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Non credo che il suo destino abbia a che fare col nostro.»

Alvin lo guardò sorpreso.

«Perché la pensi così?»

«Non saprei spiegartelo. È solo un’intuizione, nient’altro.» Avrebbe potuto aggiungere altre considerazioni, ma preferì tacere. Certe cose non si possono comunicare. Pur sapendo che Alvin non avrebbe certo riso delle sue fantasticherie, preferiva tenerle per sé.

Ma non si trattava solo di una fantasticheria, ne era certo, e quel pensiero l’avrebbe assillato per sempre. Era una certezza indefinibile, balenata alla sua mente durante quell’indescrivibile contatto con Vanamonde. Sapeva forse lo stesso Vanamonde quale sarebbe stato il suo solitario destino?

Un giorno l’energia del Sole Nero si sarebbe esaurita, e il prigioniero sarebbe tornato libero. Allora, al limite dell’Universo, dove il Tempo stesso era fermo, Vanamonde e la Mente Pazza si sarebbero incontrati tra i corpi spenti delle stelle.

Quel conflitto avrebbe scosso tutto il Creato, probabilmente; pure, non avrebbe per nulla riguardato l’Uomo, il quale non ne avrebbe mai conosciuto il risultato finale.

«Guardate!» fece Alvin all’improvviso. «Ecco quello che volevo mostrarvi. Capite quel che significa?»

La nave era a picco sul Polo, e il pianeta sotto di loro era un perfetto emisfero. Jeserac e Hilvar, fissando la cintura di luce crepuscolare, colsero nello stesso istante l’alba e il tramonto sui due lati opposti del globo. Il simbolismo era così perfetto, così impressionante, che per tutta la vita avrebbero portato impresso il ricordo di quell’attimo.

La notte scendeva sull’Universo; le ombre stavano allungandosi verso un oriente che non avrebbe mai più visto l’alba. Ma altrove le stelle erano ancora giovani, altrove si protraeva la luce del mattino; e lungo il sentiero già seguito un tempo, l’Uomo un giorno si sarebbe incamminato di nuovo.

FINE