«Il Buco?»
«È il nome che alcuni di noi hanno dato a Bartorstown.»
Il suo tono di voce e il suo modo di fare lo avevano messo a disagio. Disse:
«Sarà meglio che entri, adesso,» e salì un altro gradino.
«Spero che vi sia piaciuto,» disse lei. «Spero che vi sia piaciuta questa gola, e Fall Creek. Perché non vi lasceranno uscire mai più.»
Pensò a quello che aveva detto Sherman. Non biasimava Sherman, per questo. Lui non aveva alcuna intenzione di andarsene. Ma la cosa non gli piaceva ugualmente.
«Un giorno o l’altro, impareranno ad avere fiducia in me,» disse.
«Mai.»
Non voleva discutere con lei.
«Be’, credo comunque che rimarrò qui per un po’ di tempo,» disse, in tono leggero. «Dopotutto, ho passato metà della mia vita nel tentativo di venire qui.»
«Perché?»
«Voi siete una ragazza di Bartorstown. Dovreste conoscere già la risposta.»
«Perché volevate imparare. È vero, lo avete detto anche stamattina. Volevate imparare, e nessuno ve lo permetteva.» Fece un gesto ironico, che comprendeva l’intera gola. «Andate. Imparate. Siate felice.»
La prese per le spalle, allora, l’attirò più vicina, in modo da vedere il suo viso nel chiarore che giungeva dalle finestre.
«Che cosa avete?»
«Penso soltanto che voi siete pazzo, ecco tutto. Avere a propria disposizione tutto il mondo, e gettarlo via per questo!»
«Che io sia dannato,» disse Len. La lasciò andare, e si mise a sedere sul gradino, e scosse il capo. «Che io sia dannato. Ma Bartorstown non piace proprio a nessuno, allora? Ho l’impressione di avere udito più lamentele da quando sono arrivato qui, di quante ne abbia udite in tutta la mia vita precedente.»
«Quando avrete vissuto un’intera vita qui,» disse lei, in tono amaro, «Capirete. Oh, alcuni, tra gli uomini, escono, certo. Ma la maggioranza rimane qui. La maggioranza non vede mai niente, all’infuori delle pareti di questa gola. E anche gli uomini devono sempre ritornare. È come dice il vostro amico. Dovete essere un fanatico, per pensare che valga la pena di fare tutto questo.»
«Io ho vissuto là fuori,» disse Len. «Io penso a quello che è oggi, e a quello che potrebbe essere, se…
«Se Clementina darà la risposta giusta, un giorno. Certo. Ormai è passato quasi un secolo, e non sono più vicini alla soluzione di quanto non fossero all’inizio, ma dobbiamo essere tutti pazienti, e devoti, e pieni di dedizione al lavoro… dedizione a che cosa? A quel maledettissimo cervello meccanico, che se ne sta acquattato laggiù, sotto una montagna, e deve essere trattato con tutto l’amore possibile, come se fosse Dio!»
Si chinò su di lui, improvvisamente, protendendo il viso, nel vago riverbero delle finestre.
«Io non sono fanatica, Len Colter. Se volete parlare con qualcuno, ricordatevelo.»
Poi se ne andò, dietro l’angolo della casa, correndo. Len sentì aprirsi una porta da qualche parte, sul retro. Si alzò in piedi, lentamente, e salì i gradini, ed entrò lentamente nella casa, e consumò la cena alla tavola di Wepplo. E non udì quasi niente, delle conversazioni che si svolsero intorno a lui.
24.
Il mattino dopo, Len ed Esaù vennero convocati di nuovo a casa di Sherman, e questa volta Hostetter non andò con loro. Sherman stava dall’altra parte della grande tavola, nel soggiorno, e teneva due chiavi nelle mani.
«Vi ho detto che non avrei cercato di forzarvi la mano, e intendo mantenere la promessa. Ma nel frattempo dovrete lavorare. Ora, se vi dessi un lavoro da svolgere a Fall Creek, come fabbri, o stallieri, o qualcosa di simile, non potreste imparare niente di più su Bartorstown, e sarebbe come se foste rimasti a casa vostra.»
«Be’, sì,» disse Esaù, e poi domandò, con ansia, «Posso imparare qualcosa sulla grande macchina? Su Clementina?»
«Per dire la verità, io penso che rimarrà sempre al di là delle vostre possibilità, a meno che non vogliate aspettare di essere vecchio. Ma potrete stare con Frank Erdmann, che è l’esperto. E non preoccupatevi, avrete tutte le macchine che vorrete. Ma qualunque macchina scegliate, ci vorrà sempre un lungo studio, prima che voi siate pronto, e fino a quel momento…»
Esitò, solo per una frazione di secondo; forse non esitò affatto, e forse fu soltanto per caso che i suoi occhi si posarono in quel momento sul viso di Len, ma Len capì quello che avrebbe detto ancor prima di sentirlo, e si preparò a sostenere l’urto, in modo che il suo viso non mostrasse niente dei suoi sentimenti.
«Fino a quel momento, sarete assegnati all’impianto a vapore. Avete già qualche esperienza con il vapore, e non dovrebbe occorrervi molto tempo per fare pratica, e imparare le differenze. Jim Sidney, l’uomo col quale avete parlato ieri, vi darà tutta l’assistenza necessaria.»
Si alzò in piedi, e girò attorno alla tavola, e porse loro le chiavi.
«Queste servono ad aprire il cancello. Abbiatene cura. Jim vi dirà l’orario di lavoro, e tutto il resto. Nel tempo libero, potrete andare dove vorrete a Bartorstown, e chiedere qualsiasi cosa, purché non interferiate con il lavoro. Potrete prendere accordi con il bibliotecario, Irv Rothstein, per consultare i suoi libri. Ed è inutile che facciate entrambi la faccia di pietra. Posso leggervi il pensiero».
Len lo guardò, sorpreso, e Sherman sorrise.
«Voi pensate che l’impianto a vapore è vicinissimo al reattore, e vorreste essere in qualsiasi altro posto. Ed è esattamente per questo che andrete a lavorare là. Voglio che impariate ad abituarvi al reattore, a tal punto da dimenticare la vostra paura».
È vero? pensò Len. O è il suo modo di metterci alla prova, per vedere se noi possiamo vincere la paura, se potremo mai imparare a vivere qui?
«Andate pure, ora,» disse Sherman. «Jim vi sta aspettando».
E così uscirono, incamminandosi nel mattino limpido per la strada polverosa, attraverso il pendio e le rocce franate, verso Bartorstown. E al cancello di sicurezza si fermarono, esitando, ciascuno aspettando che fosse l’altro ad aprire, e Len disse:
«Credevo che non avessi paura».
«Infatti. Solo che… oh, accidenti, tutti gli altri lavorano intorno a esso, e stanno bene. Andiamo».
Infilò rabbiosamente la chiave nella serratura, aprì, e varcò la soglia. E Len chiuse con cura il cancello, pensando, Ora io sono rinchiuso con lui, il fuoco che cadde dal cielo sul mondo della nonna.
Seguì Esaù, lungo la galleria, e attraverso la porta interna, oltre la camera di controllo dalla quale il giovane Jones li salutò con un cenno. E lui non ha paura? No, lui è come Ed Hostetter, non gli è mai stato insegnato ad avere paura. Ed è vivo, sano, tranquillo. Dio non lo ha folgorato. Dio non ha colpito con le Sue folgori nessuno di loro. Ha lasciato sopravvivere Bartorstown. Non è questa una prova, non indica, questo, che è giusto, che la risposta che essi tentano di trovare è la risposta giusta?
Ma le vie del Signore sono infinite, e sfuggono alla nostra comprensione, e al malvagio viene sempre concesso il suo giorno sulla terra…
«Cosa diavolo stai pensando?» domandò Esaù. «Dormi? Avanti, andiamo».
C’erano delle goccioline di sudore sulla fronte di Esaù, e le sue labbra tremavano. Scesero di nuovo le scale, e i gradini metallici risuonarono cupamente sotto i loro piedi, oltrepassarono il livello nel quale si trovava il grande calcolatore, giù, giù, verso i gradini più bassi, e poi l’ultimo gradino, e poi via dalla scala, avanti, nella grande, spaziosa caverna pulsante di energia che faceva vibrare l’aria e la roccia e la carne, davanti ai generatori e alle turbine, ed era là, il muro di cemento, il volto vacuo e fisso. E i peccati dei nostri padri sono ancora con noi, o se non i loro peccati, le loro follie, e non avrebbero mai, mai dovuto…