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«Se merita…» le fece eco Lydea, sbalordita. «Essere salvato in che modo? E da cosa?»

«Dalla morte.»

Lydea la guardò. Al tavolo accanto, suo padre fece ballare irosamente il contenuto di un vassoio. I pesanti boccali che urtavano la caraffa non riuscirono ad attirare l’attenzione della figlia. Quest’ultima infine ritrovò la voce. «È in pericolo?»

«Faey… la donna con cui vivo, pensa che lo sia.» Mag vide che Lydea era sempre più perplessa. Fece un sospiro che a stento scosse la veletta, e cercò di spiegarsi meglio. «Faey pensa che Domina Pearl le chiederà di fare qualcosa che distruggerà Ducon.»

«Distruggerà?»

«Qualcosa di sottile. Un incantesimo di cui nessuno potrà sospettare.»

Le sopracciglia di Lydea si alzarono, e così la sua voce. «Un incantesimo capace di ucciderlo?»

«È una cosa che rientra nelle possibilità di Faey.»

Lydea si sentì mancare; allungò una mano sullo schienale di una sedia, ma non sedette. I suoi occhi, storditi e inorriditi, sembravano credere che sotto la veletta nera non ci fosse nulla di umano. «Lei potrebbe fargli questo?»

«Per Faey sono soltanto affari», le spiegò con naturalezza Mag. «Ma io credo che il destino di Ombria le importi qualcosa, perché lei non approva affatto la Perla Nera.»

«E tu?» La voce di Lydea stava sparendo, sepolta nella sua gola. «Tu cosa farai?»

«Io lavoro per Faey.»

A queste parole Lydea fece un passo indietro. Poi si fermò di nuovo, confusa dalla contraddizione velata che aveva dinanzi. «La aiuterai a uccidere?»

«No», rispose sottovoce Mag, fissando un foro tra gli zoccoli di Lydea come se temesse che sotto il pavimento ci fosse Faey in ascolto. «Questa è una cosa che lei fa di rado, e quando la fa, io trovo il modo d’interferire senza che lei lo sappia.» Fece una pausa, ripensando al sapore di sangue e fuoco la prima volta che aveva restituito il respiro a una delle vittime di Faey. «È per questo che ti ho domandato di Ducon Greve. Se vale la pena di salvarlo, o se Ombria starà meglio senza di lui. Non è facile cambiare gli incantesimi di Faey. E non so cosa mi farebbe se lo scoprisse. Tu cosa ne pensi? Dovrei intervenire?»

Lydea la guardò, sconcertata. Poi il suo sguardo si volse all’interno, in cerca dei ricordi, e Mag scorse oltre quel viso contorto e preoccupato la delicata bellezza di colei che era stata l’amante di un principe fino a pochi giorni prima.

Lentamente Lydea disse: «Non l’ho mai conosciuto bene. Lui non ha mai confidato i suoi pensieri e la vita che fa, almeno a me. Kyel si fida di lui. Questo può essere un vantaggio per Ducon, ora, o forse il contrario. Non saprei dirlo. Lui non ama affatto Domina Pearl, ma c’è forse qualcuno che la ama? So che gli piace vagabondare per la città. Mostrava spesso a Royce i disegni di cose che l’avevano colpito, nelle strade. Vecchi portoni, vicoli abbandonati, finestre sbarrate di cantine. Io non li capivo. Royce gli raccomandava di essere più prudente, però lui usciva da solo e disarmato, e tornava quando voleva. Una volta l’ho sentito dire che per lui non c’era un posto al mondo, e perciò andava dappertutto».

Come me, pensò Mag, stupita da quella riflessione. «Che aspetto ha?» volle sapere.

«Diverso da chiunque io abbia mai visto. È uno che colpisce, con quegli occhi argentei e i capelli bianchi come un osso di seppia, ma non è molto più anziano di me. Sembra capace di badare a se stesso nelle strade di Ombria, anche di notte.»

«Come me», mormorò Mag, ora incuriosita. Dietro il bancone, il gestore della taverna rovesciò un intero vassoio di boccali in un secchio d’acqua; quel clangore fece trasalire Lydea. Tuttavia esitò, presa da un altro ricordo. «Una volta menzionò una taverna: Il Re degli Incapaci. Quel nome fece ridere Kyel.»

«Lo cercherò là», disse Mag. Si sfilò l’anello dal dito e lo mise in un boccale vuoto. Poi tolse la scarpa da sotto il velo e la infilò nella tasca del grembiule di Lydea, così in fretta che soltanto una gemma luccicò prima di sparire. Poi fece per alzarsi, ma Lydea le si era accostata, di nuovo perplessa, a disagio nel pensare a ciò che aveva ignorato della vita di Ducon.

«Ti prego», le chiese, «lascia che io veda il tuo volto. Tu hai deciso di salvarmi; ora hai preso a cuore Ducon. Tu sei una persona che vende la vita e la morte, e io ho bisogno di un viso, altrimenti ti vedrò come adesso nei miei incubi, tutta in nero e col volto invisibile.»

Mag, ammutolita dall’inatteso pensiero di apparire nei brutti sogni di qualcun altro, tolse la spilla dal cappello. La taverna si era quasi svuotata per il funerale, e i pochi avventori rimasti avevano perso interesse in lei. La veletta si aprì di lato. Sbatté le palpebre nella luce improvvisa, alzando lo sguardo in quello di Lydea mentre con una mano sistemava meglio le spille nell’improbabile nido dorato dei suoi capelli.

Di nuovo stupefatta, Lydea toccò una ciocca di quella chioma disordinata. «Sei così giovane», mormorò. «Sei tu quella che ho visto alla luce del lampione, l’altra notte? Quella che mi ha indicato la direzione per la Rosa e Spina

Mag annuì. «Mi sembravi piuttosto sperduta.»

«Ero molto sperduta. Qual è il tuo nome?»

«Mag.»

«Solo Mag?»

«È così che mi ha battezzato la maga.» Si spinse meglio le chiome sotto l’enorme cappello, riagganciò la veletta e si alzò.

Lydea la guardò e corrugò le sopracciglia, ma per quale motivo Mag non seppe capirlo.

«Se volessi cercarti, per domandarti di Ducon…»

«Non mi cercare», la avvertì Mag. «Verrò io da te, qualunque cosa gli accada.»

«Forse», disse cupamente Lydea. «Ma se continui a fare ad alta voce il nome della Perla Nera, potrei aspettare fino ad aver pagato per tutti i peccati della città. Lei ha orecchi dappertutto. Stai attenta a quella donna.»

Uomo avvisato, mezzo salvato, pensò Mag. Uscì dalla taverna e subito rallentò il passo, un po’ disorientata, come se il cielo fosse diventato verde-erba o il sole cambiasse fase come la luna. Poi capì che i rumori della città erano tornati quelli di sempre.

Le campane di Ombria tacevano.

5

Il Re degli Incapaci

Ducon Greve alzò lo sguardo sul mausoleo della Casa di Greve. L’imponente cupola sostenuta da colonne quadrate sovrastava il cubo centrale, chiazzato di licheni, la cui poderosa porta era stata spalancata per ricevere un altro membro della dinastia regnante di Ombria. La bella costruzione di marmo bianco, scurita dalle intemperie durante i secoli, sorgeva al centro di una radura verde cinta da un filare di cipressi, sulla cima piatta di un’altura da cui si scorgeva una fetta di mare azzurro. La cancellata di ferro oltre i cipressi teneva fuori una nera marea di gente vestita a lutto. Solo i cortigiani del palazzo, i nobili e le loro famiglie, erano riuniti a semicerchio dinanzi al mausoleo. Tutti tacevano e stavano immobili, come se l’incessante suono delle campane a morto fosse un incantesimo che li paralizzava.

L’erede bambino di Ombria era accanto alla Perla Nera, in mezzo alla scorta che li circondava. Ducon non stava mai troppo lontano da lui, benché le guardie intorno a Kyel fossero così fitte da nasconderlo alla vista. Il giovane si disse che probabilmente Domina Pearl temeva una rivolta sanguinosa istigata dalle prozie dagli occhi arrossati e dai loro anziani consorti. Lui aveva scelto di fermarsi nel gruppo dei cugini e dei parenti più lontani, i cui nomi pendevano come ragni sui bordi dell’albero genealogico dei Greve. Stando tra loro poteva vedere un po’ meglio Kyel. Il bambino lo cercò con gli occhi, spaurito da tutti gli estranei che aveva attorno, e rosso in viso come sul punto di scoppiare in lacrime.

Ducon si mosse per attrarre il suo sguardo, e Kyel lo vide. Lui gli sorrise. Il panico abbandonò il volto del bambino. Poi Domina Pearl si mise tra loro.