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Patricia A. Mckillip

La citta di luce e d’ombra

1

Rosa e Spina

Mentre il governatore dell’antica città di Ombria giaceva in punto di morte, lo sguardo gelido di Domina Pearl costrinse la sua concubina a uscire dalla camera, e questa si allontanò senza quasi vedere dove stava andando. Giunta alla porta non sorvegliata della stanza di Kyel Greve entrò e si fermò accanto al letto sul quale il bambino stava giocando con i suoi pupazzi.

Lydea, figlia del gestore di una taverna, e il giovane erede di Ombria si guardarono, entrambi pallidi e con gli occhi arrossati. Il bambino sollevò la mano dove aveva infilato il pupazzo del Falco. Le sue piume erano di seta, gli occhi due zirconi dipinti.

«Sciogliti i capelli», fece dire al Falco.

Lydea si portò le mani alla testa; perle, spille e reticelle d’oro si sparsero sul pavimento. I capelli, color delle foglie d’autunno le caddero quasi fino alle ginocchia. Il bambino continuò, a fissarli con occhi assenti, tanto che lei pensò che si fosse addormentato. Ma infine lui si riscosse. Aveva i capelli neri e gli stessi occhi blu-zaffiro del padre. La sua pelle, bianca come la cera, faceva risaltare il rossore del naso. Se lo asciugò con una manica.

«Posso sedermi?» domandò cautamente Lydea. Alta e graziosa, con la testa sempre un po’ china come sotto il peso di un amore pericoloso, era giunta nel palazzo del principe di Ombria poco dopo che lui aveva perso la moglie, quando lei stessa era poco più di una bambina.

In quei cinque anni Royce Greve le aveva insegnato come comportarsi e presentarsi in quell’ambiente difficile, ma non era riuscito a farle smettere di mangiarsi le unghie. Anche in quel momento lo avrebbe fatto, però Kyel le gettò un pupazzo.

«Devi farlo dire a lui.»

Lei infilò la mano nella testa di porcellana. Una testa di papero, proprio quella più adatta a me, pensò.

«Posso sedermi?» domandò il Papero.

Il Falco rispose: «Siedi».

«Dove sono le tue guardie?»

Lui scrollò appena le spalle; il Falco disse: «Sono state chiamate altrove».

Gli occhi di lei si spalancarono. «Da chi?»

«Non lo so.»

«E Jacinth? Dov’è?»

«Domina le ha detto di andarsene.»

«Di lasciare il palazzo?»

Sia il Falco sia il bambino annuirono. «Lei ha detto che sono troppo grande per avere una bambinaia.»

«Chi l’ha detto? Jacinth?»

«No. Domina.»

Una parolaccia che Lydea non pronunciava da cinque anni le scappò di bocca; lei si morse le labbra col becco del Papero. Gli occhi di Kyel si fecero improvvisamente vitrei.

«Mio padre sta morendo, e Jacinth se n’è andata. Tu almeno resterai con me?»

«Per un po’.» Ricordò di doverlo far dire al Papero. «Per un po’, mio signore», fece dire al pupazzo, con l’accento popolaresco della sua infanzia. «Per un bocconcino di tempo, mio giovane paperotto.»

«Io sono un falco, non un papero.»

«Il falco era tuo nonno. Peregrine Greve. Non tu. Tu sei un dolce paperotto.» Lei gli accarezzò i capelli, cercando di vincere la tristezza e di non pensare ad altro. Non ne aveva la forza; si sentiva pesante, rassegnata, passiva, a malapena in grado di tenere alzato il Papero. «Non ti lascerò solo, qui», promise, sapendo che almeno di quello era capace, anche se avesse dovuto morire con lui su quel letto coperto di pupazzi. Cosa fare, cosa fare… Quando Royce Greve avrebbe esalato l’ultimo respiro, la sua prozia Domina si sarebbe autonominata reggente, in attesa che Kyel diventasse maggiorenne. Sempre che lo lasciasse vivere fino a quel giorno…

Il Papero si accasciò a becco in giù sul copriletto ricamato. Lydea lo guardò senza vederlo. Oppure era stato Ducon Greve ad allontanare le guardie, per far restare Kyel senza protezione alla morte di Royce? Un bastardo della Casa potrebbe governare Ombria? si domandò. Sì, se fosse stato abbastanza duro. Anche un cane mangiato dalle pulci poteva governare Ombria, purché sapesse farsi rispettare spietatamente.

Il Falco beccò il Papero. «Parla.» Poi il bambino si tolse il Falco dalla mano e lo sostituì col Re dei Ratti, che aveva gli occhi di granati e la corona d’oro. «Parlami.»

«Vuoi che ti racconti una favola?» domandò il Papero.

«Raccontami la favola del ventaglio.» Kyel rotolò lontano da lei e prese il ventaglio da un tavolino d’ebano accanto al letto. Era un oggetto delicato, fatto da un doppio strato di carta di riso e con i bastoncini d’avorio. Un lato era un dipinto, sull’altro c’era solo un complesso insieme di profili, un mondo di ombra che poteva esser visto tenendo il ventaglio controluce. Era appartenuto alla madre di Kyel.

Lydea aprì lentamente il ventaglio, mostrandogli il lato colorato. «Questa è Ombria, mio signore», disse il Papero. «La città più antica del mondo. La più bella città del mondo.»

«La più potente città del mondo.»

«La più ricca città del mondo.»

«Questo è il mondo di Ombria.» Il Papero toccò un minuscolo palazzo verde-giada in riva al mare. «Questo è il palazzo dei governanti di Ombria. Questi sono i grandi moli di Ombria. Queste sono le navi di Ombria…» Il Papero prese delicatamente il ventaglio col becco e lo spostò di fronte alla lampada. La luce lo attraversò. «Questa è l’ombra di Ombria.»

Dietro Ombria sorgeva una città, un fantastico insieme di ombre che torreggiavano perfino sopra il palazzo. Navi ombra scivolavano sulle acque, piccole persone ombra camminavano nelle strade dipinte. Il futuro governante di Ombria, a bocca aperta, osservò il suo dominio.

«Parlami della città-ombra. Io governerò anche là?»

La voce del Papero si fece sognante, entrando nell’atmosfera della storia. «La città-ombra di Ombria è antica quanto Ombria. Alcuni dicono che è una città completamente diversa, ed esiste fianco a fianco con Ombria in un tempo così vicino al nostro che ci sono posti… strade, porte, vecchie case, dove un tempo si confonde con l’altro, e una città diventa l’altra. Altri dicono che le due città esistono in un solo tempo, in questo momento, e che tu cammini attraverso entrambe ogni giorno, proprio come percorrendo una strada, tu passi dalla luce all’ombra e alla luce… Così, mio signore, chi può dire se governerai la città-ombra? Uno la governa e non la governa; è lo stesso, perché se governa la città-ombra non lo saprà mai.»

«Allora come… Allora come si fa a sapere che c’è?»

Il Papero tacque. Dietro la sua testa dipinta, il viso di Lydea con i suoi occhi velati era immobile, scolpito in una bellezza senza tempo dall’amore, dalla paura e dal dolore. Stava ripensando alle affollate e rumorose strade della sua infanzia: un angolo di luce abbagliante in una viuzza troppo buia per vederne il fondo, una casa che talvolta era lì e talvolta altrove…

«Dea, Dea, come si fa a saperlo?»

Sbatté le palpebre. Un’altra voce aveva mormorato quelle parole: Dea, Dea, con un sospiro, soltanto in quelle occasioni, soltanto quando loro erano soli. In quella casa non c’era niente di privato, niente di niente… Sentì due lacrime pesanti gonfiarsi nei suoi occhi.

All’improvviso qualcuno aprì la porta. Si voltò, facendo voltare il Papero con lei, e nessuno dei due riuscì ad aprir bocca. Ma non era Domina Pearl, né le sue guardie prezzolate venute a occuparsi del bambino. Sulla porta era apparso Ducon, il figlio bastardo di Camia, e il ragazzo spostò lo sguardo dal Ratto all’erede, dalla concubina al Papero, con volto meno espressivo — pensò Lydea — di uno di quei pupazzi.

«Il principe chiede di voi», disse il giovane a Lydea.

Non somigliava alla madre, la sorella minore del principe. La donna era morta dieci anni dopo averlo messo al mondo, senza aver rivelato a nessuno il nome del padre. A chi somigliasse era un argomento che ancora generava pettegolezzi. Anche Lydea aveva cercato d’immaginare una risposta, ma a corte non c’era nessuno con quei capelli così bianchi, con quegli occhi d’argento in cui non si leggeva nient’altro che il riflesso della luce, e con quel sottile, rigido sorriso che sfidava perfino Domina Pearl. A chi offrisse il suo affetto, a cosa dedicasse il suo tempo, Lydea ne aveva solo una vaga idea. Il giovane trattava la concubina dello zio con una via di mezzo tra la cortesia e l’indifferenza; cosa pensasse di lei era impossibile capirlo. Aveva interessi bizzarri, gli piaceva l’arte e andare a zonzo. A lei era capitato di vedere alcuni suoi acquerelli: portoni malridotti, moli in rovina, scale mezze crollate. Sembrava che si aggirasse senza timore nei luoghi più oscuri di Ombria. Royce era affezionato al bastardo di sua sorella e lo aveva sempre trattato con generosità. Ma, anche dopo cinque anni di vita a palazzo, Lydea non lo conosceva abbastanza da sentirsi a suo agio davanti a lui.