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Distruggere le Banche Memoria che la tenevano immutabile da millenni sarebbe stato il provvedimento migliore. Per quanto miracolose, erano la creazione di una cultura malata, una civiltà schiava della superstizione. Se molti dei timori di Diaspar erano basati su fatti reali, gli altri non erano che frutto della fantasia, Hilvar era già al corrente di ciò che la mente di Vanamonde stava rivelando ai suoi concittadini. Tra pochi giorni, Diaspar avrebbe appreso la verità, e avrebbe scoperto che molto del suo passato era soltanto un mito.

Ma se le Banche Memoria venivano distrutte, in meno di mille anni la città sarebbe morta, poiché i suoi figli avevano perso la capacità di riprodursi. Quel dilemma andava affrontato, ma già Hilvar vedeva delinearsi una possibile soluzione. Ogni problema tecnico ha la sua risposta, e Lys era padrona della scienza biologica. Se Diaspar voleva, ciò che era stato fatto poteva venire disfatto.

Prima, però, la città doveva rendersi conto di ciò che aveva perso. La rieducazione avrebbe richiesto degli anni, forse dei secoli, ma già stava per cominciare; ben presto la sorpresa della prima lezione avrebbe dato a Diaspar una scossa pari a quella dell’incontro con Lys.

E anche Lys sarebbe rimasta scossa. Nonostante tutte le differenze, le due culture erano scaturite dalle stesse fonti, le due razze avevano soggiaciuto alle stesse illusioni. Entrambe avrebbero migliorato quando avessero guardato ancora una volta, con calma e obiettività, nel passato che stava per riemergere dall’oblio.

24

L’anfiteatro era stato progettato per raccogliere tutta la popolazione di Diaspar; nemmeno uno dei dieci milioni di posti era vuoto. Alvin, dal suo posto strategico sul gradino più alto, osservava l’immenso imbuto, e la scena gli ricordava Shalmirane. I due crateri erano della stessa forma, circa della stessa misura. Se l’umanità avesse affollato la grande conca di Shalmirane, avrebbe offerto uno spettacolo identico.

Tuttavia, c’era una differenza fondamentale. La conca di Shalmirane esisteva; l’anfiteatro, no. Era soltanto un puro fantasma, uno schema di cariche elettroniche che le memorie del Computer Centrale emanavano o cancellavano secondo la necessità. Alvin sapeva di essere in realtà nella sua camera, come le miriadi di persone che lo circondavano. L’illusione, del resto, era perfetta. Si poteva benissimo credere che Diaspar fosse stata abolita e che tutti i suoi cittadini si fossero radunati nell’enorme cavità.

Forse succedeva una volta ogni mille anni che la vita della città si fermasse in modo che tutti potessero riunirsi nell’Assemblea Generale. Alvin sapeva che anche a Lys aveva luogo in quel momento l’equivalente di quella assemblea. Là si sarebbe trattato di una riunione di menti, forse combinata con un apparente raduno di corpi, tanto da creare un’immaginaria e tuttavia convincente adunata.

Riconosceva molte delle facce attorno a sé. A circa due chilometri di distanza, trecento metri più in basso, c’era il piccolo palco rotondo su cui si fissava in quel momento l’attenzione di tutto il mondo. Da una simile distanza Alvin non avrebbe potuto vedere niente e invece sapeva che, non appena fosse cominciato il discorso, i più vicini e i lontanissimi avrebbero visto e sentito tutti con la medesima chiarezza.

Sul palco si formò una nebbiolina, che ben presto assunse le sembianze di Callitrax, il capo del gruppo cui era stato affidato il compito di ricostruire il passato dalle notizie che Vanamonde aveva portato sulla Terra. Era stata un’impresa straordinaria, quasi impossibile, e non solo per l’enormità del tempo in cui bisognava indagare. Una volta soltanto, con l’aiuto mentale di Hilvar, Alvin riuscì a penetrare per un attimo nella mente dello strano essere che avevano scoperto… o che li aveva scoperti. Per Alvin i pensieri di Vanamonde risultarono confusi come il suono di mille voci che echeggiano insieme in una caverna. Ma gli uomini di Lys riuscivano a decifrarli, e li potevano registrare per studiarli poi con maggiore comodità. Si mormorava che avessero scoperto cose stranissime, che non avevano la più lontana rassomiglianza con la storia che l’umanità aveva accettato per miliardi di anni. Hilvar non aveva né confermato, né negato quelle voci.

Callitrax cominciò a parlare. Per Alvin, come per tutti gli abitanti di Diaspar, la chiara, precisa voce parve giungere da poco lontano. Poi, in un modo difficile da definire, come la geometria di un sogno sfida la logica senza suscitare sorprese nella mente del sognatore, Alvin si trovò accanto a Callitrax pur senza aver abbandonato il suo posto sulla gradinata. Non rimase sorpreso. Accettò il fatto senza farsi domande, come accettava tutte le altre manipolazioni della scienza sul tempo e sullo spazio.

Callitrax riesaminò in poche parole la storia conosciuta. Parlò dei popoli sconosciuti delle Civiltà Primitive, delle quali non restava che qualche grande nome e le vaghe leggende dell’Impero. Fin dall’inizio, diceva la storia, l’Uomo aveva desiderato le stelle, e finalmente le aveva raggiunte. Per milioni di anni l’espansione si era via via estesa alla galassia, sottomettendo al dominio dell’Uomo un sistema dopo l’altro. Poi, dall’oscurità oltre il limite dell’Universo, gli Invasori erano riusciti a colpirlo e a strappargli tutto ciò che aveva conquistato.

La ritirata verso il Sistema solare doveva essere stata penosissima e doveva essere durata molte ere. La stessa Terra si era salvata a stento dopo le spaventose battaglie combattute attorno a Shalmirane. All’Uomo non erano rimasti che i ricordi e il mondo in cui era nato.

Da quel momento tutto era stato una lunga marcia indietro. Come ironia finale, la specie che aveva sperato un tempo di regnare sull’Universo aveva abbandonato gran parte del suo piccolo pianeta e si era divisa nelle due culture isolate di Lys e Diaspar, oasi di vita nel deserto che a poco a poco le aveva separate.

Callitrax fece una pausa. Ad Alvin, come a tutte le persone presenti, parve che lo storico lo stesse fissando con uno sguardo che sembrava essere stato testimone di fatti che ancora stentava a credere. «Questo» riprese poi «per quanto riguarda le favole cui abbiamo creduto. Ora debbo dirvi che le nostre documentazioni sono false, false anche nei più piccoli particolari,tanto false che nemmeno adesso siamo riusciti a conciliarle pienamente con la verità."

Aspettò che quelle parole producessero l’effetto desiderato; poi, in tono pacato e senza enfasi, comunicò a Lys e a Diaspar ciò che si era potuto apprendere grazie a Vanamonde.

Non era vero nemmeno che l’Uomo avesse raggiunto le stelle. Il suo piccolo impero era entro le orbite di Plutone e di Persefone, poiché lo spazio interstellare costituiva una barriera insormontabile. La sua civiltà gravitava soltanto attorno al sole, ed era ancora agli inizi quando… le stelle raggiunsero l’Uomo.

L’Uomo aveva certo ricevuto una terribile scossa. Nonostante i suoi vani sforzi, non aveva mai dubitato di conquistare un giorno le profondità dello spazio. Era convinto che l’Universo fosse abitato dai suoi pari, non da specie superiori. Ora sapeva che entrambe le teorie erano errate e che tra le stelle c’erano menti molto più vaste della sua. Per molti secoli, prima con navi di altre specie, poi con macchine che aveva imparato da altri a costruire, l’Uomo aveva esplorato la galassia. Dovunque incontrava culture che poteva comprendere ma non superare; qua e là s’imbatteva in menti che andavano al di là della sua comprensione.

Il colpo fu tremendo, ma l’Uomo non era disposto a lasciarsi battere. Più triste, e infinitamente più saggio, era ritornato al suo Sistema solare per meditare sulle cognizioni che aveva acquisito. Avrebbe accettato la sfida.

Lentamente mise a punto un piano che gli dava qualche speranza per l’avvenire.

Il supremo interesse dell’Uomo si era fino allora rivolto alla fisica; ora si spostava verso la genetica e lo studio della mente. Era deciso a qualunque costo a raggiungere i limiti della propria evoluzione. Il grande esperimento aveva consumato per milioni di secoli le energie della razza. Tutti quegli sforzi, tutti quei sacrifici, nel racconto di Callitrax vennero ridotti a poche parole. L’Uomo aveva conquistato le sue massime vittorie: bandito il male fisico, conquistato l’immortalità, e asservito il più sottile dei poteri con la conquista della telepatia.