Si aggrappò alla ringhiera e si sporse a guardare. Forse l’essere enorme si muoveva? Brontolava? Lo chiamava in una lingua sconosciuta? Non udiva niente. Ma «sentiva» qualcosa d’inspiegabile.
Sentiva l’anima sfuggirgli, risucchiata da… Da cosa? Da chi?
Giù, nella voragine, il mostro gli strappava lo spirito, apriva ogni nodulo di energia, aspirava avidamente, esigeva sempre di più, voleva tutto.
«Avanti» disse Muller, e la sua voce echeggiò tutt’attorno. «Bevi. Che gusto ha? Amaro? Bevi!»
Le ginocchia gli si piegarono. Si curvò in avanti, e appoggiò la fronte alla ringhiera fredda. Offriva se stesso, come sciogliendosi in mille gocce iridescenti. Da lui uscirono il primo amore e la prima delusione, la pioggia d’aprile, la febbre e il dolore, l’orgoglio e la speranza, l’odore della sofferenza e il contatto carnale, il caldo e il freddo, le onde della musica e la musica del tuono. E poi morbidi capelli, attorcigliati attorno a un dito, linee impresse in un terreno morbido, stalloni sbuffanti, e branchi di piccoli pesci iridescenti, i palazzi della Nuova Chicago, e i bordelli di Nuova Orleans Sotterranea. E ancora: neve, latte, vino, fame, fuoco, pena, sonno, sofferenza, mele, alba, lagrime, Bach, grasso sfrigolante, la risata dei vecchi, il Sole all’orizzonte, la Luna sul mare, estasi, tristezza, sale, campi verdi, la luce di altre stelle, gambe ben tornite, danzatrici volteggianti, cubi di proiezione, spazio-tassì, gin ghiacciato, libri sfogliati, gas di scarico dei razzi, fiori d’estate ai margini di un ghiacciaio, e molte, molte altre cose. Riversò tutto quello che aveva dentro. Poi aspettò una risposta che non venne, e quando ebbe dato proprio tutto, rimase lì, la testa reclinata sul petto, svuotato, inaridito.
Fissava l’abisso senza vederlo.
26
Appena fu in grado di muoversi, se ne andò. Il portello si aprì per lasciare passare la capsula, e questa tornò alla sua nave. Presto Muller riprese il viaggio di ritorno. Dormì quasi tutto il tempo. Quando fu nei pressi di Antares, prese il comando della nave e chiese di cambiare rotta. Non era necessario tornare sulla Terra. La stazione di controllo registrò la sua richiesta, si accertò che la rotta fosse libera, e gli diede il permesso di partire subito per Lemnos. Muller puntò immediatamente sul pianeta.
Quando arrivò, trovò un’altra nave in orbita, ad aspettarlo. Cercò d’ignorarla e continuò per la sua strada, ma l’altra nave volle mettersi in contatto con lui, e Muller accettò di comunicare.
«Qui è Ned Rawlins» disse una voce stranamente calma. «Perché avete cambiato il programma di volo?»
«Che importanza ha? La mia missione l’ho compiuta.»
«Non avete fatto rapporto.»
«Allora lo faccio adesso. Ho trovato l’essere straniero e abbiamo fatto una bella chiacchierata amichevole. Poi mi ha lasciato andare. E adesso sto tornando a casa. Fine del rapporto.»
«Che cosa avete intenzione di fare?»
«Vado a casa, non l’ho già detto? Quella è la mia casa.»
«Lemnos.»
«Già, Lemnos.»
«Dick, lasciatemi venire a bordo. Concedetemi dieci minuti con voi… di persona. Vi prego, non negatemi questo favore!»
«Non te lo nego.»
Subito una scialuppa si staccò dall’altra nave, adeguandosi alla velocità dello scafo di Muller. Questi aspettò pazientemente. Rawlins entrò nel veicolo spaziale e si tolse il casco. Era pallido, teso, sembrava invecchiato. Rimasero uno di fronte all’altro per un lungo istante, poi Ned avanzò e strinse la mano di Dick.
«Credevo di non rivedervi mai più» cominciò «e volevo dirvi…» s’interruppe.
«Sì?» fece Muller.
«Non sento niente!» disse Rawlins. «Non sento niente!»
«Che cosa non senti?»
«Voi… La vostra emanazione. Guardate, sono vicinissimo! Tutta la sofferenza, la disperazione… non sento più niente!»
«L’ha assorbita l’essere alieno» disse Muller, calmo. «La cosa non mi sorprende. La mia anima ha abbandonato il mio corpo e non mi è stata restituita completamente.»
«Ma che cosa state dicendo?»
«L’ho sentito prosciugare tutto quello che c’era in me, e ho capito che dopo sarei stato diverso. Non l’ha fatto deliberatamente. È stato del tutto accidentale.»
«Allora lo sapevate anche prima che io salissi a bordo!» disse Rawlins. «Ciononostante volete tornare nel labirinto. Perché?»
«È la mia patria.»
«La vostra patria è la Terra, Dick. Non c’è più ragione perché non dobbiate tornarci. Siete guarito.»
«Sì. Una storia triste che finisce bene. Sono nuovamente in condizione di tornare tra gli uomini. È la ricompensa per avere rischiato due volte la vita tra esseri alieni. Una bella fortuna! Ma l’umanità è ancora sopportabile per me?»
«Non andate laggiù, Dick. Sragionate, adesso. Charles mi ha mandato a prendervi. È fiero di voi. Tutti lo siamo. Sarebbe un grosso sbaglio andare a seppellirvi in quel labirinto!»
«Torna alla tua nave, Ned.»
«Se tornate nel labirinto, ci verrò anch’io.»
«Fallo, e io ti ammazzo. Voglio stare solo, capito? Ho portato a termine la mia missione, l’ultima. Adesso vado in pensione, libero da tutti gli incubi.» Abbozzò un sorriso forzato, e soggiunse: «Non venire a cercarmi, Ned. Io ho avuto fiducia in te e tu mi hai ingannato. Tutto il resto non conta. Lascia la mia nave, adesso. Ci siamo detti tutto quello che avevamo da dire. Addio. E porta i miei saluti a Charles.»
«Non fatelo…»
«Laggiù c’è qualcosa che non voglio perdere. E vado a riprenderne possesso. Stai alla larga! State alla larga tutti. Ora so la verità sugli uomini. Te ne vuoi andare, sì o no?»
Senza parlare, Rawlins chiuse la tuta spaziale. Mentre si dirigeva verso il portello, Muller disse: «Sono contento di avere visto te per ultimo. Così sarà più facile.»
Rawlins scomparve.
Poco dopo, Muller programmò la nave per un’orbita iperbolica da compiersi dopo un periodo di venti minuti, entrò nella capsula e si preparò a scendere su Lemnos. La discesa fu rapida e l’atterraggio perfetto. Scese proprio nel punto stabilito, a due chilometri dall’ingresso del labirinto. Il sole splendeva, alto nel cielo. Muller si avviò di buon passo.
Aveva fatto quello che volevano. Adesso tornava a casa.
«È tutta una commedia» disse Boardman. «Tornerà prima o poi.»
«Non credo» rispose Rawlins. «Parlava sul serio.»
«Gli sei andato vicino e non hai sentito niente?»
«Niente. È… è guarito.»
«Allora tornerà certamente fuori dal suo buco» ripeté Boardman. «Lo terremo d’occhio, e quando ci chiederà di andare a prenderlo, andremo. Presto o tardi sentirà il bisogno di vedere qualcuno. Ne ha passate tante, che sente la necessità di riordinare le idee, e probabilmente il labirinto gli sembra il luogo più adatto per farlo. Non è ancora pronto per riprendere la vita normale. Diamogli due anni, magari tre. Uscirà. Gli alieni extragalattici hanno cancellato quello che altri alieni prima di loro avevano fatto, e ora Muller può benissimo reinserirsi nella società.»
«Non credo che lo rivedremo» disse Rawlins, pacato. «Non credo che si possa cancellare tanto facilmente una cosa del genere. Sono convinto che ormai non è più un essere umano.»
Boardman rise. «Scommettiamo? Cinque a uno che Muller esce dal labirinto di sua spontanea volontà tra cinque anni al massimo.»
«Ecco…»
«Bene. Abbiamo scommesso.»
Rawlins uscì dall’ufficio del vecchio diplomatico. Era sera. Scese in strada. Tra un’ora avrebbe cenato con una creatura tenera, dolce e innamorata, incredibilmente orgogliosa della sua relazione con il famoso Ned Rawlins. Una creatura che sapeva ascoltare, che con le sue moine riusciva a fargli raccontare le avventure più spericolate e annuiva gravemente quando lui parlava di quelle che ancora lo aspettavano. E anche a letto era una buona compagna.