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Irresistibile! Ambasciatore del genere umano presso gli Hydrani! Andare avanti solo, e portare il saluto dell’umanità ai vicini cosmici…

Era la garanzia dell’immortalità: il suo nome sarebbe stato scritto per sempre tra le stelle.

«Quante probabilità ci sono di non lasciarci le penne?» chiese.

«Una su sessantacinque di tornare indietro tutto intero, Dick. Tenuto conto che non si tratta di un pianeta molto simile alla Terra, e che potreste ricevere un’accoglienza ostile. Una su sessantacinque.»

«Non è poi tanto male.»

«Io non accetterei mai di correre un rischio del genere» disse Boardman ridendo.

«Voi no, ma io forse sì.» Vuotò il suo bicchiere. Un’impresa simile gli avrebbe assicurato la fama. E anche nel caso di un insuccesso, finire per mano degli Hydrani non era una morte da tutti. Aveva vissuto bene. C’erano morti peggiori di quella che si può incontrare piantando la bandiera dell’umanità su un mondo straniero. L’orgoglio inquieto, la sete di gloria, la brama puerile d’immortalità che l’avevano sempre spronato, lo spingevano a tentare.

Quando Marta tornò, era tutta gocciolante d’acqua, col corpo lucido, e i capelli incollati al collo flessuoso. Guardandola Muller pensò che poteva benissimo avere quattordici anni. Boardman le gettò un «fono». Lei premette il pulsante ed entrò nel campo di luce gialla, fece un giro su se stessa, poi prese il suo peplo dallo scaffale e si rivestì senza fretta. «Era magnifico» disse. Per la prima volta, dopo il suo ritorno, i suoi occhi incontrarono quelli di Muller. «Dick, che ti è successo? Hai un’aria strana… Ti senti bene?»

«Benissimo.»

«Che cos’è successo?»

«Il signor Boardman mi ha fatto una proposta.»

«Potete dirglielo, Dick. Non abbiamo intenzione di mantenere la cosa segreta. Invieremo subito la notizia a tutta la galassia.»

«Sta per essere effettuato un atterraggio su Beta Hydri IV» disse Muller con voce dura. «Un uomo solo. Io. Quali sono i particolari, Charles? Una nave resterà nell’orbita di parcheggio e io scenderò in una capsula speciale, attrezzata per un successivo ritorno?»

«Sì.»

«È una pazzia, Dick! Non farlo!» disse Marta.

«Se le cose non andranno come dovrebbero, sarà una morte rapida, Marta. Ho corso rischi peggiori.»

«No, ascoltami! Spesso io ho delle premonizioni…» Rise nervosamente e il suo atteggiamento sofisticato si sgretolò improvvisamente. «Se andrai lassù, sono certa che morirai. Di’ che non andrai… Dillo, Dick!»

«Ufficialmente, non avete ancora accettato, Dick» disse Boardman.

«Lo so» disse Muller. Si alzò, toccando quasi col capo il soffitto basso della sala, si avvicinò a Marta e le mise un braccio attorno alla vita, stringendola forte a sé. Lei lo fuardò, spaventata. Dick le aciò la punta del naso e il lobo dell’orecchio sinistro. Marta si staccò da lui, inciampò e finì tra le braccia di Boardman, che la tenne saldamente.

«La mia risposta può essere una sola» disse Muller.

Quel pomeriggio, uno dei ricognitori raggiunse la zona F. Mancava ancora poco, ma ce l’avrebbero fatta. Muller era certo che presto sarebbero arrivati nel cuore del labirinto.

8

«Eccolo» disse Rawlins. «Finalmente!»

Attraverso gli «occhi» del ricognitore, guardò l’uomo del labirinto. Muller se ne stava appoggiato con noncuranza a un muro, con le braccia conserte. Aveva la faccia segnata, con il mento duro e il naso affilato. Non sembrava affatto preoccupato per la presenza del ricognitore.

Rawlins inserì l’audio e sentì Muller che diceva: «Salve, robot. Perché sei venuto a seccarmi?»

Il ricognitore, naturalmente, non rispose. E neanche Ned, che avrebbe potuto inviare facilmente un messaggio attraverso l’apparecchio. Il giovane Rawlins stava piegato in avanti per vedere meglio. Gli occhi stanchi gli bruciavano. C’erano voluti nove giorni locali per fare arrivare un ricognitore nel centro del labirinto. L’impresa era costata un centinaio di apparecchi: ogni venti metri di percorso, il sacrificio di un robot. Comunque, non era molto, tenuto conto che le possibilità di sbagliare là dentro erano pressoché infinite. Un po’ di fortuna, l’aiuto intelligente del cervello elettronico della nave, e un gran numero di dispositivi sensori, erano serviti a evitare tutte le trappole evidenti e la maggior parte di quelle più insidiose. E finalmente, avevano raggiunto il centro.

Rawlins era stato in piedi tutta la notte, per controllare la fase più critica, la penetrazione della zona A. Hosteen era andato a dormire, e anche Boardman. Alcuni uomini dell’equipaggio si trovavano ancora di servizio, lì e a bordo, ma Ned era l’unico civile ancora sveglio.

Si chiese se la scoperta di Muller fosse avvenuta volutamente durante il suo turno di guardia. Era improbabile. Boardman non avrebbe corso il rischio di compromettere l’impresa, lasciando un pivello solo nel grande momento. Comunque, l’avevano lasciato lì, lui aveva spostato il ricognitore di alcuni metri, e ora poteva contemplare Muller in persona.

L’uomo aveva un’espressione triste, e le sue labbra erano tese in una linea dura e sottile. Rawlins si era aspettato di vedere qualcosa di più drammatico, di più romantico su quella faccia: un riflesso di agonia. E invece si trovava davanti i lineamenti segnati, indifferenti, quasi insensibili di un uomo robusto, sulla sessantina. Muller era brizzolato, aveva gli abiti a brandelli e anche lui sembrava logoro. Ma c’era da aspettarselo da un uomo che viveva in quel tremendo esilio da nove anni.

«Che cosa vuoi?» chiese Muller al ricognitore. «Chi ti ha mandato? Perché non te ne vai?»

Rawlins non osò rispondere. Bruscamente bloccò il ricognitore e si affrettò verso la cupola dove Boardman dormiva.

Boardman stava dormendo sotto un baldacchino di dispositivi rigeneratori. Dopo tutto aveva quasi ottant’anni, anche se non li dimostrava, e uno dei modi per continuare a non dimostrarli era di affidarsi ogni notte al rigeneratore. Attaccati sulla fronte con nastro adesivo, c’erano due elettrodi meningei che garantivano un sonno salutare, lavando così la mente dalle tossine della fatica accumulata durante il giorno. Un dispositivo ultrasonico filtrava i sedimenti e le scorie provenienti dalle arterie e il flusso ormonale era regolato da una fitta rete sospesa sopra il suo torace. L’intero complesso era regolato e diretto dal cervello elettronico della nave. Perduto in quell’intrico di apparecchiature, Boardman aveva un aspetto irreale. Gli occhi si muovevano rapidamente sotto le palpebre abbassate: l’uomo stava sognando, immerso in un sonno profondo. Era prudente svegliarlo ora?

Rawlins non se la sentiva di correre rischi. Quanto meno doveva evitare di svegliarlo di soprassalto. Uscì dalla stanza e attivò il terminale che si trovava lì fuori. «Porta un sogno a Charles Boardman» disse. «Digli che abbiamo trovato Muller. Digli di svegliarsi subito. Digli: Charles, Charles, svegliati, abbiamo bisogno di te. Capito?»

«Ricevuto» rispose il cervello della nave.

L’impulso rimbalzò dalla cupola della nave, fu tradotto in forma di risposta diretta e tornò alla cupola. Quindi il messaggio penetrò nella mente dell’uomo addormentato, attraverso gli elettrodi. Rawlins rientrò nella camera da letto.

Boardman si mosse. Le sue dita si contrassero, e grattarono leggermente l’apparecchiatura che lo avvolgeva come un abbraccio.

«Muller…» mormorò.

Poi aprì gli occhi. Per un attimo non vide niente. Ma il processo di risveglio era iniziato e il sistema di rigenerazione agiva sul suo metabolismo in modo da rimetterlo in funzione. «Ned?» chiamò con voce roca. «Che cosa fai qui? Ho sognato che…»

«Non era un sogno. Sono stato io. Abbiamo attraversato la zona A e trovato Muller.»

Boardman si liberò dai lacci e sedette di scatto, completamente sveglio. «Che ora è?»