Siamo tutti così? si chiese. Forse anche da me parte lo stesso messaggio? Anche da Boardman, da mia madre, dalla ragazza che ho amato? Ce ne andiamo in giro come radiofari bloccati su una frequenza che non possiamo captare? Sia lodato Iddio, per questa nostra incapacità! È troppo penoso ascoltare!
«Sveglia, Ned» disse la voce di Boardman. «Smettila di rimuginare e tieni gli occhi aperti. Sei quasi nella zona C, ormai.»
«Charles, che cosa avete sentito la prima volta che vi siete avvicinato a Muller?»
«Ne parleremo più tardi.»
«Vi è sembrato di capire all’improvviso la realtà degli esseri umani?»
«Ti ho detto che ne parleremo…»
«Lasciatemi dire quello che voglio. Non sono in pericolo, qui. Ho appena guardato nell’anima di un uomo, e ne sono rimasto sconvolto. Ma, Boardman, lui non è davvero così. Lui è un uomo. Il miasma che emana non rivela affatto la sua vera essenza.»
«Ned! Torna al campo. Siamo tutti d’accordo che Dick Muller è un uomo unico, pieno di buone qualità. È per questo che ne abbiamo bisogno.»
16
Il mattino seguente, quando s’incontrarono di nuovo, fu più facile per entrambi. Dopo aver dormito profondamente grazie alla macchina del sonno, Rawlins tornò nel cuore del labirinto e trovò Muller in piedi, accanto a un palo di metallo scuro, a base quadrata, che sorgeva al limite della grande piazza.
«Che cosa sarebbe questo, secondo te?» gli chiese Muller mentre il ragazzo si avvicinava. «Ce ne sono otto, uno per ciascun angolo della piazza. Sono anni che li osservo. Girano. Guarda qui.» Indicò una faccia del palo. Rawlins avanzò, e quando fu a una decina di metri di distanza cominciò a captare l’emanazione di Muller. Tuttavia, si fece forza e si avvicinò ancora.
«Vedi?» disse Muller, dando un colpetto all’asta.
«C’è una tacca.»
«Mi ci sono voluti sei mesi per farla. Ho adoperato una scheggia del materiale cristallino che si trova in quel muro laggiù. Ho continuato a graffiare, ogni giorno per un paio d’ore, fino a che la tacca è stata sufficientemente visibile. Poi ho sempre tenuto d’occhio quel segno: nel corso di un anno locale compie un giro completo. Così ho appurato che questi pali ruotano su se stessi. Non si nota il movimento perché è lentissimo, ma ruotano. Si direbbero dei calendari.»
«Sono… Possono… Non avete mai…?»
«Dici frasi senza senso, ragazzo.»
«Scusate.» Rawlins indietreggiò di alcuni passi, cercando con tutte le sue forze di dissimulare l’effetto che la vicinanza di Muller aveva su di lui. Era congestionato e tremava. A cinque metri di distanza, però, la sensazione era meno tormentosa, e lui rimase lì, cercando di convincersi che cominciava ad abituarsi.
«Dicevi?»
«Avete tenuto d’occhio soltanto questo?»
«Ho fatto delle tacche anche in altri due o tre. Sono convinto che tutti ruotino, ma non ho ancora scoperto il meccanismo. Nel sottosuolo della città dev’esserci una specie di cervello portentoso. Ha milioni di anni, ma funziona ancora. Probabilmente è fatto di un metallo liquido, e i dati programmati ci galleggiano dentro. È questo cervello che fa ruotare i pali, regola la riserva d’acqua e pulisce le strade.»
«E aziona i trabocchetti.»
«Esatto. Ma non sono riuscito a trovarlo. Ho fatto degli scavi, qua e là, ma inutilmente. Forse voi, maledetti archeologi, riuscirete a localizzare il cervello della città. Avete già qualche indizio?»
«No, non credo. Io in genere, però, sto fuori dal labirinto, a dirigere le operazioni di ingresso. Quando sono entrato, sono venuto direttamente qui. Perciò, non posso sapere quello che gli altri hanno scoperto nel frattempo. Ammesso che abbiano scoperto qualcosa.»
«Hanno intenzione di scalzare le pietre delle strade?»
«Credo di no. Non usa più il sistema degli scavi. Ci serviamo di ricognitori sensori, e raggi-sonda.» Sorpreso dalla disinvoltura con cui riusciva a improvvisare, si gettò a capofitto nell’argomento. «Un tempo, l’archeologia distruggeva. Per scoprire che cosa ci fosse sotto una piramide, bisognava rimuoverla. Adesso si può fare di più e di meglio con i ricognitori. Questa è la nuova scuola: penetrare il mistero del suolo senza scavare, conservando così, intatti, i monumenti del passato per il…»
«Quindici anni fa, su uno dei pianeti di Epsilon Indi» lo interruppe Muller «una squadra di archeologi smantellò completamente un monumento funerario costruito da una razza sconosciuta, e poi non riuscì più a rimetterlo assieme. Non avevano capito i criteri su cui era basata la struttura dell’edificio. Si provarono a rimontarlo, ma il monumento crollò a pezzi e andò perduto per sempre. Due o tre mesi più tardi mi è capitato di vederne le rovine. Ma certamente tu conosci questo caso.»
Rawlins non ne sapeva niente. Arrossì e disse: «In ogni campo ci sono gli incompetenti!»
«Mi auguro che non ce ne siano anche tra voi. Non voglio che il labirinto venga danneggiato. Comunque, non sarebbe facile. Si difende bene da sé.» Si scostò di qualche passo dal palo e soggiunse, quasi parlando a se stesso: «Le gabbie si sono chiuse di nuovo.»
«Le gabbie?»
«Guarda laggiù. In quella strada che parte dalla piazza.»
Rawlins vide una nicchia scavata nel muro di un edificio. Dal terreno spuntavano una decina o forse più di sbarre curve di pietra bianca, che scomparivano dentro il muro a un’altezza di quattro metri circa, formando una specie di gabbia. Più in là, nella stessa strada, si vedeva un’altra gabbia uguale.
«Ce ne sono almeno venti, sistemate simmetricamente lungo le strade che sboccano nella piazza» disse Muller. «Da quando sono qui, si sono aperte tre volte. Le sbarre scorrono dentro il terreno e scompaiono. Il fenomeno si è verificato per la terza volta due notti fa. Non sono mai riuscito a vedere le sbarre aprirsi o chiudersi. Nemmeno quest’ultima volta.»
«A cosa credete che servano?»
«A tenerci bestie feroci, o nemici fatti prigionieri.»
«Ma adesso…»
«La città si preoccupa ancora di servire la sua gente. Ci sono diversi nemici nelle zone periferiche e le gabbie sono pronte, nel caso che questi vengano catturati.»
«Saremmo noi?»
«Sì. Nemici.» Gli occhi di Muller scintillarono all’improvviso di collera. La facilità con cui passava da un atteggiamento normale alla furia gelida tipica del paranoico era impressionante. «L’«Homo Sapiens»» riprese «il più pericoloso, spietato, spregevole animale dell’Universo!»
«Lo dite come se ne foste convinto.»
«E lo sono.»
«Andiamo…» disse Rawlins. «Avete dedicato la vostra vita al servizio della razza umana. Non potete credere…»
«Ho dedicato la mia vita» disse Muller lentamente «al servizio di Richard Muller.» Si voltò in modo da veder bene Rawlins. C’erano sei o sette metri tra i due, ma la radiazione era forte come se fossero a contatto. «L’umanità mi interessava molto meno di quello che tu puoi pensare, ragazzo mio» riprese Muller. «Vedevo le stelle e volevo farle mie. Volevo diventare un dio. Un mondo solo non mi bastava più: li volevo tutti per me. Così ho scelto una carriera che mi portasse verso le stelle. Ho rischiato la vita migliaia di volte e sopportato temperature estreme. Mi sono rovinato i polmoni con gas sconosciuti, e i medici hanno dovuto ricostruirmi da capo a piedi. Ho mangiato cibi che ti farebbero star male solo a vederli. Molti ragazzi come te mi hanno idolatrato e hanno scritto migliaia di temi sul mio altruismo, sulla mia dedizione; alla causa dell’umanità, sulla mia instancabile ricerca di cose nuove. Ma veniamo al sodo. Io sono altruista quanto lo sono stati Colombo, Magellano e Marco Polo. Sono stati grandi esploratori, è vero, ma si aspettavano anche una lauta ricompensa. E anch’io volevo una ricompensa: volevo innalzarmi migliaia di chilometri sopra gli altri mortali. Volevo che migliaia di statue d’oro mi raffigurassero su mille mondi. T’interessi di poesia? È l’ansia della fama, che sprona il poeta. L’ultima infermità della nobile mente… Milton. Conosci gli autori greci? Quando un uomo supera se stesso, gli dèi lo abbattono. Io ne ho fatto l’esperienza, purtroppo. Mentre scendevo attraverso le nubi per far visita agli Hydrani, mi sentivo un dio. E in quel momento lo ero davvero. E anche quando sono risalito tra le nubi, mi sentivo una divinità. Per gli Hydrani lo sono ancora. Ci ho pensato, allora. Mi ero detto: Sono entrato a far parte della loro mitologia, si tramanderanno per sempre la mia storia.»