Lydea sentì che parole ricche e sorprendenti come gioielli le riempivano la bocca: magia, incantesimi, illusioni, spettri, rospi e maghe. Dopo un momento si alzò dal letto, e diede a Ducon la tazza di brodo freddo che trovò sul vassoio.
«Siamo nel sottomondo», disse. «Bevi questo.»
14
Il labirinto
L’uomo dagli occhi di gufo fece ritorno nella biblioteca della Perla Nera, stavolta da solo. Mag, accovacciata sui talloni dietro lo scaffale dei libri, con il viso appoggiato su una polverosa pila di manoscritti, sentì dei rumori sulle scale e sussultò. Era assetata e disorientata; non sapeva se fosse trascorsa un’ora o un giorno da quand’era rimasta in trappola, nel buio di quella stanza silenziosa. Tuttavia, abituata a adattarsi alle situazioni più strane, non rivelò la sua presenza più di quanto l’avrebbe rivelata un topo sorpreso a rosicchiare i libri.
L’uomo accese altre candele e cominciò a sfogliare un volume tolto da uno scaffale nell’altro lato della stanza. La porta al piano di sotto, la cui serratura aveva resistito a tutti gli spilloni per capelli di Mag, era rimasta aperta. Lei sentì il suo corpo tendersi, pronto a saltare fuori attraverso il più vicino spettro armato. Nell’istante in cui l’uomo fosse rimasto paralizzato dalla sorpresa, lei sarebbe corsa giù per le scale e avrebbe chiuso la porta dietro di sé.
Questo avrebbe lasciato in trappola lui, al suo posto. Oppure no? L’uomo l’avrebbe inseguita fuori, nei corridoi, chiamando le guardie di Domina Pearl? Mentre Mag si preoccupava di quell’ipotesi, l’altro richiuse il libro con un tonfo e se ne andò, dopo aver soffiato sulle candele. Ma una di esse non si era spenta, e riprese vita prima che lui fosse in fondo alle scale. Ci fu il clic della porta che si chiudeva, e i suoi passi si allontanarono. Mag sospirò, disperata. Poi si accorse di non essere rimasta al buio.
Uscì con cautela dal suo nascondiglio, in punta di piedi. Adesso erano due gli incantesimi che dovevano essere sciolti, invece di uno: quello sulla serratura della porta, e l’avvelenamento di Ducon Greve. Andavano sconfitti in quell’ordine, ed erano entrambi d’importanza vitale. In fretta cominciò a tirare fuori un libro dopo l’altro, scartabellandoli a caso in cerca di quelle formule: aprire una porta chiusa, scacciare il veleno da un corpo umano. Stava lasciando dappertutto le sue impronte digitali, ma non le importava niente; sapeva con fredda certezza che Domina Pearl sarebbe comunque risalita a lei.
Nonostante l’urgenza delle sue necessità, diverse cose che lesse su quei libri attrassero la sua attenzione, e si rivelarono così affascinanti da restarle appiccicate alla memoria. Trovò notizie sui complessi e straordinari aspetti della storia di Ombria, e interessanti accenni sulla strana spremuta di esotici e succulenti insetti che teneva Domina Pearl in vita — o in qualcosa di simile alla vita — da più tempo di quanto chiunque potesse ricordare. Quando la candela cominciò a spegnersi, lei rimise i libri al loro posto e scivolò di nuovo dietro gli scaffali. Non osava accenderne altre, perché se quei due fossero tornati avrebbero potuto insospettirsi alla vista di mozziconi dove loro ricordavano di aver lasciato candele intere. Quella rimasta accesa si consumò, e lei non poté far altro che attendere. Nel buio, immagini nate dai suoi timori continuavano a tormentarla: quelle di Ducon abbandonato nella spazzatura di un vicolo, o in mezzo ai cespugli, o sotto un molo, mentre lei era stata così stupida da rimanere al buio. Eppure tra quei libri doveva essercene uno che le spiegasse il modo di togliersi dai guai.
Il cuore le balzò in gola quando sentì di nuovo dei rumori al piano di sotto. Si preparò a fuggire, ma si accorse di essere molto debole. Capì che forse non ce l’avrebbe fatta, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si appoggiò agli scaffali e cercò di placare le ali del passerotto sempre più spaventato che palpitava nel suo petto. Le antiche lune morte degli occhi di Domina Pearl non se la sarebbero fatta scappare due volte.
Ma era ancora l’uomo, e camminava con i passi tranquilli di chi non ha motivo di sospettare niente. Anche quella volta non rimase a lungo, prelevò un libro, e andandosene lasciò nella stanza una candela accesa, come se avesse intenzione di tornare da lì a poco. Mag attraversò lo spettro di un guardiano non appena vide che stava per uscire. Avanzando in punta di piedi tra gli scaffali alzò una mano a cercarsi tra i capelli uno spillone adatto. Glielo avrebbe puntato alla gola per convincerlo a mantenere il silenzio, finché non fosse riuscita a fuggire.
Era quasi arrivata alle sue spalle quando si accorse dell’oggetto che l’altro aveva lasciato sul pavimento, e il cuore le balzò in petto con tale violenza che dovette fermarsi. Quella breve pausa bastò perché l’uomo arrivasse alla porta e la chiudesse dietro di sé. Ma lei non aveva distolto lo sguardo dal vassoio deposto giusto sulla soglia come un’offerta. Su di esso c’era un piatto di arrosto freddo, del pane, una caraffa d’acqua e un bicchiere.
Mangiami pure le diceva il cibo. Bevimi, sono per te. Mag deglutì saliva, sconvolta e tesa come un arco. La Perla Nera l’aveva scoperta, dunque, e aveva mandato l’uomo a portarle il vassoio. Cibo intriso d’incantesimi, c’era da scommetterci. Non c’era altra spiegazione per quel gesto. E Mag, che pure aveva la gola secca come le pagine di quei vecchi libri, non osò bere.
Dopo un po’ sentì che l’uomo faceva ritorno, probabilmente per ritirare il vassoio vuoto dopo averle dato il tempo di mangiare. Questa volta lei non si nascose. Si era cacciata in quella trappola con molta incoscienza, e ora avrebbe dovuto affrontarne le conseguenze. Rimase seduta sul pavimento accanto al cibo e all’acqua, e strinse i denti quando la luce della candela dello sconosciuto cadde su di lei. Subito scorse un’espressione di sorpresa sul suo volto. Chiunque si fosse aspettato di trovare lì, comprese, non era lei.
L’uomo restò sulla soglia. «Sei sola?» volle sapere, scrutando sospettosamente gli scaffali.
«Sono sola», rispose lei. «Vi ha mandato Domina Pearl?»
«No. Lei non sa che tu sei qui», rispose lui. «La roba che ti ho portato l’ho presa in cucina, senza dirle niente.»
Mag tacque, osservandolo, e si chiese se c’era qualche possibilità che quell’individuo nascondesse davvero qualcosa alla Perla Nera. «Voi chi siete?»
«Camas Erl. Frequento questo posto perché il mio lavoro richiede che io consulti spesso dei libri. Ma quando Domina Pearl e io siamo entrati qui, era lei a cercare un libro. Questo ha tenuto i suoi occhi occupati. Io invece non avevo altro da fare, ed è per questo che ti ho vista.» Si mise a sedere sul pavimento anch’egli, con qualche grugnito di fatica mentre piegava le lunghe gambe. «Allora… sei una ladra?» I suoi occhi gialli erano curiosi come quelli di un merlo affamato. «Non una ladra qualsiasi, direi, questo è chiaro. Io sono il tutore del principe. Prima di lui ero il tutore del Nobile Ducon Greve.»
«Ducon…» Lei si schiarì la gola, accigliata. «Ducon sta morendo.»
«Cosa?»
«Io stavo cercando lui, quando sono finita qui. L’ho cercato dappertutto.»
«Tu chi sei?»
«Sono la figlia di cera di Faey», rispose lei, impaziente. «La maga. Se voi conoscete Domina Pearl abbastanza da condividere i suoi segreti, dovete anche conoscere la maga che vive nel sottosuolo.»
Gli occhi di lui rifiutarono di dirle se la conosceva o no. «Ed è la tua padrona che vuole ucciderlo? Perché?»
«È stata pagata. Dal servo di un uomo che ha per stemma una manticora. Ha fatto un carboncino da disegno avvelenato.»