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Andò a cercare le scale. A dispetto della sua provata capacità di mantenere la calma, aveva le mani stranamente fredde; i suoi pensieri continuavano a frullare qua e là come foglie al vento. Il volto di Ducon, nitido nella luce della candela, la tormentava. Avrebbe potuto essere in qualsiasi posto o in nessuno, perché non gli era restato un posto al mondo dove andare; aveva origini incerte e nessun cognome. Come lei, si aggirava ovunque senza paura ed era attirato dai segreti. Avrebbero potuto essere parenti, benché lui abitasse nel palazzo sopra il mondo e lei sotto di esso. Mag non si era mai sentita così simile a un altro essere umano. E ora, nonostante l’aiuto che aveva pensato di dargli, lui stava morendo da qualche parte, molto probabilmente solo e inerme, e del tutto stordito.

Quando alla fine trovò la scala nascosta dietro uno specchio corroso e incrinato, sul fondo di una stanza, Mag gettò al vento ogni prudenza. Corse su per una rampa dopo l’altra, proteggendo la fiamma della candela con una mano, verso il buio in cima alle scale.

A un tratto file di parole balzarono verso di lei, d’oro, d’argento, rosse. Si voltò. La fiammella ondeggiante illuminava innumerevoli manoscritti, massicci e rilegati in pelle, che le parlavano in lingue conosciute e sconosciute. Altre candele emersero dal buio svegliate dalla sua; lei le accese tutte e guardò il posto in cui si trovava.

Il birraio aveva una stanza come quella: tappezzata di libri. Li chiamava ‘Tomi’, e le aveva mostrato immagini di streghe, alambicchi, elaborati diagrammi che rivelavano, simbolo dopo simbolo, la strada verso la conoscenza perfetta. Anche in questa stanza, come nella sua, c’era odore di cose antiche. Ma a differenza della sua, questa era sorvegliata.

I guardiani sembravano abbastanza reali, tra gli scaffali della piccola stanza ovale. Le belle superfici lisce delle loro armature, delle fibbie, e i ricami d’argento delle cinture, brillavano come fredde stelle alla luce delle candele. Le loro facce severe avvertirono Mag che da un momento all’altro avrebbero potuto sguainare le spade per avventarle su ogni estraneo non autorizzato, e che lei avrebbe fatto meglio a scappar via subito e in fretta. Ma lei era cresciuta in compagnia dei fantasmi i cui occhi guardavano sempre il passato, appena illuminati dalla debole brace dei loro pensieri. Questi, erano stranamente passivi; non sbattevano mai le palpebre. Le stavano dicendo che non era in pericolo lei, bensì i libri, a causa sua. Indossavano l’uniforme delle guardie di palazzo; non erano antichi spettri, ma soltanto immagini incorporee, mai vissute.

Quella stanza apparteneva a Domina Pearl. Mag sentì ancora quella secca palpitazione di farfalla nelle vene del collo. Si era imbattuta nella biblioteca della Perla Nera. Lì c’erano le conoscenze che lei considerava importanti, i suoi incantesimi, forse la sua storia. Ma Ducon Greve non le lasciava tempo per pensare alla storia di quella donna; lui doveva essere già alla fine della sua. Stava per uscire e riprendere la ricerca del giovane, quando quel pensiero irritante che aveva cercato di seppellire in fondo alla mente balzò alla superficie. Se lo avesse trovato ormai moribondo, cosa avrebbe potuto fare per lui? Portarlo da Faey?

«Qui», sussurrò, «ci sono gli incantesimi.»

La prudenza, che lei aveva lasciato in fondo alle scale, la raggiunse di nuovo. Prima di toccare i libri si avvolse una mano nel bordo della gonna; se erano stati cosparsi dell’unguento che faceva brillare le dita di chi li sfiorava, quella gonna poteva restare nel palazzo; le sue mani, no. Lesse le copertine di alcuni, per sapere di cosa trattavano prima di correre rischi avventurandosi tra le loro pagine.

Su uno c’era scritto:

MAPPE DEL MONDO CONOSCIUTO.

Gli altri avevano titoli diversi:

PIANTE UTILI DELLE ISOLE ULTIME E COSA FARE CON ESSE;
LA STORIA DI OMBRIA DALL’INIZIO DEL MONDO;
COME MANTENERE I CAPELLI, I DENTI E LE UNGHIE
DOPO LA MORTE ACCIDENTALE.

Quest’ultimo fu sul punto di aprirlo. Ma ora non aveva tempo per Domina Pearl. Poi il titolo dorato di un volume in pelle chiara attrasse il suo sguardo:

VELENI NATURALI, ARTIFICIALI E ANTIDOTI.

Stava per prenderlo dallo scaffale, quando sentì dei passi nel corridoio al piano di sotto.

Ancor prima d’imprecare per la sorpresa Mag corse a soffiare su tutte le candele che aveva acceso, cercando un posto dove nascondersi.

Chissà che non sia Ducon, si disse speranzosa, mentre ricordava di rimettere il libro al suo posto. Poi scivolò attraverso una delle guardie, augurandosi di non aver lasciato niente di sé in quell’immagine incorporea, e scoprì che c’era dello spazio tra gli scaffali e i muri.

Fu là che andò a infilarsi, e spostò due rotoli di pergamena per guardare la stanza attraverso il loro interno, come cannocchiali. Poi sentì la voce della Perla Nera, in fondo alle scale, e chiuse gli occhi.

«Guarda questa porta», stava dicendo la donna, «e questo specchio. Entrambi sono stati lasciati aperti. È lui che si aggira in questi passaggi. È lui che ficca il naso dappertutto. E cosa va cercando, secondo te, se non i miei segreti?»

«Non saprei, Domina», rispose la voce di un uomo, rispettosa, ma non servile.

«Domandaglielo. Lui si è sempre fidato di te. Voglio che sia tenuto d’occhio. Voglio sapere dove va. Nessuno ha ancora saputo dirmi dove sia finito. Non si fa vedere da giorni. È in città, oppure tra queste mura. Il bambino sta ricominciando a fare i capricci.»

Mag cercò di non far muovere col respiro i rotoli di pergamena. Sentì che i due salivano per le scale. Desiderò essere senza ossa, un’ombra, meno di un fantasma, un niente. La Perla Nera entrò nella stanza ovale. Mag aprì di colpo gli occhi, allarmata dal pensiero che la donna potesse avvertire l’odore di fumo e cera calda delle candele spente. Ma anche quei due avevano una candela, e la sua luce si avvicinò agli scaffali pieni di libri e pergamene.

A reggerla era l’uomo, evidentemente, perché la figura di Domina Pearl si spostò tra la candela accesa e lo scaffale dietro cui stava Mag. Lei chiuse di nuovo gli occhi, ordinando a se stessa: io sono nessuno. Sono niente.

«Ma dov’è quel libro…» La Perla Nera era così vicina che la sua voce arrivava a Mag come se le parlasse all’orecchio. «Sono sicura che lui viene anche qui dentro. Fruga tra i miei libri. Quali porte conosce, oltre a quella dietro lo specchio nella stanza della bambinaia? Te ne ha parlato?»

«No.»

Mag la sentì sbuffare spazientita. «Io l’avevo messo qui, su questo scaffale, dopo aver fatto fuori quel rompiscatole di Gamelyn.» La sua voce si abbassò, maligna come il sibilo di una serpe. «Se me lo ha rubato lui, lo accecherò. È astuto, infido e senza scrupoli. Potrebbe ucciderci nei nostri letti. Se fossimo così sciocchi da dormire lì.»

«Non parla mai di cose più pericolose dell’arte. La pittura e il giovane principe sono le uniche cose che sembrano interessargli. Non sarebbe saggio fargli del male inutilmente. Potremmo aver bisogno dei suoi occhi. Dimmi che libro vuoi. Ti aiuterò a cercarlo.»

«Veleni Naturali e… ah! Eccolo qui.» Il libro scivolò fuori dallo scaffale, e nel varco che aveva lasciato rimase il nero di una manica di Mag. Domina Pearl si voltò, e Mag scorse il volto dell’uomo, magro e pensoso. Aveva capelli brizzolati, quasi bianchi, e occhi gialli che brillavano come quelli di un gatto.

«Per chi ti serve questo libro, adesso?» domandò, incuriosito.

«Per Kyel», rispose la Perla Nera con raggelante calma. «Niente che possa ucciderlo. Mi occorre qualcosa che lo istupidisca, che gli spenga lo spirito, rendendolo malinconico e mite come si addice a chi ha appena avuto una perdita come la sua. Tu lo troverai molto più docile, quando comincerai le tue mansioni di tutore.»