«Sì. Quelle che senti ora, Ned, sono le emanazioni della mia anima che si diffondono nell’aria. Tu capti il flusso di corrente nervosa che emana dalla sommità del mio cranio. Piacevole, vero? Vieni un po’ più vicino. Ecco, così.»
Rawlins si fermò.
«Bene» riprese Muller. «Adesso è più forte. Ne ricevi una dose maggiore. Ripensa a come ti sentivi quando ti ho afferrato il polso. Non era divertente, vero? A dieci metri, puoi farcela. A un metro, è insopportabile. Riesci a immaginare uno che stringe tra le braccia una donna, e intanto emana un simile fetore mentale? E non si può fare all’amore a dieci metri di distanza! Sediamoci, Ned. Siamo al sicuro, qui. Ho sistemato dei rivelatori nel caso che qualche animale pericoloso si avvicinasse, e non ci sono trabocchetti in questa zona. Siediti.» Si accovacciò sul selciato bianco come latte, fatto di un marmo sconosciuto che dava alla piazza l’aria di un salotto. Dopo un istante di esitazione, Ned lo imitò, tenendosi a una decina di metri.
«Quanti anni hai?» chiese Muller.
«Ventitré.»
«Sposato?»
«Credo proprio di no» rispose l’altro con un sorriso timido.
«Ce l’hai la ragazza?»
«Ne avevo una. Una relazione con tanto di contratto. Ma l’abbiamo sciolto quando ho accettato questo incarico.»
«Quanti uomini avete perso, finora?»
«Cinque, credo. Mi piacerebbe proprio sapere come era la gente che ha costruito una simile diavoleria.»
«Questo, probabilmente, è stato il loro grande capolavoro» disse Muller. «Il loro monumento. Dovevano essere molto orgogliosi del labirinto. Riassumeva tutta l’essenza della loro filosofia: uccidere lo straniero.»
«Sono supposizioni vostre, o avete trovato degli indizi che rivelano la natura della loro civiltà?»
«L’unico indizio che sono riuscito a trovare è attorno a noi. Ma sono un esperto in psicologie aliene, Ned. In questo campo ne so più di qualsiasi altro essere umano, perché sono l’unico che abbia mai avuto contatti con una specie sconosciuta. Uccidere lo straniero è la legge dell’Universo. E se non puoi o non vuoi ucciderlo, almeno torchialo un poco.»
«Ma noi non siamo così!» disse Rawlins. «Non proviamo un’ostilità istintiva verso…»
«Sciocchezze.»
«Ma…»
«Se un’astronave sconosciuta atterrasse su uno dei nostri pianeti, la metteremmo subito in quarantena, imprigioneremmo i membri dell’equipaggio, e li interrogheremmo fino a farli crepare. Fingiamo di essere troppo nobili per odiare gli stranieri, ma in realtà ci comportiamo correttamente solo quando abbiamo paura. Prendi il caso degli Hydrani. Nel nostro governo, c’era un nutrito gruppo di deputati favorevoli a praticare la fusione parziale dello strato di nubi che avvolge Beta Hydri IV, perché i suoi abitanti potessero godere il vantaggio di un sole. Volevano realizzare quel progetto «prima» di mandare un emissario a esplorare il pianeta, ma furono sopraffatti. Fu inviato subito l’emissario e gli Hydrani ne hanno fatto scempio. Ero io, quell’emissario.» All’improvviso un’idea gli attraversò il cervello. Sgomento, chiese: «Che cosa è successo tra noi e gli Hydrani in questi nove anni? Ci sono stati altri contatti? Guerre?»
«Niente. Ci siamo tenuti alla larga.»
«È la verità? O abbiamo sterminato quei bastardi? Ma già, dopo tutto non è stata colpa loro se mi hanno ridotto così. Hanno avuto una normale reazione zenofoba. Ned, c’è stata una guerra contro di loro?»
«No. Ve lo giuro.»
Muller tacque per un poco, poi disse: «E va bene. Non ti chiederò altre notizie. In fondo, non me ne importa niente. Quanto resterete su Lemnos?»
«Ancora non lo so. Forse qualche settimana. Non abbiamo ancora cominciato a esplorare veramente il labirinto. E poi c’è l’area esterna. Vogliamo stabilire una correlazione tra il lavoro dei primi archeologi e…»
«E gli altri hanno intenzione di spingersi fino al centro della città?»
Rawlins si inumidì le labbra. «Non abbiamo ancora dei piani precisi. Dipende tutto da voi. Non vogliamo farvi pressione, così, se non volete…»
«Non voglio» disse Muller, brusco. «Dillo ai tuoi amici. Tra cinquanta o sessant’anni sarò morto, e allora potrete fare quello che vi accomoda. Ma mentre ci sono ancora io, non voglio che nessuno venga a seccarmi. Che lavorino nelle quattro o cinque zone periferiche. Se qualcuno metterà piede nelle zone A, B o C, lo ucciderò.»
«E io? Potrò venirvi a trovare?»
«Qualche volta. Non posso prevedere i miei cambiamenti di umore. Quando vuoi parlarmi, vieni a vedere. E se ti dirò di andare al diavolo, allora farai meglio ad andartene. Chiaro?»
Rawlins rise. «Chiarissimo.» Si alzò. Anche Muller si alzò. Il giovane fece qualche passo avanti verso di lui.
«Cosa fai?» chiese Muller.
«Non mi va di parlarvi da questa distanza e di gridare a questo modo. Mi avvicino un po’, se non vi spiace.»
Assalito da un sospetto improvviso, l’altro domandò: «Non sarai mica un masochista, per caso?»
«Credo proprio di no.»
«Be’, nemmeno io sono un sadico. Non voglio che tu mi venga vicino.»
«Non è poi così spiacevole… Dick.»
«Bugiardo! Anche tu stai male, come tutti. Io sono un lebbroso, e se tu hai un debole per la lebbra, peggio per te. Non avvicinarti. Non mi va di vedere soffrire gli altri per colpa mia.»
Rawlins si fermò. «Come preferite. Sentite, Dick, io non voglio darvi noia. Desidero soltanto offrirvi la mia amicizia e il mio aiuto. Ma se questo vi dispiace, non avete che da dirmelo, e io me ne andrò.»
«Non è stato un discorso molto chiaro, ragazzo. Comunque, cosa vuoi da me?»
«Niente.»
«E allora, perché non mi lasci in pace?»
«Siete un essere umano e siete qui, solo, da molto tempo. Istintivamente vi ho offerto la mia compagnia.»
Muller si strinse nelle spalle. «Non sono una compagnia piacevole. Faresti meglio ad andartene… con tutta la tua carità cristiana. Non puoi aiutarmi in nessun modo, Ned. Puoi soltanto ferirmi, ricordandomi tutto quello che ho perduto.» Irrigidendosi, fissò gli occhi oltre l’alta figura del ragazzo, sulle ombre degli animaletti che saltellavano lungo i muri. Aveva fame, e quella era l’ora di cominciare la caccia per procurarsi la cena. Disse, brusco: «Ragazzo mio, ho esaurito tutta la mia riserva di pazienza. Vattene.»
«Come volete. Posso tornare domani?»
«Forse.»
Il giovane sorrise. «Grazie per avermi permesso di fare quattro chiacchiere con voi, Dick. Tornerò.»
Al chiarore diffuso della luna, Rawlins si avviò per uscire dalla zona A. Passò in margine a una lastra di pietra saldata al resto della strada da un congegno a molla, e che l’avrebbe fatto precipitare in una voragine se solo avesse appoggiato il suo peso sul punto sbagliato. Un animaletto munito di lunghe zanne scappò, squittendo. Ned camminò ancora un poco, poi spinse il muro in un punto preciso, e passò nella zona B.
Era ancora turbato per l’emozione di quei brevi momenti trascorsi a diretto contatto con Muller. Per un attimo era stato investito da un flusso di emozioni disordinate, non individuabili: emanazioni involontarie del suo «io» che tentava spiegazioni mute e confuse di se stesso. Quel flusso incontrollabile dell’animo colpiva dolorosamente chi ne veniva investito, e al dolore si accompagnava uno stato di depressione, insopportabile.
Non era un vero e proprio potere telepatico che gli Hydrani avevano dato a Muller. Muller non poteva leggere nella mente altrui, né comunicare i propri pensieri agli altri. Da lui si sprigionava, a ondate, la sua essenza. Un torrente di disperazione allo stato puro, un fiume di rimpianti e di dolori, la parte peggiore, e la più penosa, di un anima. Per un attimo che gli era sembrato eterno, Rawlins ne era rimasto travolto. Per il resto, si era sentito pervaso da un senso di sgomento vago e diffuso, come se fosse sintonizzato con tutto quanto c’è di discorde nel creato: le occasioni perdute, gli amori non ricambiati, le parole dette d’impulso, le pene sofferte ingiustamente, i desideri, la lama tagliente dell’invidia, l’acido corrosivo della frustrazione, il morso del tempo, la morte dei piccoli insetti durante l’inverno, il pianto del mondo. Aveva sperimentato la vecchiaia, l’abbandono, la morte, l’impotenza, l’ira, lo sgomento, la solitudine, la desolazione, il disgusto di sé e la follia. Era stato un urlo silenzioso di ribellione cosmica.