Lui mormorò qualcosa tra sé, passandosi una mano tra i capelli. «Un carboncino. Molto astuto. Ducon se li mangia, a volte, mentre disegna. Sei sicura che lo stemma fosse una manticora?»
«Io non c’ero quando è venuto il servo. L’ha detto Faey.»
«E questa Faey sa riconoscere una manticora da un topo di fogna?»
«Sa quello che vale la pena di sapere.»
Lui grugnì sottovoce. «Perché io non la conosco, allora? Domina Pearl ha dei rapporti con lei, hai detto?»
«Domina Pearl ha comprato degli incantesimi da lei. Per favore», lo pregò, «se mi lasciate andare, potrò continuare a cercarlo.»
«Domina ha i suoi sistemi per cercare la gente. Sono più semplici dei tuoi, e più efficaci.»
A quel pensiero Mag si sentì accapponare la pelle. «Lei vi chiederà come fate a sapere che Ducon sta morendo. Voi dovrete dirglielo. E lei potrebbe distruggermi, se sapesse che sono stata qui. Mi ha avvertito già una volta. E sto con Faey da abbastanza tempo da sapere che parlava sul serio.»
Lui la scrutò con aria poco convinta. «Tu non hai nessun motivo di fidarti di me, e neppure io di te», disse infine. «Due sole cose sono sicure. La prima è che Domina Pearl e io non vogliamo la morte di Ducon. La seconda è questa.» Spezzò un frammento della pagnotta e lo mangiò, accompagnandolo con un po’ dell’acqua della caraffa. «È roba innocua. Per ora non parlerò di questa storia con Domina Pearl. In quali posti hai cercato?»
Mag glielo disse.
Camas Erl rifiutò di lasciarla libera, anche dopo che lei gli ebbe descritto nei particolari i luoghi che Ducon frequentava. Le promise soltanto: «Lo troverò io. Dev’essere fuori, in città. Nel palazzo non c’è».
«Vi prego…»
«Domina Pearl non ti troverà. Lei viene qui di rado. In questo palazzo, le biblioteche sono i posti meno frequentati…» Sembrò accorgersi dell’improvvisa rabbiosa determinazione negli occhi di Mag, e si alzò in fretta. Prese l’unica candela accesa della stanza e indietreggiò verso l’uscita. «Se stai tranquilla, lascerò questa accesa. Se ti ribelli, rimarrai al buio e andrò a chiamare Domina Pearl.»
Lei strinse i pugni, ma non si mosse.
«Allora fate presto», disse, rigidamente.
Dopo che l’uomo se ne fu andato, Mag si rilassò un poco e riuscì a mangiare qualcosa. Poi riprese a scartabellare tra i libri, perché niente le garantiva che Camas Erl sapesse come sciogliere il mortale incantesimo del rospo. La manticora, apprese nella sua casuale ricerca tra i libri della Perla Nera, era lo stemma di un’antica famiglia strettamente imparentata con la Casa dei Greve. Era probabile che il nobile (o la dama) della famiglia Sozon intendesse togliere di mezzo chi si trovava più vicino al trono sulla linea di successione, ma questo movente non spiegava l’attacco a Ducon, che sulla linea di successione non compariva affatto… a meno che non si temesse l’incoronazione di Ducon come frutto di un compromesso tra varie fazioni, dopo la morte di Kyel.
Mag fece una pausa per analizzare l’elusiva logica di questa ipotesi, quasi che fosse un problema di aritmetica, ma la testa le ricadde indietro contro le copertine in pelle d’agnello rese morbide dal tempo. Dormì di un sonno senza sogni, immobile in quella posizione.
A svegliarla fu il ritorno di Camas Erl. La candela lasciatale dall’uomo si era consumata.
Mentre si massaggiava la schiena irrigidita e dolorante, Mag grugnì una mezza domanda. Lui scosse il capo.
«Non sono riuscito a trovarlo.»
Nella luce della candela l’uomo aveva il volto stanco e tirato. La barba non rasa, grigiastra, lo faceva sembrare più vecchio. Lei si avvolse più strettamente nel misero vestito di lana, infreddolita, e lo guardò con occhi spenti.
«Allora è morto.»
«Come puoi saperlo?» Camas Erl attese che lei rispondesse. Poi, vedendo che taceva, allungò una mano a scuoterla per una spalla. «Che razza di veleno c’era in quel carboncino?»
«Quello del rospo di Faey. Stavo cercando di trovare un antidoto, in questi libri.»
«Quanto tempo fa è stato fatto?»
«Non lo so. Diversi giorni.»
Lui si massaggiò gli occhi stanchi, perplesso. «Sono giorni che nessuno lo vede a palazzo. Ho guardato nei posti di cui mi hai parlato tu e anche in altri. Una donna, in un bordello, mi ha detto che è stato là, due notti fa. Secondo lei, sembrava malato. Lui diceva di essere soltanto ubriaco, ma era freddo come un cadavere, e non ha voluto mangiare niente.»
Mag rabbrividì. «Freddo come un cadavere», sussurrò. Prese la caraffa, se la portò alla bocca e bevve. L’acqua traboccò, aiutandola a svegliarsi. Lei si pulì il viso con l’orlo bagnato della gonna, e sistemò meglio le spille nei capelli. Quando guardò Camas, la sua voce suonò cupa, sconfortata. «Domina Pearl mi ucciderà, se mi trova qui. Me lo ha promesso tempo fa, dopo avermi sorpresa a spiarla. Voi dovete lasciarmi andare prima di parlarle di Ducon. A meno che non ce l’abbiate con me per aver aiutato Faey in questa cosa, e mi vogliate morta.»
«Tu l’hai aiutata?»
«Io non potevo fermarla. Così ho pensato di cercare Ducon per tempo, e scambiare il carboncino stregato con uno normale. Ma non sono riuscita a trovarlo, benché abbia guardato dappertutto…»
«Chi sei tu, di preciso?» volle sapere Camas Erl. Il suo non era più uno sguardo da gufo, ma duro e fisso come quello di un predatore.
«Non lo so», rispose lei, a disagio con quella verità. «E voi chi siete? Conoscete i segreti di Domina Pearl, eppure le tenete nascoste le cose. Cosa cercate? E la Perla Nera chi è in realtà? Cosa vuole?»
Lui non rispose subito, accigliato e pensoso. «La Perla Nera», disse infine, «fa parte dei sotterranei della storia. È la faccia oscura della luna. È l’ombra che questa getta sulla Terra durante le eclissi di sole. Lei è, possiamo dire, qualcosa che avrebbe dovuto sparire molto tempo fa, ma non lo ha fatto. Io studio da tempo la storia di Ombria, e questo mi porta in strane direzioni, perché non è semplice. Tu sei una delle cose più strane in cui mi sono imbattuto nei miei viaggi attraverso il labirinto della storia. Tu e la tua maga che vive sottoterra. Ti ha fatto lei, hai detto? Sei la sua… figlia di cera?»
«Così dice lei.»
«E tu? Cosa ne dici, tu?»
Mag tacque. Stava seduta, con le braccia strette attorno alle ginocchia. L’uomo che si era definito un tutore la guardava negli occhi. Dopo un poco lei sentì una voce, che era la sua e non era la sua, rispondere: «Non lo so. Se dico di essere umana, allora da dove vengo? E se non sono umana, come sono nata?»
«Ti lascerò andare», disse lui sottovoce, «solo se mi dirai come posso trovarti ancora. E come posso trovare Faey.»
«Cosa volete da lei?»
«Conoscerla. Lei è parte di Ombria. Sapere cos’è, da dove viene.»
«A lei non piace sentirsi esaminare.»
«Io so essere molto discreto. Ora non abbiamo molto tempo per parlare. Ti darò la possibilità di lasciare il palazzo, prima di suggerire a Domina Pearl che le converrebbe cercare Ducon. Se tu lo troverai vivo, fammelo sapere. Le dirò che sono stato io a trovarlo. Lei farà quello che potrà per guarirlo, anche se dovesse pagare la tua maga per sciogliere il suo incantesimo.»
«Faey ha già fatto cose del genere», rispose lei, cupamente. «Se le fa pagare molto care.»
«Domina Pearl pagherà.»
«Perché? Perché dovrebbe importarle qualcosa di Ducon? Faey pensa che lei voglia eliminarlo.»
Ma l’uomo finì di darle le sue istruzioni senza risponderle. «Se Ducon è morto…» Esitò. La sua voce suonò piatta. «Se lo troverai morto, dillo a chi ti pare. Non importerà.»
Lei annui, si alzò rigidamente e attese che l’uomo le aprisse la porta. Ma, prima di farlo, Camas Erl alzò la candela, illuminandola bene in faccia, e domandò, incuriosito: «Perché tu non hai avuto paura di loro? Dei fantasmi guardiani? Perché non sei fuggita non appena li hai visti?»