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«Dimmi che cosa non va, Marta.»

«Non lo so.»

«Sembra quasi che tu ti senta male.»

«Sto male davvero.»

«E quando hai cominciato a sentirti così?»

«Oh… Dick! Perché mi fai tutte queste domande? È così doloroso… così terribilmente doloroso…»

«Ma che cosa?»

Non volle rispondere. Fece un gesto vago e cercò ancora di staccarsi da lui.

Muller scattò in piedi.

«Dick, te l’avevo detto di non andare, che avevo una premonizione e che ti potevano capitare cose peggiori della morte!»

«Dimmi che cosa ti fa soffrire.»

«Non posso. Non lo so.»

«Dimmi la verità. Quando è cominciato?»

«Stamattina. Quando mi sono svegliata.»

«Non è vero.»

«Oh, Dick, facciamo all’amore! Non posso più aspettare. Io…»

«Tu?»

«Non posso sopportare…»

«Che cosa non puoi sopportare?»

«Niente! Niente!» Si era alzata anche lei dal letto, ora, e gli si strofinava contro come una gatta. Ma rabbrividiva, tutti i muscoli si contraevano sulla sua faccia e gli occhi avevano un’espressione d’angoscia infinita.

Muller l’afferrò per i polsi e glieli strinse forte. «Dimmi che cosa non puoi sopportare, Marta!»

Lei trattenne il respiro, e l’uomo strinse ancora più forte.

«Dimmelo!» urlò. «Tu non puoi sopportare…»

«… di starti vicina» disse la ragazza.

12

Nell’interno del labirinto l’aria era più tiepida, Rawlins pensò che probabilmente le mura tagliavano le raffiche di vento gelido. Camminava lentamente, attento alla voce che gli sussurrava all’orecchio: «Volta a sinistra… tre passi… metti il piede destro accanto alla striscia nera sul selciato… gira su te stesso… volta a sinistra… quattro passi… svolta di novanta gradi a destra… fai immediatamente un’altra svolta di novanta gradi…»

Era come «la settimana», un gioco di ragazzi. Ma qui la posta era più alta. Ned si muoveva cauto e sentiva la Morte alitargli addosso. Una fiammata improvvisa sprizzò davanti a lui, in mezzo alla strada. Il calcolatore contò: «Uno, due, tre, quattro, cinque, via!» e Rawlins avanzò.

Salvo.

Poi si fermò, e guardò indietro. Boardman lo seguiva, e non sembrava impacciato dall’età; anzi, gli fece un cenno con la mano e strizzò l’occhio. Anche lui ubbidiva puntualmente al calcolatore. «Uno, due, tre, quattro, cinque, via!» E attraversò il punto in cui sgorgava il getto di energia.

Rawlins non poteva fare a meno di guardare le ossa che giacevano dappertutto. Scheletri vecchi di secoli e cadaveri che erano lì da molto, molto meno. Esseri di tutte le razze avevano trovato la morte in quel luogo.

E se anch’io ci lasciassi la pelle nei prossimi cinque minuti? pensò.

Ora diverse luci abbaglianti lampeggiavano e si spegnevano cento, mille volte ogni secondo. Boardman, venti metri dietro di lui, divenne una figura irreale che si muoveva con movimenti scoordinati.

Il calcolatore ordinò: «Fai dieci passi e fermati. Uno. Due. Tre. Dieci passi e fermati. Uno. Due. Tre. Altri dieci passi e fermati».

Rawlins non riusciva a ricordare che cosa gli sarebbe successo se non avesse ubbidito scrupolosamente. Lì, nella zona H, le insidie erano tante che non gli era possibile tenerle tutte a mente. Era quello il posto dove poteva precipitare una tonnellata di pietre? O dove i muri si abbattevano l’uno contro l’altro? Oppure dove il ponte immaginario procurava vittime al lago di fuoco?

Aveva ancora duecentocinque anni da vivere, e non intendeva rinunciarci. Sono ancora troppo ingenuo per morire pensò.

E continuò la sua strana danza ritmata dal calcolatore, lasciandosi alle spalle il lago di fuoco e i muri che si chiudevano come mascelle.

Un animale con due lunghe zanne si sporse dall’architrave di una porta. Con calma, Charles Boardman si sfilò il fucile dalla spalla e inserì la mira automatica: bersaglio da 30 chilogrammi, distanza 50 metri. «Tutto a posto» disse a Rawlins, e sparò.

Il fascio di energia urtò il nuro, faville di un verde brillante sprizzarono attorno fondendosi con altre color porpora. L’animale fece un balzo, le membra contratte negli spasimi dell’agonia, e cadde. Da un luogo imprecisato spuntarono tre divoratori di carogne, che subito cominciarono a ridurre a brandelli il corpo senza vita.

Le immagini danzavano sopra uno schermo dorato fissato a un muro presso il limite della zona H. Rawlins vide la propria faccia prendere forma, fondersi in uno schema preesistente di linee intersecate tra loro, ed esplodere in una fiammata. Lo schermo, appositamente preparato, evidenziava quello che c’era negli occhi di chi guardava. Perciò i ricognitori, passando da quel punto, avevano visto soltanto un rettangolo vuoto. Ma Rawlins vide comparire la figura di una ragazza: Maribeth Chambers, 18 anni, studentessa di secondo anno alla Scuola Superiore di Nostra Signora delle Grazie di Rockford, nell’Illinois. Maribeth gli sorrise, e cominciò a spogliarsi.

«Sono la resurrezione e la vita» disse la ragazza appassionatamente.

Quindi gli fece cenno di avvicinarsi, e gli lanciò un’occhiata invitante…

Poi la sua pelle diventò verde, e le palpebre si abbassarono, deformate. Il labbro inferiore si protese in avanti, come una pala, e le caviglie cominciarono a sciogliersi. Lingue di fiamme danzavano sullo schermo. Ned udì alcune note profonde, provenienti da un organo invisibile, ma continuò a ubbidire ai comandi che il cervello elettronico gli sussurrava all’orecchio, e passò oltre lo schermo, indenne.

A Boardman lo schermo mostrò invece degli schemi astratti: una geometria che esprimeva potenza, linee rigide e figure immobili, come raggelate. Charles si fermò ad ammirarle per un attimo.

Poi riprese il cammino.

Una foresta di lame mulinanti comparve presso il limite interno della zona H.

Il calore si fece insopportabile. Bisognava camminare in punta di piedi sul selciato. Ned trovava che la cosa era preoccupante, perché nessuno di quelli che li avevano preceduti aveva segnalato il fenomeno. Forse il percorso andava soggetto a cambiamenti? La città poteva alterare automaticamente ogni cosa? A quanti gradi sarebbe arrivato il calore? Dove terminava la zona calda? Dopo di questa avrebbero trovato il gelo? Sarebbero arrivati vivi nella zona E? Forse Muller aveva trovato un sistema per impedire ai disturbatori di entrare.

Poteva darsi che avesse riconosciuto Boardman e che cercasse di ucciderlo. Era possibile. Aveva tutte le ragioni di odiarlo, e non aveva ancora avuto modo di riadattarsi a vivere nella società. Forse dovrei accelerare il passo e mettere una certa distanza tra me e Charles pensò Rawlins. Fa sempre più caldo. Però sarebbe una vigliaccheria e una slealtà.

Maribeth Chambers non avrebbe mai fatto cose del genere.

Si rasano ancora la testa le monache?

Per Boardman il secondo schermo, quello deformante, situato nella zona G, fu la prova peggiore. Detestava l’idea d’inoltrarsi in un’area in cui le impressioni trasmesse dai sensi non corrispondevano alla realtà. Boardman dipendeva dai suoi sensi: portava già il terzo paio di retine. E poi non si può dare un giudizio valido sull’Universo senza essere certi di vederlo chiaramente così com’è. E ora stava per entrare nel campo d’azione dello schermo deformante.

Qui le linee parallele s’incontravano e le figure triangolari che si scorgevano sui muri umidi e traballanti erano costituite interamente di angoli ottusi. Un fiume scorreva verticale attraverso la valle; le stelle erano vicinissime e le lune orbitavano una attorno all’altra.

L’unica cosa da fare era tenere gli occhi chiusi e non lasciarsi ingannare.