Depose il pupazzo e si alzò, ma il suo sguardo ansioso corse a Kyel. Era combattuta tra il desiderio di rispondere alla chiamata del morente e il timore di lasciare il bambino senza protezione. Ducon non avrebbe mai fatto del male a Kyel, pensò, ma in quella casa chi poteva esser certo che il fuoco e l’acqua non cospirassero insieme?
Fu Kyel a scegliere per lei. «Vai Lydea, mio padre ti vuole. Con me resta Ducon», disse.
Mentre tentava di rassettarsi i capelli, lei osservò Ducon e notò che non èra armato. Il giovane interruppe la sua riflessione. «Lasciateli sciolti. A lui piacerà di più.»
Lei abbassò le braccia e si prese un momento per considerarlo con un certo stupore. Se Kyel si fidava di lui, non le restava che fare lo stesso. Ma l’ansia la rendeva disperata. «Qualcuno ha mandato via le sue guardie.»
«L’ho notato.»
«Se Domina Pearl… Se lei sta complottando per…»
Lui scosse il capo e scelse le parole con cura, di fronte al bambino. «Senza Kyel ci sarebbe il caos. I prossimi sulla linea di successione sono anziani e hanno paura, e i loro parenti più giovani potrebbero decidere di prendersi ciò che non hanno il diritto di ereditare. A lei conviene essere la reggente per Kyel, piuttosto di precipitare la Casa di Greve in una lotta di potere e ritrovarsi sbattuta in mezzo a una strada.»
Lydea abbassò impercettibilmente la testa, rassegnata. «Quello può essere il destino di una come me, Nobile Ducon. Domina Pearl resterebbe in piedi anche se l’intera Casa le crollasse attorno.»
Lui non distolse lo sguardo dal suo. «Avete un posto dove…» S’interruppe. Sul letto, Kyel si era voltato di scatto.
«Nessuno manderà via Lydea. Io lo proibisco.» Alzò il falco, guardandoli entrambi con fierezza. «Io sarò il principe di Ombria, e io lo proibisco.»
«Mio signore», gli disse dolcemente lei, sforzando il suo ingegno per rispondere a entrambi, «sarai così compiacente da permettermi di fare visita a mio padre, per qualche giorno? Lui ha sempre tenuto a me, e io… è molto tempo che non ritorno a casa mia.» Il dolore le incrinò la voce. Si voltò in fretta, senza quasi udire la risposta di Kyel, ripensando alla giovane donna che cinque anni addietro era entrata nel grande palazzo sul mare, stordita dall’amore e piena di sogni, mentre già si addensavano all’orizzonte nuvole nere troppo grandi perché lei potesse capirle. Una ragazza sciocca, inesperta, col cervello di un uccellino. Ora le sembrava incredibile il suo sorriso felice, la sua cecità dinanzi all’orrore di sua madre. La donna era morta poco dopo che lei se n’era andata di casa. E in quanto a suo padre, se aveva ancora un padre, lui non aveva fatto niente per ricordarglielo.
Il falco le diede il permesso di andare.
Poi tutto fu un sogno a occhi aperti: Royce Greve che la guardava per l’ultima volta, scavato in viso e con la pelle tesa sulle ossa, mentre cercava di alzare una mano tremante a sfiorarle i lunghi capelli. E quella cosa accadde. Lydea aveva aspettato che le dita di lui la toccassero, ma abbassando lo sguardo le vide inerti sul copriletto, come se non si fossero mai mosse. Intorno a loro, nel silenzio sepolcrale, le candele sussurravano il nome di lui, quello di lei. E Domina Pearl le toccò una spalla.
Senza saper come, si trovò a camminare verso il cancello occidentale, con la Perla Nera al fianco per controllare che lei non si trattenesse un momento di troppo, ora che la sua presenza non serviva più a nessuno. Il cortile era deserto. Nel buio oltre il cancello, i girasoli chinavano le pesanti teste come in lutto e il mare inalava ed esalava lunghi, lenti respiri. Il palazzo sembrava essersi fermato per ascoltare le campane che suonavano a morto, e ogni finestra era un occhio impassibile che prendeva atto della sua caduta in disgrazia.
«Fuori di qui starai meglio», commentò Domina. Era piccola e compatta e, più che essere anziana, emanava età, come una zaffata d’aria stantia o uno scricchiolio d’ossa troppo lento per essere udito. A palazzo non viveva nessuno che ricordasse la corte senza di lei. I suoi capelli erano tinti di nero da tempo immemorabile; li portava arrotolati sopra la testa, fissati con spille di perle e pettini di tartaruga, per lasciar scoperto un viso incipriato, bianco come quello di un cadavere. Aveva occhi freddi, due lune di pietra. «In questa casa ci sono persone che ti strapperebbero tutto quello che hai addosso, come avvoltoi.»
Lydea la guardò stancamente. Domina Pearl non le aveva dato neppure il tempo di cambiarsi le scarpe, anche se vedeva luccicare a ogni passo gli zaffiri dei tacchi.
«È quello che mi succederà anche nelle strade di Ombria.»
«Non dirmi che ti aspettavi una ricompensa, per le tue prestazioni amorose.»
«No. Ma per quanto sembri strano, non mi aspettavo neppure una punizione.»
Domina scrollò appena le spalle. «Non è una punizione. Solo che questo non è più posto per te, ora. Torna da tuo padre.»
«Dubito che mio padre sappia cosa farsene di me.»
«Allora prova sul porto», suggerì Domina, senza cambiare espressione. «Qualsiasi taverna saprà far uso di te.»
«Preferirei morire», disse Lydea e d’un tratto il linguaggio della sua infanzia, non più represso, le tornò alle labbra. «Tu, vecchia baldracca con la faccia dipinta, i corvi devono averti mangiato il cuore da tanto tempo che ti sei dimenticata di essere una donna. Può darsi che io sia una stupida senz’arte né parte, e che prima di sera qualcuno mi ammazzerà per rubarmi le scarpe, ma se verrò a sapere che hai osato far del male a Kyel Greve uscirò dalla tomba senza scarpe e ti verrò a cercare, brutta megera.»
La Perla Nera aprì il cancello. All’improvviso rise, e a Lydea parve come un aspro crepitio di foglie secche. «Nelle strade non vivrai oltre la mezzanotte. Fuori!» Il cancello si chiuse con più forza del necessario alle spalle di lei. «Sei già morta.»
Nella strada buia, ferma sul lato sbagliato della cancellata, con i capelli sciolti sulle spalle e i regali di Royce che le scintillavano su tutte le dita, Lydea pensò che probabilmente la vecchia strega aveva ragione. Lanciò un ultimo sguardo al palazzo, vide i cortigiani dalle ricche vesti raggruppati dietro le finestre, occupati a sussurrare commenti sugli ultimi respiri di Royce Greve, e rifletté che nessuno di loro avrebbe più rivisto la sua concubina trovata in una taverna, vissuta tra loro e sotto l’arido sguardo di Domina Pearl per cinque brevi anni, al termine dei quali aveva cessato di esistere.
Lydea volse loro le spalle. «Lo vedremo», mormorò, pensando a Kyel. «Questo lo vedremo.»
Frettolosamente s’intrecciò i capelli, usando gli anelli qua e là per fermarseli. Poi si tolse le scarpe e le gettò tra i girasoli. Quelle grandi facce tutt’occhi tremolarono stranamente; qualcosa si mosse e poi si fermò. Lydea, che aveva mezza città da attraversare in piena notte, li guardò un poco e capì che doveva temere perfino i girasoli; non poteva esser certa che Domina Pearl non avesse fatto appostare lì in mezzo un sicario per lei. Si allontanò di un passo, poi di un altro. Infine, col viso bagnato di lacrime per lo sgomento e la paura, fuggì via nell’oscurità.