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Esaù era affascinato dalla grande macchina, da Clementina. Le gironzolava attorno ogni volta che trovava un minuto libero, rivolgeva interminabili domande a Erdmann e ai tecnici che vi lavoravano, fino a quando Erdmann non cominciò a manifestare qualche segno d’insofferenza, e a cambiare strada, ogni volta che incontrava Esaù. Spesso Len andava con il cugino. Rimaneva immobile, a fissare la faccia scura della cosa, fino a quando non si sentiva pervadere da un senso d’inquietudine, di nervosismo, come se fosse stato al capezzale di un dormiente che si fingesse tale, ma che in realtà lo osservasse a occhi chiusi. E pensava: Non è veramente un cervello, non pensa realmente, è solo un nome che le hanno dato, e le cose che conosce, e i calcoli che può fare, sono soltanto imitazioni del pensiero. Ma durante le ore notturne una creatura lo perseguitava, una creatura con un grande cuore pulsante di fuoco infernale, e un cervello grande come il fienile di papà.

Nel complesso, però, lavorava sodo per adattarsi, e ci riusciva bene. Ma c’erano altre ore, ore di veglia, durante le quali un’altra creatura lo perseguitava, e gli lasciava ben poca pace. E questa era una creatura umana, e non un incubo. Era una ragazza di nome Joan.

25.

Tre gruppi diversi di stranieri vennero a Fall Creek prima che cominciasse a nevicare, si trattennero brevemente per vendere le loro merci e acquistare ciò che Fall Creek aveva da offrire, e ripartirono. Due gruppi di questi stranieri erano costituiti da piccole bande di uomini bruni e robusti, che seguivano le mandrie selvagge, cacciatori e domatori di cavalli, e offrivano puledri da poco domati in cambio di farina, zucchero, e acquavite di grano. Il terzo e ultimo gruppo era composto da Nuovi Ismaeliti. Erano venticinque, e non erano mercanti, e vennero a reclamare polvere e pallottole come dono per gli unti del Signore. Non si trattennero la notte a Fall Creek, né oltrepassarono la periferia del paese, come se avessero avuto paura di rimanerne contaminati, ma quando Sherman mandò loro quanto avevano domandato, essi cominciarono a cantare e a pregare, agitando le braccia e gridando Alleluia. Metà della popolazione di Fall Creek era uscita per vederli, e anche Len era là, in compagnia di Joan Wepplo.

«Tra poco uno di loro si metterà a predicare,» disse Joan. «È quello che tutti aspettano».

«Ne ho sentite anche troppe di prediche,» borbottò Len. Ma rimase là. Il vento era gelido, soffiava nella gola proveniente dai grandi campi di neve delle vette più alte. Tutti indossavano giacconi di pelle di vacca o di cavallo, ma i Nuovi Ismaeliti non avevano altro che i loro stracci e le loro pelli di capra che sbattevano al vento intorno alle gambe nude. Apparentemente, non si curavano del freddo.

«Malgrado la loro resistenza, d’inverno soffrono terribilmente,» disse Joan. «Muoiono di fame, e di congelamento. I nostri uomini trovano i loro cadaveri a primavera, a volte un’intera banda, compresi i bambini». Li fissò con occhi freddi e pieni di disprezzo. «Dovrebbero dare almeno ai bambini la possibilità di sopravvivere. Dovrebbero lasciarli crescere abbastanza, affinché possano decidere se morire o no per il freddo, e per la fame».

I bambini, ossuti e lividi dal freddo, battevano i piedi e urlavano e scuotevano i capelli scarmigliati. Non sarebbero mai stati capaci di prendere una decisione, neppure se fossero diventati adulti. L’abitudine sarebbe stata troppo forte, l’inizio della loro vita avrebbe condizionato troppo pesantemente il loro modo, non di pensare, ma di esistere. Len disse:

«Penso che non possano permetterselo, come non se lo possono permettere né la vostra gente, né la mia».

Un uomo uscì dal gruppo e cominciò a predicare. Aveva i capelli e la barba di un grigio sporco, ma Len lo giudicò meno vecchio di quanto sembrasse. I Nuovi Ismaeliti non diventavano mai molto vecchi. L’uomo vestiva di pelli di capra, sporche e unte, e le ossa del torace sporgevano come una gabbia per uccelli. Scosse i pugni alla gente di Fall Creek, e gridò:

«Pentitevi, pentitevi, perché il Regno di Dio è vicino! Voi che vivete per la carne e i peccati della carne, sì, voi!, la vostra fine è vicina. Il Signore ha parlato con le fiamme e il tuono, la terra si è aperta e ha inghiottito l’ingiusto, e qualcuno ha detto: ’Questo è tutto, Egli ci ha punito, e ora siamo perdonati, ora possiamo dimenticare.’ Ma io vi dico che Dio nella Sua misericordia vi ha dato soltanto un poco di tempo, e che il tempo è quasi trascorso, e voi non vi siete pentiti! E cosa direte quando i cieli si apriranno, e Dio verrà a giudicare il mondo? Come piangerete implorando e supplicando misericordia, e a che cosa vi serviranno i lussi e le vanità di cui vi circondate, allora? Saranno fascine per alimentare le fiamme dell’inferno! Fuoco e tenebra e stridore di denti, e sofferenza e dannazione eterna, se non vi pentirete e cospargendovi il capo di cenere non farete penitenza per i vostri peccati!»

Il vento affievoliva le sue parole e le soffiava via, portandole lontano, pentitevi, pentitevi, come un’eco che svaniva in fondo alla gola, come se il pentimento fosse ormai una speranza perduta. E Len pensò, Cosa accadrebbe, se lui sapesse, se corressi verso di lui gridando quello che c’è nella gola, a meno di mezzo miglio da lui? A che gli servirebbero, allora, le sue pelli di capra, e tutti i massacri commessi in nome della fede?

Vattene. Vattene, vecchio pazzo, e smetti di urlare.

Se ne andò, infine, pensando apparentemente di avere compensato a sufficienza il dono ricevuto. Raggiunse il suo gruppo, e tutti si allontanarono sulla tortuosa strada del passo. Il vento era aumentato, e sferzava crudelmente le rocce, e ululava gelido, e i Nuovi Ismaeliti si piegavano per la violenza della bufera e per la ripida ascesa, con i capelli sbattuti qua e là, e gli stracci che li coprivano sbattuti anch’essi dal vento. Len rabbrividì, involontariamente.

«Anch’io sentivo compassione per loro, una volta,» disse Joan. «Fino a quando non mi sono resa conto che ci ammazzerebbero tutti in un minuto, se lo potessero». Si guardò gli abiti, la giacca di vitello con il pelo all’esterno, la gonna di lana, gli alti stivali caldi. «Vanità,» disse. «Lusso.» E rise, una risata breve e aspra. «Vecchio, sporco stupido! Non conosce nemmeno il significato delle parole».

Sollevò il capo, e guardò Len. I suoi occhi brillavano di qualche pensiero segreto.

«Potrei mostrarvelo, Len… cosa significano quelle parole».

I suoi occhi lo turbavano. Come sempre. Erano così penetranti e acuti, e dietro di essi la sua mente pareva pensare sempre così rapidamente… pensieri che lui non riusciva a seguire. Ora sapeva che lei lo stava sfidando, in qualche modo, e così disse:

«Va bene, allora, mostratemelo».

«Dovrete venire a casa mia».

«Verrò comunque per il pranzo, non ricordate?»

«Voglio dire subito».

Si strinse nelle spalle.

«Andiamo».

S’incamminarono, attraverso le stradine anguste di Fall Creek. Quando giunsero alla casa di lei, Len la seguì nell’interno. C’era silenzio, un silenzio rotto soltanto da due mosche tardive che ronzavano stanche sulla finestra, e c’era caldo, dopo il vento gelido. Joan si tolse la giacca.

«Penso che i miei siano ancora fuori,» disse lei. «Credo che non torneranno presto. Vi dispiace?»

«No,» disse Len. «Non importa». Si tolse a sua volta il giaccone, e si mise a sedere.

Joan si avvicinò alla finestra, osservando le mosche. Aveva camminato molto in fretta, lungo la strada, ma adesso, improvvisamente, pareva non avere alcuna fretta.

«Vi piace ancora lavorare nel Buco?»

«Certo,» disse Len, cauto. «Certo».

Silenzio.

«Non hanno ancora trovato la risposta?»

«No, ma non appena Erdmann… Ma perché mi avete fatto questa domanda? Lo sapete benissimo che la risposta non è stata trovata».