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«Non ci sono state altre occasioni» disse Muller. «Vieni, ragazzo. Ti mostrerò tutto quello che c’è da vedere. Ecco la mia riserva d’acqua. Una raffinatezza, no? Questo tubo nero gira tutto intorno alla zona B.» S’inginocchiò per accarezzarlo e aggiunse: «Dev’esserci un sistema di pompe che aspira l’acqua da qualche vena sotterranea, forse a mille metri di profondità. Questo è un rubinetto. Ce n’è uno ogni cinquanta metri. Secondo me, l’acquedotto rifornisce d’acqua tutta la città. Forse i suoi abitanti non ne adoperavano molta. Non ho trovato nessun altro condotto.»

Poi Muller unì le mani a coppa e le mise sotto il rubinetto decorato da cerchi concentrici: l’acqua zampillò immediatamente. Lui ne bevve alcuni sorsi e ogni volta che staccava le mani il getto si arrestava. Ingegnoso! pensò Rawlins. Ma com’è possibile che tutto si sia conservato perfettamente funzionante, per tanto tempo?

S’inoltrarono nella zona A, come per una passeggiata. Muller era in vena di chiacchierare, e il dialogo fluiva facile, dissolvendosi a tratti in una nebbia acida di rabbia o di auto-commiserazione, ma per lo più pacato e piacevole: uno scambio di opinioni, esperienze, riflessioni tra un uomo maturo e un giovane che provavano piacere nella compagnia reciproca. Muller parlò della sua carriera, dei pianeti che aveva visitato, dei delicati negoziati che aveva condotto per conto della Terra con le colonie di altri mondi, spesso tutt’altro che concilianti. Pronunciò parecchie volte il nome del Consigliere Boardman, ma Ned non lasciò trapelare nessuna emozione.

«Perché non mi racconti niente di te?» chiese infine Muller. «Sei più sveglio di quanto non sembri. Un po’ timido, forse, ma con un’ottima intelligenza nascosta dietro le tue virtù da collegiale. Dove vuoi arrivare, Ned? Che cosa ti offre l’archeologia?»

Rawlins lo guardò fisso. «La possibilità di ricostruire milioni di vicende passate. Sono avido quanto voi. Voglio studiare, conoscere la storia delle civiltà. Non solo del sistema solare, ma di tutte le civiltà conosciute.»

«Ben detto!»

«Avrei anche potuto intraprendere la carriera diplomatica, come avete fatto voi. Invece ho scelto questa, e credo che mi ripagherà. C’è molto da scoprire qui e dappertutto: abbiamo appena cominciato a cercare.»

«Nelle tue parole si sente la forza di un ideale. Anch’io parlavo così.»

«E perché non pensiate che io sia esageratamente disinteressato, devo precisare che sono spinto dalla curiosità, più che dall’amore astratto per la conoscenza.»

«Comprensibilissimo, e perdonabile. Non siamo molto diversi, noi due, a parte i quarant’anni e più di differenza. Non preoccuparti troppo dei motivi che ti spingono, Ned. Vai sulle stelle, guarda, godi, agisci. Alla fine, la vita ti schiaccerà come ha schiacciato me, ma c’è ancora tempo.»

Rawlins sentiva il calore dell’uomo, adesso, il vibrare di sentimenti autentici. Tuttavia c’era ancora l’onda portante di quell’incubo, l’emozione continua che proveniva dalle profondità dell’anima, attenuata, a quella distanza, ma inconfondibile. Trattenuto dalla pietà, Ned non aveva il coraggio di dire quello che ormai era necessario dire. Boardman lo incitava, irritato: Avanti, ragazzo. Coraggio. Deciditi.

«Sembri distratto» disse Muller.

«Sto pensando che è molto triste questa sfiducia nei vostri simili, questo vostro atteggiamento negativo nei confronti dell’umanità.»

«Sono stato costretto ad assumerlo.»

«Ma non è necessario che passiate il resto della vostra vita in questo labirinto. C’è una via d’uscita.»

«Non voglio uscirne.»

«Ascoltatemi.» Rawlins respirò profondamente, e la sua faccia s’illuminò di un sorriso limpido. «Ho parlato del vostro caso al medico della spedizione, specialista in neurochirurgia. Dice che ci sarebbe la possibilità di risolvere il vostro problema, adesso. È una scoperta recente, degli ultimi due anni, e blocca ogni emanazione. Vi riporteremo sulla Terra per farvi operare, Dick… Guarirete.»

La parola inattesa gli arrivò fluttuando in un torrente di suoni banali e penetrò a fondo in Muller. Guarirete. Sbarrò gli occhi. Gli edifici scuri gli rimandarono l’eco. Guarirete! Guarirete! Guarirete! Muller sentì il veleno della tentazione rodergli l’anima. «No» disse. «Sono tutti imbrogli. Non posso guarire.»

«Come fate a esserne tanto sicuro?»

«Lo so.»

«La scienza fa progressi, in nove anni! Adesso si sa come funziona il cervello, si conosce la natura delle onde cerebrali. Hanno costruito un enorme cervello in uno dei laboratori lunari e l’hanno studiato nei minimi particolari.»

«Hai un’aria così angelica» disse Muller «coi tuoi occhi azzurri e i capelli d’oro! A che gioco stai giocando, Ned? Perché mi dici tutte queste sciocchezze?»

«Non sono sciocchezze.»

«Non ti credo. E non credo nella tua cura.»

Ci fu un lungo silenzio.

Muller era perso in un labirinto di pensieri. Lasciare Lemnos… Essere finalmente libero dalla maledizione… Potere stringere ancora tra le braccia una donna… Sentirne il calore… Ricostruire la propria carriera… Solcare nuovamente il cosmo… Scuotersi di dosso nove anni di angoscia… Credere? Partire?

«Ma c’è davvero una possibilità di guarigione?»

«Il medico ha detto di sì.»

«Sono certo che menti, ragazzo.»

«E che cosa ci guadagnerei, mentendo?»

«Questo non lo so.»

«E va bene, allora. Avete ragione voi» disse Rawlins brusco. «È impossibile aiutarvi. Parliamo d’altro.»

«Perché mi hai raccontato questa storia, se non è vera?»

«Vi ho detto di cambiare discorso.»

«Supponiamo per un momento che sia vero» insisté Muller. «Cioè che tornando sulla Terra potrei curarmi e guarire. Premetto che la cosa non m’interessa minimamente: ormai ho conosciuto la vera natura degli uomini. Mi hanno preso a calci quando ero laggiù. Non scherzavano, Ned. Sono loro che puzzano. Erano contenti di quello che mi era successo.»

«Non è vero!»

«Come fai a saperlo? Eri un bambino, tu. Mi hanno trattato in quel modo schifoso perché io rappresentavo, fisicamente, quello che loro, ognuno di loro, aveva dentro. Ero lo specchio della loro anima. Perché dovrei tornare tra gli uomini? Li ho visti come sono veramente, in quei pochi mesi passati sulla Terra dopo il mio ritorno da Beta Hydri IV. Il loro sguardo, i sorrisi imbarazzati mentre si ritraevano da me. Si, signor Muller. Ma certo, signor Muller. Soltanto, non avvicinatevi troppo, signor Muller! Ragazzo mio, vieni qui a trovarmi di notte, qualche volta, e ti mostrerò le costellazioni che si vedono da Lemnos. Le ho battezzate io. C’è il Pugnale, lungo, acuminato, che sta per affondare nel Dorso. Poi c’è il Dardo. E si vedono anche la Scimmia e il Rospo. Queste ultime sono congiunte: la stessa stella forma la fronte della Scimmia e l’occhio sinistro del Rospo. E c’è il Sole, mio amico; una stella gialla, piccola e brutta. E i pianeti sono abitati da minuscole creature sgradevoli che si sono sparse per la galassia, nell’Universo.»

«Posso dirvi una cosa che potrebbe anche offendervi?» chiese Rawlins.

«Non riuscirai a offendermi. Comunque, prova.»

«Secondo me, avete una visione sbagliata delle cose. Non riuscite più a vedere niente nella prospettiva giusta. Detestate l’umanità perché è… umana. Non è facile accettare uno come voi. Se foste al mio posto, e io al vostro, capireste. È una sofferenza. Anche adesso sento il dolore stiracchiarmi i nervi. Se vi avvicinaste ancora un poco, scoppierei a piangere. Non potete aspettarvi che la gente si abitui in fretta a uno come voi. Nemmeno chi vi ama…»