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«La gabbia…»

«Lasciami finire» scattò Muller, con violenza. «Vedi, in realtà io non ero un dio, ma un misero mortale che s’illudeva, a cui i veri dèi hanno impartito una severa lezione. Hanno deciso di ricordarmi che dentro di me, sotto gli indumenti di plastica, c’era una bestia pelosa. Così hanno fatto in modo che gli Hydrani eseguissero un abile intervento chirurgico sul mio cervello, una loro specialità, credo. Non so se gli Hydrani desiderassero nuocermi o se volessero invece guarirmi da un difetto, e cioè dall’incapacità di comunicare agli altri le mie emozioni. So soltanto che hanno fatto un bel lavoro. E poi sono tornato sulla Terra: eroe e lebbroso insieme. Vienimi vicino, e ti sentirai male. E sai perché? Perché quello che senti ti ricorda che anche tu sei una bestia. È un circolo chiuso: gli altri mi odiano perché, avvicinandomi, scoprono molte cose su se stessi, e io li odio perché si tengono lontani da me. Io, vedi, sono un appestato, e la peste che porto in me è la verità. È una fortuna per l’umanità che gli uomini siano ognuno chiuso nel proprio cervello, perché se fossimo anche solo minimamente telepatici, anche se riuscissimo a trasmetterci soltanto sensazioni e non parole, non potremmo sopportarci a vicenda. Gli Hydrani penetrano direttamente nella mente dei loro simili, e sembra che la cosa li diverta, ma noi siamo diversi. Per questo dico che l’uomo è l’animale peggiore dell’Universo. Non può nemmeno sopportare l’odore dei suoi simili.»

«La gabbia si sta aprendo!» gridò Rawlins.

«Cosa? Lasciami vedere!» Muller balzò in avanti. Rawlins non fece in tempo a tirarsi da parte, e ricevette in pieno l’ondata di emanazioni. Ma questa volta l’esperienza fu meno penosa. Gli vennero alla mente visioni autunnali: foglie secche, fiori appassiti, vento polveroso e crepuscolo precoce. Provò rimpianto, più che angoscia, per la brevità della vita, l’ineluttabilità della condizione umana.

«Si sono già ritratte di parecchi centimetri. Perché non me l’hai detto prima?»

«Veramente ho tentato di farlo, ma non mi avete ascoltato.»

«Io e i miei maledetti soliloqui!» Muller rise. «Ned, sono anni che aspetto di vedere le sbarre che si muovono. Guarda come scorrono facilmente scomparendo nel terreno! È molto strano, Ned: non si sono mai aperte due volte nello stesso anno, e ora, in una settimana, è successo due volte.»

La gabbia era completamente spalancata, adesso. Non c’era più traccia delle sbarre, era rimasta solo una fila di fori nel piano stradale.

«Non avete mai provato a mettere qualcosa in una gabbia?» domandò Rawlins.

«Sì. Una volta ci ho trascinato dentro la carogna di una grossa bestia. Non è successo niente. Poi ho tentato con un paio di animaletti vivi. Ancora niente.» Aggrottò la fronte. «Avevo pensato di entrare io stesso nella gabbia, per vedere se si sarebbe chiusa automaticamente sentendo la presenza di un essere umano vivo. Poi ho rinunciato. Quando si è soli, non si possono fare esperimenti del genere.» Tacque un istante, poi chiese: «Non vorresti aiutarmi in un piccolo esperimento, Ned? Entra nella nicchia e restaci un minuto. Per vedere se la gabbia si chiude.»

«E se si chiude» disse Rawlins, senza pensarlo sul serio «avete la chiave per farmi uscire?»

«Ho diverse armi. Posso sempre tagliare le sbarre col laser.»

«Sarebbe vandalismo. Non mi avete raccomandato di non distruggere niente, qui?»

«Qualche volta bisogna distruggere per imparare. Entra, Ned.»

La voce di Muller era diventata inespressiva, strana. Aspettava in piedi, leggermente curvo in avanti, le braccia un po’ scostate dai fianchi, e le mani rivolte in avanti. Ha tutta l’aria di volermici buttare lui, se non ci vado da solo pensò Rawlins.

La voce di Boardman disse, calma: Fa’ come dice, Ned. Entra nella gabbia. Dimostragli che hai fiducia in lui.

Di lui mi fido pensò Rawlins, ma non mi fido di quella gabbia. Nella mente gli passò la visione di un pavimento che sprofondava silenziosamente non appena le sbarre si erano richiuse, facendolo precipitare in un serbatoio sotterraneo di acido, o in un lago di fuoco. Un trattamento riservato ai nemici della città.

Forza, Ned lo sollecitò Boardman.

Un gesto grandioso e pazzesco. Rawlins passò oltre la fila di fori, e si appoggiò con la schiena alla parete. Quasi istantaneamente, le sbarre spuntarono dal pavimento e si inserirono nel muro senza lasciare la minima fessura. Il pavimento, comunque, non sprofondò, e nessun raggio mortale fulminò il prigioniero.

«Magnifico!» disse Muller. «Probabilmente «sente» una creatura intelligente. Quando ho provato con gli animali non è successo niente. Che ne dici, Ned?»

«Sono felicissimo che il vostro esperimento sia riuscito, ma sarei anche più felice se adesso mi faceste uscire.»

«Non posso controllare i movimenti delle sbarre.»

«Avete detto che le avreste tagliate col laser.»

«Ma perché distruggerle subito? Aspettiamo ancora un poco. Può darsi che si aprano di nuovo, spontaneamente. Lì sei perfettamente al sicuro. Ti porterò da mangiare, se hai fame.»

Non perdere la calma gli raccomandò Boardman. Se sarà necessario ti tireremo fuori noi. Devi cercare di accontentarlo il più possibile fino a quando non sarai riuscito a stabilire con lui veri rapporti di amicizia.

«Hai dato prova di grande coraggio, Ned. O di stupidità. Non sono del tutto sicuro che fra le due cose ci sia qualche differenza. Comunque, ti sono riconoscente. Dovevo sapere a che cosa servivano quelle gabbie.»

«Sono contento di esservi stato utile. Come vedete, gli esseri umani non sono poi dei mostri!»

«Coscientemente, no. È il marciume interno che è disgustoso, Ned.» Si sedette per terra, a gambe incrociate.

«Non avete cercato di farvi curare, quando siete tornato sulla Terra?»

«Ho parlato con alcuni specialisti di rigenerazione; ma non sono riusciti neanche a intuire quali alterazioni fossero state apportate al mio flusso neurale e di conseguenza non sono riusciti a capire che cosa si potesse fare.»

«Quanto ci siete rimasto, sulla Terra?»

«Pochi mesi, ma abbastanza per rendermi conto che non esisteva un solo essere umano capace di resistere vicino a me più di pochi minuti. Ho provato con una quantità di farmaci, poi sono passato all’alcol, e alla fine ho cercato di vivere il più pericolosamente possibile. Ma sono rimasto vivo. Nel giro di un mese sono stato ricoverato in quattro istituti neuropsichiatrici, l’uno dopo l’altro. Ho provato a portare un elmetto di piombo perché facesse da schermo alle emanazioni mentali. Ma era come cercare di tener chiusi dei neutrini servendosi di un secchio.» Muller sputò. «Sai, io ero un tipo socievole, ma sapevo anche star solo. In mezzo alla gente stavo bene, riuscivo simpatico a tutti per la mia cordialità. Ma non ero un tipo tranquillo, angelico come te, che irradi cortesia e nobiltà da tutti i pori. Ho sempre condotto una vita ricca ai relazioni, complessa, agitata. Tuttavia, durante i miei viaggi me ne stavo anche un anno senza vedere anima viva, e non ne soffrivo affatto. Però, quando mi sono accorto di essere escluso dalla società per sempre, ho capito che in fondo avevo bisogno degli altri. Adesso, però, è tutto superato. Ho vinto questa esigenza, ragazzo mio. Posso passare anche cent’anni in solitudine, senza sentire la mancanza di nessuno. Mi sono abituato a considerare l’umanità come l’umanità considera me: qualcosa di nauseante, che è meglio evitare. Andate tutti al diavolo! Io non devo niente a nessuno di voi, neanche l’amore. Non ho obblighi e potrei anche lasciarti marcire in questa gabbia, Ned, senza sentirmi turbato. Potrei benissimo passare davanti a questa gabbia due volte al giorno e ridere alla vista del tuo cadavere in decomposizione!»