Si costrinse ad alzarsi, trovò i suoi zoccoli da taverna e se li infilò, ignorando le fitte di dolore ai piedi. Mentre riuniva i capelli sotto il berretto, l’idea che le stava prendendo forma nella mente cominciò a diventare più chiara, come una cosa vista nella luce dell’alba invece che nell’ora buia dopo il tramonto della luna.
Continuò ad aggiungere pezzi a quell’idea nelle ore successive, mentre andava avanti e indietro tra i tavoli per servire birra, pane, carne fredda, e ritirando stoviglie vuote.
Come d’abitudine evitava gli occhi della gente, così che nessuno avesse motivo di prestarle attenzione. Parlava con voce neutra, non sorrideva mai, e le sue dita arrossate dalle unghie smozzicate erano tutto ciò che la maggior parte degli avventori vedeva di lei. Perfino quelli che allungavano le mani, ottenendo jcome prevista ricompensa il fondo di un vassoio sulla testa, in realtà non la notavano molto.
Non aveva mai potato molto le serve dall’aria anonima che passavano nei corridoi del palazzo portando oggetti e biancheria di ricambio, pulendo e spazzando, accendendo i caminetti, e trascinandosi dietro con aria pigra e stanca secchi e ramazze. Jacinth, la bambinaia, si era occupata di tutto ciò che riguardava Kyel, ma Domina Pearl l’aveva mandata via. Il giovane principe doveva avere qualcun altro, ora, che dirigeva i servi adibiti ai lavori più umili nelle sue stanze. I servi… quella folla di persone anonime che passavano inosservate in ogni zona del grande edificio.
Nessuno mi riconoscerà. Neppure Domina Pearl, pensò.
Ma cosa avrebbe potuto escogitare per giungere nelle vicinanze del bambino? Cercò di ricordare certi particolari della sua vita precedente, mentre le sue mani si occupavano dei dettagli di quella attuale. Gli avventori, che si affidavano alla birra per dimenticare il pericolo e le incertezze di quel cambiamento di governo, la tennero occupata fin oltre la mezzanotte.
Suo padre la mise ogni tanto a lavare boccali dietro il bancone, mostrando un certo riguardo per le condizioni dei suoi piedi. Questo la aiutò a riflettere meglio sulla sua idea: se fosse rimasta confinata nella cucina del palazzo non sarebbe mai riuscita a vedere il giovane principe. E non avrebbe avuto il coraggio d’indossare il grembiule inamidato e il berretto dei servi che portavano vassoi nelle stanze dei cortigiani, benché questo non fosse difficile.
Se Domina Pearl l’avesse vista e riconosciuta, il suo corpo sarebbe finito ai granchi nelle acque del porto. Doveva essere certa di non attirare l’attenzione di nessuno.
La lavanderia? Non riuscì a ricordare il viso delle serve che portavano la biancheria pulita, gli asciugamani e le lenzuola. A dare istruzioni a quelle donne erano le cameriere e gli attendenti personali dei cortigiani. Avrebbe dovuto mimetizzarsi. Una inserviente senza nome e senza volto, solo un grembiule con due mani e due piedi per muoversi.
Ma portando cosa? Cosa avrebbe potuto darle la scusa di avvicinarsi a Kyel senza che nessuno, soprattutto Domina Pearl, le rivolgesse più di uno sguardo distratto?
La taverna finalmente si vuotò. Suo padre andò a prendere la scopa prima che ci pensasse lei. Con un sospiro di gratitudine Lydea si gettò a sedere sulla roba da lavare, troppo stanca per raccoglierla e portarla nel mastello del bucato. Il tacco di una scarpa le premette su un fianco. La tirò fuori e ripensò ai movimenti visti tra i girasoli quando le aveva gettate là in mezzo.
Forse ho colpito Mag rifletté, sorpresa, e trovò la risposta lì, luccicante di gemme tra le sue mani.
Mag.
7
Giochi di prestigio
Mag era sotto il palazzo dei governanti di Ombria. Aveva preso una diramazione sotterranea dopo il campo di girasoli, oltre il grande camino la cui canna fumaria sfociava lassù. L’acqua piovana e un canale fognario straripato avevano fatto crollare la facciata dell’edificio in cui c’era il camino, ma il suo retro si trovava a contatto dei labirintici scantinati del palazzo. Spinta dalla curiosità Mag si stava aggirando laggiù, da quelle che le sembravano ore, con una candela in mano. Le stanze più esterne erano molto ben rifinite e decorate, quasi che un tempo fossero esistite sopra la superficie come parte del palazzo, per poi affondare pian piano e assumere una loro funzione nel vasto insieme delle cantine. C’erano arcate di pietra sostenute da colonne spiraliformi, scarichi a forma di animali mostruosi che incanalavano l’acqua delle cucine e dei cessi, e bocche spalancate da cui l’acqua piovana fiottava nelle fogne. Qua e là sedevano cariatidi dalla forma umanoide, che, appoggiando il mento su una mano, contemplavano con aria annoiata e pensosa lo scorrere dei secoli, mentre sorreggevano ponticelli o rampe di scale.
Non c’erano fantasmi laggiù. Mag, muovendosi in silenzio come un’ombra verso le più frequentate cantine interne, si domandò se la singolare esistenza di Faey avesse risvegliato dei ricordi nei fantasmi che vivevano con lei. Ogni tanto udiva delle voci, echi improvvisi a cui le distorsioni del suono avevano tolto ogni forma coerente, nel passaggio tra il passato e il presente. Per molto tempo non trovò nessuna via per salire alla superficie.
Cominciò a sentire degli odori che non erano quelli della pietra e dell’acqua sporca. Alla luce della candela vide enormi urne, botti di rovere, vasche di liquidi lasciati lì a depositare. In una stanza buia c’era odore d’aceto, in un’altra di cuoio, in una terza d’olio da lampade. Attraversò un largo magazzino adibito a deposito per antiche carrozze. I veicoli erano allineati contro i muri, in ordine di anzianità. D’impulso lei salì a bordo di un elegantissimo cocchio dorato, sedette regalmente sul sedile di velluto rosso mangiato dalle tarme, appoggiò un gomito sul finestrino e pensò che quel veicolo doveva aver portato più di una principessa verso l’incoronazione.
Lei non aveva certo l’aspetto di una nobildonna. Indossava un abito nero, prelevato da una cassapanca nella soffitta di Faey e appartenuto forse a una serva. Così abbigliata sperava di poter passare per una governante o qualcosa del genere, se qualcuno l’avesse vista dietro una porta o giù per una rampa di scale. Non era stata mandata lì da Faey per qualche commissione. Era notte fonda, e la maga, con ancora addosso l’odore dei talismani a cui aveva lavorato fino a tardi, era piombata in un sonno così profondo che il suo viso, liberandosi dall’incantesimo di quel giorno, si era deformato come un sacco di patate. Il suo russare, riecheggiando nella città sotterranea, aveva seguito Mag fino a una distanza sorprendente. Se la maga avesse saputo ciò che la sua bambola di cera si proponeva di fare, l’avrebbe subito sottoposta alle opportune riparazioni.
Mag aveva deciso di esplorare il palazzo, scoprire i suoi più antichi cunicoli, le soffitte, i solai, percorrere le zone murate e dimenticate dei sotterranei, e apprendere i segreti noti soltanto a pochi vecchi servi e ai topi. Voleva conoscere quell’immenso edificio come conosceva le strade di Ombria. Voleva imparare a sparire dentro di esso, e a mimetizzarsi così bene che sarebbe apparsa, perfino all’occhio più acuto, non più interessante di un’ombra o di un riflesso metallico.
Voleva spiare Domina Pearl.
La giustificazione che accampava con se stessa era che le occorreva saperne di più su Ducon Greve, così, se la vecchia avesse commissionato a Faey un incantesimo per eliminarlo, lei avrebbe saputo se valeva la pena correre il rischio di proteggerlo.
Dai discorsi dei giovani cospiratori uditi alla taverna del Re degli Incapaci, e più tardi attraverso le tavole del molo, si era fatta l’idea che la morte di Kyel sarebbe stata la cosa più conveniente per Ducon, se questi avesse congiurato per conquistare il potere. Lei non aveva mai visto il bambino, tuttavia era abbastanza certa che uccidere l’erede legittimo di Ombria per usurpargli il trono sarebbe stato l’ultimo chiodo piantato sulla bara delle speranze della città. Lei non voleva aiutare Faey a uccidere qualcuno, ma non voleva neppure veder morire Ombria. Come terzo aspetto di quel dilemma a più facce, dove la posta in gioco era una corona, c’era l’ipotesi che Ducon si convincesse a cercare un modo per fermare Domina Pearl. In questo caso Mag pensava di poter trovare un modo per aiutarlo prima che Faey lo uccidesse.