Ducon tornò di nuovo tra i cortigiani. Conversò educatamente, ballò con un paio di anziane prozie, le restituì ai loro malinconici consorti, ed evitò con cura il pericolo rappresentato dai giovani cospiratori, i quali gli diedero la caccia da un gruppo all’altro con aria fiera e ansiosa ma non riuscirono mai a parlargli in privato.
La terza volta se ne liberò lasciandoli in un gruppo di ragazze, le quali avevano voglia di ballare e li separarono uno dall’altro. Ducon andò a fermarsi tra una dozzina di vecchi e innocui cortigiani le cui uniformi militari, cariche di decorazioni, avevano lo scopo — o così essi sembravano augurarsi — di distrarre gli altri dall’espressione cupa delle loro facce. Erano i rappresentanti delle più antiche e ricche famiglie legate alla corte di Ombria; molti di loro avevano ricoperto la carica di consigliere o di ministro nel governo del defunto principe. Domina Pearl, trasformando Kyel in una marionetta manovrata da lei, aveva fatto delle marionette di tutti loro. Quando Ducon li raggiunse stavano però chiacchierando pigramente di cose assai lontane dalle loro preoccupazioni: le riserve di caccia, le mute di segugi, le rendite delle terre intorno a Ombria e i problemi con i mezzadri da cui se le facevano coltivare. Un vassoio di vini e paste che aveva seguito Ducon fin lì passò tra di loro.
Uno dei più anziani, il Nobile Greye Kestevan, domandò, togliendosi un po’ di crema dai mustacchi: «Voi dipingete ancora, Nobile Ducon?»
«Ho poco d’altro da fare per passare il tempo», rispose lui.
«Sempre i soliti soggetti… le taverne e i vecchi angoli di Ombria?»
«Sempre i soliti soggetti.»
Kestevan aveva capelli bianchi come quelli di Ducon, intorno a un circolo perfetto di calvizie, e occhi scuri appesantiti da borse rigonfie. Guardò i colleghi e sostituì il suo bicchiere vuoto con uno pieno. Poi posò l’altra mano su un braccio del giovane, mentre una ragazza con un sorriso assai deciso si fermava davanti a loro in cerca di un cavaliere che la facesse ballare.
«No, lasciatelo a noi un momento. Non abbiamo ancora avuto modo di parlargli da dopo… da allora», le disse. «Dunque, Nobile Ducon, voi dovreste aver visto e udito cose interessanti, in quegli strani angoli di Ombria. Non è così?»
Ducon scrollò le spalle, ma la mano non lo lasciò. «Giro un po’ dappertutto. Come vi ho detto, non ho altro da fare…»
«Per passare il tempo, sì», lo interruppe in tono allegro un altro nobile, Marin Sozon. Non aveva molti motivi di essere allegro. Il folle volto umanoide di una manticora rampante sulla sua tunica sembrava rappresentare i suoi veri sentimenti. Era stato un ministro del defunto principe, e ogni tanto uno dei suoi più pungenti critici. La Perla Nera lo aveva già destituito di ogni potere.
Ducon, che si sentiva sulla schiena gli occhi della donna, dedicò la sua attenzione a un uovo sodo di quaglia fissato su una tartina. «Ma ora, forse», continuò Sozon, «visto che il principe è senza padre, trascorrerete più tempo con lui?»
«Ho trascorso metà della notte con lui», disse Ducon. «Ha avuto un incubo.»
«Vi ha chiamato Domina Pearl?»
«No. A volermi è stato Kyel. Anzi, dovrei dire ‘il principe’», si corresse. Fece un pallido sorriso. «Ancora non riesco a credere che mio zio sia morto, e che il mio cuginetto governi Ombria.»
«È comprensibile che non riusciate a crederci», disse un altro, il Nobile Hilil Gamelyn, accennando col bicchiere verso il trono del principe e la reggente accanto a lui, con la sua cupola di capelli ornata da un cerchio d’oro costellato di diamanti. La cupola sembrava più alta che mai. Ducon si chiese cosa ci nascondesse dentro, mentre Gamelyn lo sorprendeva aggiungendo in tono casuale: «Dal momento che non è vero».
«Ne convengo», annuì con calma Ducon dopo una pausa, consapevole della mano stretta sul suo gomito. «Ma date le circostanze è più opportuno fingere d’ignorarlo.» Finì il suo vino, depose il boccale su un vassoio e si liberò dalla presa. «E più sicuro», sussurrò.
Per un attimo le loro maschere si abbassarono, e lui vide le domande urgenti, e i calcoli pericolosi negli occhi che lo fissavano. Si allontanò dal gruppo; i cortigiani tornarono a chiacchierare, con voci e volti di nuovo privi di ogni emozione. Ma gli avevano detto molto, questo lo capiva. Loro non sapevano ancora a chi era fedele, e se la sua fedeltà finiva dove cominciava l’ambizione.
Il mattino dopo s’incamminò lungo i passaggi nascosti nei muri per vedere se Kyel gli avesse lasciato qualche commento alla cerimonia, nel cunicolo dietro lo specchio. Vi trovò alcuni disegni, confusi ed emotivi come sogni. Non indugiò lì per studiarli. Non aveva idea di ciò che lo specchio stava riflettendo in quel momento. Se là c’era Domina Pearl, e il fruscio di topi dietro lo specchio l’aveva fatta voltare, la donna avrebbe potuto ripensare a dove lo aveva trovato la notte in cui era scomparso con Kyel.
Negli stretti corridoi segreti prese una diramazione che lo portò fino a una porticina mimetizzata, dietro un cespuglio di felci giganti, in una piccola serra. Le pareti in vetro erano dipinte con graziosi tralci d’edera e di viti in fiore, punteggiati di fiorellini bianchi e viola tra rigogliosi grappoli d’uva. Di rado lì c’era gente, benché le piante fossero ben curate.
Ducon si avviò sul pavimento di marmo, anch’esso dipinto a motivi floreali, arrotolò distrattamente i disegni di Kyel, e quando usd dal portale spalancato si trovò davanti gli stessi cortigiani di cui aveva eluso le domande la sera prima.
Sembrava quasi che l’avessero aspettato, anche se nel vederlo furono sorpresi quanto lui. Ma non persero tempo, e prima che il giovane potesse proseguire con una scusa, lo riportarono nella serra, tra alcune panchine di marmo circondate di palme ben potate.
«Nobile Ducon», esordì Marin Sozon, nei cui freddi occhi azzurri non c’era più traccia di finta cordialità. «La Casa dei Greve non sopravviverà al governo di Kyel. Domina Pearl distruggerà lui, la sua famìglia e tutta Ombria. Ci vorranno anni prima che Kyel metta al mondo un erede, e comunque la sua consorte sarà scelta dalla reggente. La Casa dei Greve è finita. Io ho avvertito ripetutamente vostro zio su quella donna, ma lui non ha fatto niente. Voi cosa farete?»
Ducon sedette. I cortigiani che si strinsero intorno a lui, anziani e scuri in volto, erano una mezza dozzina. Avevano osservato per decenni il modo di agire di Domina Pearl, assai meglio dei giovani cospiratori, e nonostante la loro età erano molto più astuti e più dedsi di loro. Lui si accorse che stava accartocciando il rotolo dei fogli nascosti da Kyel. Li aprì, lisciandoli su un ginocchio, e disse loro cosa avrebbe fatto. «Io dipingo.»
Sentì un ansito. Greye Kestevan fu rapido a fermare la mano di un nobile iracondo, che stava per abbattersi sui fogli con un gesto sprezzante. «Se non altro», disse l’uomo, girando lo sguardo sui compagni, «lui non interferirà con noi.»
«Ci tradirà», sbottò Hilil Gamelyn, liberando il braccio dalla stretta di Kestevan.
«Io non posso fare niente per voi», precisò con calma Ducon. «Ma non farò niente contro di voi.»
«Lui dipinge!» Gamelyn colpì i fogli sul ginocchio di Ducon, facendoli cadere al suolo. «Bastardo. Voi non avete un nome, né appartenete a un posto; non offrite la vostra fedeltà a nessuno. Ci tradirete per salvarvi la pelle, se sarete costretto.»
Ducon lo fissò. «La mia fedeltà sta esattamente dove ieri ho giurato: nelle mani del principe di Ombria. Voi avete giurato come me, e ora state sputando su quel giuramento.»
«Essere fedeli al principe significa esserlo alla reggente», disse Kestevan sottovoce, con intensità. «Voi lo sapete.»