Terminata la seduta, Jeserac andò a raggiungere Alvin e Hilvar. Sembrava cambiato dall’ultima volta, quando Alvin l’aveva lasciato a contemplare il deserto dalla Torre di Loranne. Era un cambiamento che non si sarebbe aspettato, ma che avrebbe notato anche in altri con il passare dei giorni. Aveva un’aria più giovanile, come se il suo spirito avesse attinto nuove energie e nel suo sangue scorresse una nuova linfa. Jeserac, a dispetto dell’età, era tra quelli capaci di accettare la sfida che Alvin aveva lanciato a Diaspar.
«Devo raccontarti le ultime novità, Alvin» disse. «Conosci, vero, il senatore Gerane?»
Alvin restò un momento in forse, poi annuì.
«Ma certo… Uno dei primi uomini che ho conosciuto a Lys. Fa forse parte della delegazione?»
«Precisamente. Siamo diventati amici. È un uomo brillante, che capisce molte cose della mente umana anche se, a sentir lui, in confronto a molti suoi concittadini è ancora un novellino. Be’, vuol fare un esperimento, approfittando del soggiorno a Diaspar, che tu senz’altro approverai in pieno.
Spera di poter analizzare la costrizione che ci inchioda a Diaspar. Dice che se gli riesce di scoprire come è stata imposta, potrà neutralizzarla. Una ventina di persone stanno già collaborando con lui.»
«E voi siete tra quelle?»
«Si capisce! Non è facile e nemmeno piacevole… Ma ne vale la pena.»
«E Gerane che sistema segue?»
«Opera attraverso le saghe. Se n’è fatta preparare un’intera serie e studia le nostre reazioni mentre le viviamo. Chi me lo doveva dire che, alla mia età, sarei tornato ai giochi dell’infanzia!»
«Cosa sono le saghe?» chiese Hilvar.
«Luoghi fantastici, immaginari» spiegò Alvin. «Immaginari in parte, almeno, perché certi sono probabilmente basati su fatti storici. Ce ne sono milioni registrati nelle Banche Memoria della città. Uno si sceglie il tipo di avventura o di esperienza che preferisce, e durante il tempo in cui la sua mente è sotto quegli impulsi, la cosa gli sembra assolutamente reale.» Poi si rivolse a Jeserac. «Che tipi di saghe vi fa scegliere Gerane?»
«Più o meno riguardano l’uscita da Diaspar. Certe ci riportano al tempo in cui fu fondata la città. Gerane pensa che quanto più si potrà avvicinare all’origine di questa costrizione, tanto più gli sarà facile distruggerla.»
Alvin si sentì molto incoraggiato. La sua opera non avrebbe avuto nessun significato se, pur avendo aperto i cancelli di Diaspar, nessuno li avesse voluti varcare.
«Voletedavveroessere in grado di lasciare Diaspar?» domandò Hilvar con la solita perspicacia.
«No» ammise Jeserac in tutta sincerità. «Sono terrorizzato solo all’idea.
Ma mi rendo conto che eravamo in torto nel credere che Diaspar fosse tutto ciò che può soddisfarci, e la logica mi dice che si deve fare qualcosa per eliminare l’errore. In pratica sono assolutamente incapace di mettere piede fuori città; forse lo sarò sempre. Gerane è convinto che riuscirà a convincere qualcuno di noi ad accompagnarlo a Lys, e io sono pronto a prestargli tutto il mio appoggio… Anche se mi auguro con tutte le forze che non ci riesca.»
Alvin guardò il suo vecchio tutore con nuovo rispetto. Ora non sminuiva più il potere della suggestione, né sottovalutava le forze che possono costringere un uomo ad agire contro la logica. Non poteva fare a meno di paragonare la calma e il coraggio di Jeserac alla pusillanimità di Khedron, sebbene, con la nuova comprensione della natura umana che aveva acquistato, riuscisse anche a scusare il Buffone per ciò che aveva fatto.
Gerane, ne era certo, avrebbe portato a termine il tentativo cominciato.
Jeserac poteva essere troppo vecchio per rompere la regola seguita tutta la vita, anche se voleva ricominciare da capo. Ma non aveva importanza. Altri avrebbero seguito quella strada, abilmente guidati dagli psicologi di Lys. E una volta che alcuni fossero sfuggiti alla morsa di milioni di anni, non si sarebbe trattato che di tempo, poi tutti gli altri li avrebbero seguiti.
Ma cosa sarebbe accaduto a Diaspar, e a Lys, quando le barriere fossero completamente cadute? Il meglio di entrambe si poteva salvare e fondere, ma sarebbe stato un compito estenuante, che avrebbe richiesto tutta la saggezza e tutta la pazienza dei due popoli.
Le prime difficoltà cominciavano già a delinearsi. Gli ospiti di Lys, col massimo tatto, avevano rifiutato di abitare nelle case che la città aveva apprestato per loro. Si erano accampati temporaneamente nel Parco, l’unico posto che poteva ricordare Lys. Unica eccezione, Hilvar; il quale, pur soffrendo all’idea di abitare in una casa dalle pareti inconsistenti e dai mobili effimeri, aveva accettato coraggiosamente l’ospitalità di Alvin.
Hilvar, che non aveva mai sofferto di solitudine in vita sua, a Diaspar si sentiva solo. La città gli sembrava molto più strana di quanto Lys fosse sembrata ad Alvin; era oppresso e sopraffatto dalla sua infinita complessità e dal numero stragrande di sconosciuti che affollavano ogni centimetro quadrato attorno a lui. Conosceva, anche se solo di vista, quasi tutti gli abitanti di Lys. A Diaspar, in mille vite, non sarebbe riuscito a conoscere tutti gli abitanti. Era un pensiero irrazionale, ma si sentì depresso, e solo l’amicizia per Alvin lo tratteneva in quel mondo che non aveva niente a che fare col suo.
Aveva tentato spesso di analizzare i suoi sentimenti verso Alvin.
Quell’amicizia nasceva, ne era certo, dallo stesso istinto che lo portava verso tutte le creature piccole o che si dibattevano in uno sforzo qualsiasi. Alvin era uno spirito inquieto, un esploratore alla ricerca di un tesoro perduto. Raramente questi esseri trovano quel che cercano, più raramente ancora il coronamento dei loro sforzi porta loro la sognata felicità.
Hilvar non sapeva cosa l’amico stesse cercando. Alvin era trascinato da forze messe in moto nelle età precedenti da uomini di genio, che avevano disegnato Diaspar con una perizia perversa… o da uomini di genio anche più grandi che avevano cercato di opporsi ai primi. Come tutti gli esseri umani, Alvin era in un certo senso una macchina; le sue azioni erano predeterminate da fattori ereditari. Questo non cancellava il suo bisogno di comprensione e di simpatia, né lo rendeva immune dalla solitudine e dall’avvilimento. I suoi concittadini lo consideravano un individuo incontentabile; a volte arrivavano a dimenticare che fosse uno di loro. Ci voleva un estraneo, venuto da un ambiente totalmente diverso, per considerarlo un uomo come gli altri.
Nei pochi giorni trascorsi a Diaspar, Hilvar aveva incontrato più gente che in tutta la sua vita. Incontrato, sì, senza potere in pratica conoscere nessuno. Gli abitanti della città, per via dello spaventoso affollamento, mantenevano un riserbo nel quale era difficile penetrare. Di privato, a Diaspar, non c’era che la vita dello spirito, e tutti ne erano gelosissimi. Hilvar li compativa, pur sapendo che non sentivano il bisogno della sua simpatia.
Non capivano a cosa rinunciavano… Non conoscevano il calore, l’abbandono reciproco che legava i membri di una società telepatica come quella di Lys. Infatti, per quanto fossero tanto educati da nasconderlo, era evidente che la maggior parte delle persone con cui si fermava a parlare lo considerava con pietà per la stupida esistenza che era costretto a condurre.
Eriston ed Etania, i guardiani di Alvin, vennero considerati da Hilvar due complete nullità. Trovava strano che Alvin si riferisse a loro chiamandoli padre e madre. A Lys quelle parole avevano conservato il loro antico significato biologico. Era necessario un continuo sforzo di immaginazione per ricordare che le leggi della vita e della morte erano state cambiate dai costruttori di Diaspar, e c’erano volte in cui Hilvar, nonostante l’attività che si svolgeva attorno a lui, trovava la città completamente vuota per la mancanza di bambini.
Cosa sarebbe accaduto di Diaspar, ora che il lungo isolamento era finito?