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Boardman continuava a impartire istruzioni. Rawlins, con il sapore amaro della menzogna sulle labbra, continuò: «Non posso criticarvi per la vostra amarezza, Dick. Ma sono sempre convinto che non abbate il diritto di nasconderci quello che sapete del labirinto. Ripensate ai tempi in cui eravate un esploratore: quando dovevate atterrare su un pianeta, e venivate a scoprire che qualcuno sapeva qualcosa su quel mondo, non facevate forse ogni sforzo per tentare di ottenere tutte le informazioni che vi interessavano, anche se quel qualcuno aveva motivi personali per…»

«Spiacente, ma con me non attacca» disse Muller, gelido.

E se ne andò, lasciando l’altro solo nella gabbia, con due pezzi di carne e la coppa dell’acqua ormai quasi vuota.

Quando Muller fu scomparso, Boardman disse: «È un uomo sensibile, ma non mi aspetto dolcezza da lui. Comunque, lo stai conquistando, Ned: hai la giusta proporzione di scaltrezza e ingenuità.»

«E intanto sono in gabbia.»

«Questo è secondario. Possiamo mandarti un ricognitore a liberarti se quella non si apre da sola e presto.»

«Muller non ha nessuna intenzione di collaborare» disse Rawlins. «È pieno di livore. Sprizza odio da tutti i pori. Non ho mai conosciuto un uomo che odiasse tanto i suoi simili.»

«Tu non sai che cosa sia l’odio» disse Boardman. «E nemmeno lui lo sa. Tutto va benissimo. Naturalmente ci sono dei contrattempi, ma è importante, e significativo, che Muller abbia accettato di parlare con te. Muller non vuole odiare. Dagli solo mezza occasione per sgelarsi, e lo farà.»

Muller non tornò. Il giorno finì, l’aria si fece fredda e Rawlins si raggomitolò nella gabbia.

Cercò d’immaginare la città, quando era ancora viva, quando quella gabbia serviva per mettere in mostra i prigionieri catturati nel labirinto. Con gli occhi della fantasia vide una folla di creature basse e tarchiate, con la pelle verde e una folta peluria rossiccia, agitare le lunghe braccia e indicare la gabbia. E nella gabbia se ne stava accucciato un animale che sembrava uno scorpione gigantesco. La bestia raspava il suolo con gli artigli, ruotava gli occhi cattivi, e batteva la coda aspettando che qualcuno si avvicinasse tanto da poter essere afferrato. La città risuonava di una musica aspra, di risate strane e del caldo odore di muschio degli abitanti. I bambini sputavano al Erigioniero chiuso in gabbia. a creatura intrappolata, mostruosa e malevola, si sentiva terribilmente sola, poiché la sua tana era su un mondo di Alpheca o di Marckab, dove innumerevoli suoi simili strisciavano in gallerie scintillanti. Per giorni e giorni, gli abitanti della città labirinto passavano e ripassavano davanti alla gabbia, in una incessante processione, schernendo e minacciando il mostro. Ned cominciò a provare ripugnanza per i loro corpi tarchiati, le dita lunghe come gambe di ragni, le facce piatte dalle brutte zanne. E infine, un giorno, il pavimento della gabbia cedette. La gente si era stancata del prigioniero venuto da un altro mondo, e lo scorpione precipitò, sferzando furiosamente tutt’attorno con la coda, in una voragine irta di lame.

Era notte, ormai, e Rawlins non vedeva Muller da parecchie ore.

Gli animali vagavano nella piazza, per lo più creature di piccole dimensioni, tutte denti e artigli.

Il giovane si sentì assalire dalla fame e dal freddo, e scrutò nelle tenebre, in cerca di Muller. Questo non era più un gioco.

«Mi sentite?» disse a Boardman.

«Presto ti tireremo fuori.»

«Sì, ma quando?»

«Abbiamo già mandato un ricognitore, Ned.»

«Non dovrebbe metterci più di quindici minuti a raggiungermi. Questa zona non è molto pericolosa.»

Dopo una lunga pausa, Boardman disse: «Muller ha intercettato un ricognitore e l’ha distrutto, un’ora fa.»

«E perché non me l’avete detto?»

«Stiamo mandandone parecchi tutti insieme» disse l’altro. «Almeno uno sfuggirà all’attenzione di Muller. Va tutto bene, Ned. Non corri nessun pericolo.»

«Finché non succede qualcosa» disse Rawlins, cupo.

Freddo. Fame. Si appoggiò al muro e aspettò. Vide un animaletto snello inseguire furtivo e uccidere un animale molto più grosso di lui, cento metri più in là, nella piazza. Poi osservò le bestie che si nutrivano di carogne gettarsi sul corpo senza vita e farlo a pezzi, disputandosi i brandelli di carne sanguinante. Allungò il collo, sperando di veder arrivare il ricognitore che l’avrebbe liberato. Niente ricognitori in arrivo.

Si sentì una vittima in attesa d’essere sacrificata.

Gli spazzini avevano finito il loro lavoro. Con passo leggero attraversarono la piazza e si diressero verso di lui. Ricordavano le donnole, col muso appuntito e le zampe palmate dalle quali sporgevano artigli gialli e ricurvi. Gli occhi erano rossi, cerchiati di giallo. Lo fissavano con interesse, solennemente, pensosamente. Sul muso c’erano ancora tracce di sangue, denso e rosso.

Una testa affusolata si introdusse fra due sbarre della gabbia. Rawlins tirò un calcio e la bestia si ritrasse. Ma subito ne ricomparve un’altra, a sinistra, poi tre.

E poi gli animali cominciarono a infilarsi nella gabbia da tutte le parti.

18

Nel campo della zona F, Boardman si era preparato un piccolo nido confortevole, tutto per sé. Sotto la cupola di un bianco latteo si era riservato un angolo privato, dove aveva sistemato un termoregolatore, un soppressore di gravità e perfino un mobile-bar pieno di liquori. Acquavite e altre raffinatezze non mancavano mai. Dormiva su un materasso gonfiabile, coperto da una trapunta rossa in cui erano incorporati fili elettrici per il riscaldamento.

Greenfield entrò. «Abbiamo perso un altro ricognitore, signore» disse bruscamente. «Nelle zone interne ne rimangono soltanto tre.»

Boardman accese una sigaretta. «Muller distruggerà anche quelli?»

«Temo di sì. Conosce le vie di accesso molto meglio di noi. Le tiene tutte sotto controllo.»

«E non avete provato a mandarne qualcuno in quelle non ancora esplorate?»

«Due, signore. E li abbiamo persi.»

«Allora bisognerà mandarne molti, tutti insieme, sperando che qualcuno riesca a sfuggire alla sorveglianza di quel demonio. Il ragazzo non ce la fa più a stare in quella gabbia. Cambiate il programma. Il cervello elettronico può escogitare nuove tattiche, se glielo si chiede. Vediamo un po’… una ventina di ricognitori che partano simultaneamente…»

«Ce ne sono rimasti soltanto tre» disse Greenfield.

«E come mai ci siamo ridotti a questo punto? Chiamate Hosteen! Ditegli di far lavorare le macchine! Voglio che costruisca cinquanta ricognitori prima di domattina. No, meglio ottanta. Restare senza ricognitori. Questa è idiozia, Greenfield!»

Buttò fuori due o tre boccate di fumo, furiosamente, e ordinò l’acquavite, un liquore denso, forte e viscoso, distillato dai padri Prolepticalisti su Deneb XIII. La situazione diventava sempre più irritante. Si sentiva sul punto di perdere la visione d’assieme, e questo, per lui, era un difetto imperdonabile. La delicatezza di quella missione cominciava a dargli sui nervi. Tutti quei passi minuziosi, quelle sottili complicazioni, quell’ansioso avvicinarsi e allontanarsi dalla mèta. Rawlins in gabbia. Rawlins e i suoi scrupoli morali. Muller e la sua visione nevrotica dell’Universo. Gli animaletti che mordevano i calcagni e intanto spiavano ansiosamente la gola. I trabocchetti che i maledetti costruttori della città avevano ideato. E gli esseri extra-galattici in attesa, con gli occhi larghi come piatti, e la loro radio-sensibilità, esseri per i quali perfino un Richard Muller valeva poco più di un vegetale. Una minaccia che incombeva su tutto.