quasi aldilà di ogni comprensione, una tragedia che aveva raggiunto la sua stessa vita e quella di Clewell, per distruggere i sogni di un altro popolo, oltre a quello che l’aveva generata. Questo Paradiso, come tutti i sogni celesti, era stato una fragile cosa; forse nessuno di essi era mai stato qualcosa di più d’un sogno… Si accese la pipa, traendo sicurezza da quella familiarità, poi tornò a posare Io sguardo sui due volti tesi, ansiosi. «Vi farò una proposta, Shadow Jack e Bird Alyn. Voi avete detto che Lansing ha bisogno di idrogeno per ricavarne l’acqua; noi ne abbiamo bisogno come carburante. Lo stiamo cercando. Venite con noi e diteci ciò che ci occorre sapere su questo sistema, e se avremo successo divideremo in parti uguali.»

«Chi ci dice che manterrete la parola?»

Betha sollevò le sopracciglia. «E chi ci dice che ci avete raccontato la verità?»

Il ragazzo non rispose, e Bird Alyn lo guardò torva.

«Se sarete onesti con noi, noi lo saremo con voi.» Betha rimase in attesa.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata; lei annuì. «Penso che qualsiasi cosa sia migliore di ciò che potremmo fare da soli» disse poi Shadow Jack. «Ma che ne faremo del Lansing 04? Non possiamo buttarlo via…»

«Potremmo portare la vostra nave con noi. E magari riusciremo anche a riparare il vostro scudo protettivo.»

Il ragazzo aprì la bocca ma la richiuse subito, imbarazzato. «Noi… possiamo chiamare Lansing via radio e riferire ciò che è successo?»

«Sì.»

«Allora, affare fatto. Ci uniremo a voi e vi diremo quello che sappiamo.» Entrambi si rilassarono visibilmente, all’unisono, galleggiando in aria come due bambole di stracci.

Clewell incrociò le braccia. «Mettetevi bene in testa una cosa… il capitano ha detto la verità: per manovrare questa nave ci vuole addestramento. Accelereremo a gravità uno. Anche se riusciste a impadronirvene e vi metteste in contatto con la vostra gente, essi non potrebbero mai raggiungervi. Tutto ciò che ne ricavereste sarebbe un viaggio di sola andata per l’eternità.»

Shadow Jack fece per dire qualcosa, ma ancora una volta rimase silenzioso.

«Allora, vediamo la vostra nave. Clewell, vuoi portarli sotto? Forse, ah…» Betha si voltò. Non riuscì a essere diplomatica. «Potrebbero fare una doccia.»

«Una doccia di cosa?» domandò Bird Alyn con un filo di voce.

Betha esitò, inalando fumo. «Be’… d’acqua.»

«Sfortunatamente siamo a corto di champagne.» Clewell si diresse verso la porta.

Shadow Jack rise nervosamente. «Avete acqua a sufficienza per lavarvi?»

Lei annuì. «Servitevene pure liberamente, vi prego. Ne abbiamo quanta ne vogliamo. E sapone. E vestiti puliti, Clewell…»

«Con piacere.» Li condusse sollecitamente fuori dalla stanza, nel pozzo riecheggiante delle scale; Rusty li seguì annaspando. Per un momento Betha si lasciò galleggiare, ascoltando, mentre i suoi occhi si riempivano dei colore verde erba del tappeto, e di quello blu polvere delle pareti: colori scelti per impedire a sette persone di impazzire nel corso di oltre tre anni tau di rigido isolamento. Lei si rese conto del vuoto enorme e disperato che aveva invaso la stanza e l’intera nave, in quegli ultimi giorni; simile alla desolazione ancora più grande che all’esterno avvolgeva lo scafo. Se ne rese conto proprio quando, all’improvviso, non era più così. Udì i vaporizzatori che entravano in funzione, e deboli scrosci di risatine eccitate.

Sulla soglia riapparve Clewell con Rusty in braccio. «Spero che non muoiano affogati… anche se sarebbe in ogni caso un miglioramento.»

Betha fissò la pipa che teneva in mano, ricordando che era stato proprio lui a intagliargliela, durante gli ultimi giorni trascorsi a Borealis. Con sua stessa sorpresa, cominciò a sorridere.

RANGER +290 CHILOSECONDI

(IN TRANSITO, DA LANSING ALLA DEMARCHIA)

Bird Alyn si muoveva lentamente nella luce verde del laboratorio idroponico del Ranger, con il fragile corpo che si torceva per lo sforzo di restare eretto a gravità uno. Sentendosi evidentemente a disagio, la ragazza canticchiava con tono sommesso, risucchiata nel passato dall’umidità costante, dal profumo delle mele e dal ronzio degli insetti. Chiazze d’ombra scivolavano sopra le piastrelle, fondendosi e frangendosi sulle foglie fluttuanti dei pergolati, riversando scintille di fuoco verde sul liquido viscoso contenuto nelle vasche trasparenti e sigillate.

L’ambiente era stranamente alieno, come ogni altra cosa in quell’alieno paese delle meraviglie pieno di tesori che era l’astronave. Ma una felce o un albero erano quelli di sempre, per quanto la gravità, o la sua assenza, ne deformassero l’aspetto. Erano cose viventi che richiedevano… che ricompensavano la sua cura e la sua attenzione con una foglia o con un frutto o con un germoglio, fornendo il sostentamento vitale alla sua gente. Le uniche cose viventi che recepivano volentieri l’amore di cui lei era capace, che non le voltavano mai le spalle a causa della sua bruttezza, della sua goffa deformità…