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«È per questo che hanno ucciso quell’uomo?» domandò Len. «Perché hanno paura che qualcuno possa far tornare tutte quelle cose… le città, e il resto?»

«Non è stato quello che hanno detto alla predica?» domandò la nonna, che lo sapeva molto, molto bene, perche lei stessa era stata quasi ogni giorno a prediche simili, molte decadi prima, quando il terrore aveva portato alla grande, impetuosa esplosione di fede, generando decine di nuove sette, e rafforzando straordinariamente quelle già esistenti

«Sì. Hanno detto che lui induceva in tentazione i ragazzi con un certo frutto, credo fosse quello dell’Albero della Conoscenza, come è scritto nella Bibbia. E dicevano che lui veniva da un posto che si chiama Bartorstown. Che cos’è Bartorstown, nonna?»

«Chiedilo a tuo padre,» disse la nonna, cominciando a frugare nel grembiule e a borbottare, «Dove ho messo il fazzoletto? Ero sicura di averlo preso…»

«Gliel’ho chiesto. Mi ha risposto che un luogo simile non esiste».

«Umf,» borbottò la nonna.

«Mi ha detto che solo i bambini e i fanatici credono alla sua esistenza».

«Be’, non ho intenzione di risponderti in modo diverso, così non cercare di indurmi a farlo».

«No, certo, nonna. Ma è mai esistito quel luogo… forse molto, molto tempo fa?»

La nonna riuscì a trovare il fazzoletto. Si asciugò il volto e gli occhi con esso, e si soffiò il naso, lo ripose nel grembiule, mentre Len aspettava.

«Quando ero bambina,» disse la nonna, «Ci fu quella grande guerra».

Len annuì. Il signor Nordholt, il maestro di scuola, aveva raccontato loro molte cose sulla guerra, e nella mente di Len l’episodio era connesso con il Libro dell’Apocalisse, una cosa grande e spaventosa.

«Durava già da molto tempo, penso,» continuò la nonna. «Ricordo che alla tivù ne parlavano moltissimo, e mostravano le immagini di bombe che producevano delle nubi uguali a enormi funghi, e ognuna poteva da sola spazzar via una città. Oh, sì, Len, c’era una pioggia di fuoco che scendeva dal cielo, e molti ne furono consumati! Il Signore la diede al nemico perché un giorno diventasse la pala con cui nettare la Sua aia.»

«Ma vincemmo noi.»

«Oh, sì, alla fine vincemmo noi.»

«Fu allora che costruirono Bartorstown?»

«Prima della guerra. Fu il governo a costruirla. Questo accadeva quando il governo era ancora a Washington, ed era molto, molto diverso da oggi. Più grande… diverso. Non so, una bambina non si preoccupa molto di queste cose, non ricordo bene. Ma so che costruivano moltissimi posti segreti, e Bartorstown era il più segreto di tutti, si trovava da qualche parte, a ovest… nessuno sapeva dove.»

«Se era così segreto, come facevi a sapere che esisteva?»

«Lo dicevano alla tivù. Oh, certo, non dicevano dove fosse, né a che cosa servisse… e aggiungevano che poteva trattarsi soltanto di una voce, di una notizia non vera. Ma il nome lo ricordo.»

«Allora,» disse Len, sommessamente, «Allora era vero!»

«Ma questo non vuole dire che sia vero oggi… che Bartorstown esista ancora. Si tratta di cose accadute molto, molto tempo fa. Forse ne è sopravvissuto soltanto il ricordo, come ha detto tuo padre, per suggestionare i bambini e i fanatici.» Aggiunse acidamente, a bassa voce, che lei, personalmente, non apparteneva né alla prima, né alla seconda categoria. Poi disse: «Non pensarci, Len, abbandona l’idea, non avere alcun commercio col Diavolo, e lui non ne avrà con te. Non vorrai che ti accada quello che è accaduto a quell’uomo, alla predica?»

Len ricominciò a sudare caldo e freddo. Ma la curiosità lo indusse a domandare ugualmente:

«Bartorstown è un posto così terribile, allora?»

«Deve esserlo,» disse la nonna, con acida saggezza, «Se tutti pensano che lo sia. Oh, lo so! Per tutta la vita ho dovuto tenere a freno la lingua. Io posso ricordare il mondo come era prima. Ero soltanto una bambina, ma grande abbastanza per ricordarlo… avevo quasi la tua età, allora. E ricordo benissimo come diventammo tutti Mennoniti, quando prima nessuno di noi lo era stato. A volte vorrei…» Si interruppe, e guardò di nuovo gli alberi fiammeggianti. «Come mi piaceva quel vestito rosso!»

Un altro silenzio.

«Nonna.»

«Be’, cosa c’è?»

«Com’erano le città, in realtà?»

«È meglio che tu lo chieda a tuo padre.»

«Sai benissimo quello che dice sempre. Inoltre, lui non le ha mai viste. Tu sì, nonna. Tu puoi ricordarle.»

«Il Signore, nella Sua infinita saggezza, le ha distrutte. Non tocca a noi giudicare. Né a te, né a me.»

«Non sto giudicando… sto solo chiedendo. Com’erano le città?»

«Grandi. Cento Piper’s Run non avrebbero fatto la metà neppure della più piccola città. Avevano tutte dei pavimenti solidi, con passeggi ai lati per la gente, e grandi, spaziose strade al centro per le automobili, e c’erano dei grandi edifici che salivano nell’aria, verso il cielo. C’era molto rumore, e l’aria aveva un sapore diverso, e c’era sempre moltissima gente che andava in fretta da qualche parte, avanti e indietro. Mi piaceva sempre andare in città. Nessuno pensava, allora, che fossero delle cose malvage.»

Gli occhi di Len erano grandi e rotondi.

«C’erano dei grandi cinematografi, enormi, con i sedili imbottiti, e dei supermercati grandi due volte il granaio, con dentro ogni sorta di cibi, avvolti in pacchi lucidi e colorati… quante cose che tu non hai mai sentito nominare, Len, si potevano comprare, tutti i giorni della settimana! Lo zucchero bianco, per noi era la cosa più normale e comune. E spezie, e verdure fresche durante tutto l’inverno, congelate in piccole mattonelle. E quante cose c’erano nei negozi! Oh, tante cose che non posso neppure tentare di descriverti, vestiti e giocattoli e lavatrici elettriche e libri e radio e apparecchi tivù…»

Cominciò a dondolarsi un poco avanti e indietro, e i suoi vecchi occhi brillavano.

«Natale,» disse. «Oh, a Natale! Con tutte le vetrine decorate e piene di luci e di musiche! Colori, luci, e gente che rideva. Non era malvagio. Era meraviglioso.»

Len spalancò la bocca. Rimase così, a bocca aperta, mentre un passo pesante vibrò sul pavimento dall’interno, e allora cercò di avvertire la nonna, perché tacesse… ma lei aveva dimenticato la sua presenza.

«Tanti film di cow-boys alla tivù,» borbottò la vecchia, ripercorrendo i sentieri dei decenni tormentosi. «Musica, e donne in bellissimi abiti che lasciavano le spalle scoperte. Pensavo che sarei diventata come loro, un giorno, da grande. Tanti libri illustrati, e il negozio del signor Bloomer con il gelato e le colombe di cioccolato a Pasqua…»

Papà uscì dalla porta. Len si alzò, e scese gli scalini. Papà lo guardò, e Len si fece piccolo piccolo, pensando che nelle ultime settimane la vita era stata fatta solo di guai.

«L’acqua,» disse la nonna, «Che scendeva da rubinetti lucidi e scintillanti, quando lo si desiderava. E il bagno proprio in casa, e la luce elettrica…»

Papà disse a Len:

«Sei stato tu a farla parlare?»

«No, davvero,» disse Len. «Ha cominciato da sola, con un vestito rosso…»

«Tutto facile,» disse la nonna. «Tutto facile, e lucente, e comodo. Così era il mondo. E poi se ne è andato. Così presto.»

Papà disse:

«Mamma.»

Lei lo guardò, obliquamente, e i suoi occhi parevano due scintille sbiadite, che si riaccendevano per brevi istanti. Lei disse:

«Cappello-piatto.»

«Andiamo, mamma…»

«Vorrei che ritornasse tutto,» disse la nonna. «Vorrei avere un vestito rosso, e un apparecchio tivù, e un bagno lindo e bianco di porcellana, e tutte le altre cose. Era un mondo buono. Come vorrei che non fosse mai finito.»