La porta si aprì mentre tagliava il pane fumante. Alzò gli occhi verso quella che a prima vista gli parve un’impossibilità: Lydea, che chiudeva la porta e veniva verso di lui come se pensasse di essere ancora viva. Vide che appariva sollevata nel trovarlo col vassoio sulle ginocchia e occupato a spalmare burro sul pane. La ragazza sedette sul letto e riempì di vino due boccali. Aveva l’aria affamata; il suo volto amabile, che lui aveva visto di rado a palazzo, sembrava dimagrito. Le imburrò una fetta di pane; lei gli passò un piatto. Per alcuni minuti mangiarono in silenzio e con le mani, troppo impazienti per usare la bella argenteria che c’era sul vassoio.
Lui non ci mise molto a stancarsi. Si appoggiò all’indietro, pulendosi le dita col fine tovagliolo, e la guardò mangiare. «Credevo che non ti avrei più rivisto, dopo la notte in cui Domina Pearl ti ha scacciato dal palazzo.»
«Mag mi ha aiutato ad attraversare la città. Mi ha salvato la vita.»
«Mag.»
«La bambola di cera. È così che la chiama Faey.»
«Ah.» Lui annuì. «La figlia di cera che la maga ha perduto. Quella che mi spiava. Ma perché mi spiava?»
Un’espressione incerta, tra cauta e preoccupata, attraversò il viso di Lydea. Si toccò delicatamente le labbra col tovagliolo, come le aveva insegnato Royce, e bevve un sorso di vino. La sua voce, quando parlò, era molto bassa. «Per vedere se meritavi di essere salvato.»
«Salvato da…» Ducon tacque ancor prima che lei lo azzittisse. Spalancò gli occhi. Provò un improvviso bisogno di ridere. Poi vide il doppio pericolo che minacciava Mag nella sua strana iniziativa: la maga tradita da una parte, e la Perla Nera dall’altra.
Lentamente disse, cercando di capire: «Deve aver pensato che non lo meritavo. E non è stata l’unica a giungere a quella conclusione».
«Mag è scomparsa», gli ricordò Lydea. «Forse è morta. Questo perché credeva che lo meritavi.»
Lui tacque, ripensando alla bambola di cera senza volto legata a Faey, che teneva d’occhio la sua vita senza che lui lo sapesse. Ripensò alle strade che aveva percorso, alle taverne in cui si era seduto… ma non rammentò nessun volto femminile che gli sembrasse probabile. «Che aspetto ha?»
«È giovane, a mezza strada tra Kyel e me. Tra l’età in cui non si sa nulla e quella in cui si sa troppo, potremmo dire. Porta dei pericolosi spilloni infilati nei capelli, biondi e disordinati come un mucchio di paglia. È alta, magra, e non ha paura di niente, neppure delle cose che farebbe bene a temere.»
Lui cercò di rammentare se avesse mai visto una ragazza corrispondente a quella descrizione, e scosse il capo. Lydea prese un grappolo d’uva e glielo porse. «Mangia», lo consigliò, «se vuoi uscire da quel letto.»
Lui, invece, le prese la mano. «Grazie per avermi cercato, e per esserti presa cura di me. In questo posto così improbabile.»
Lei sorrise e girò la mano, per far cadere il grappolo d’uva nella sua. «Da quando ho lasciato il palazzo mi sono sentita come morta», disse lentamente. «Avevo smesso di essere me stessa. Poi tu mi hai riconosciuta, e questo ha riportato in vita Lydea.»
Lui mangiò un po’ d’uva per farle piacere, e depose il resto nel piatto. «Ho capito perché sono finito qui. Ma tu come ci sei arrivata, dovunque sia questo posto?»
Lei glielo disse. Gli parlò del suo piano per rivedere Kyel, almeno ogni tanto.
«Tu saresti disposta a rischiare?» la interruppe Ducon, incredulo. «Sfideresti Domina Pearl, pur di avvicinare il bambino?»
«Perdere Royce è stato duro», rispose lei, con voce sofferente. «Ma quella notte non immaginavo quanto avrei sentito la mancanza di Kyel. Per Royce non posso più fare nulla; ora lui è al sicuro, là dov’è andato. Ma il pensiero di ciò che Domina Pearl porrebbe fare a Kyel mi dà gli incubi.»
«Qualunque cosa tu possa sognare, lei farà di peggio.» Ducon si passò le mani sul viso, cercando di riflettere. «Conosco posti in cui ci si può nascondere, all’interno del palazzo. Lei perde di vista il bambino solo in poche occasioni, come quando…» Riabbassò le mani e guardò Lydea senza vederla. «Presto comincerà a studiare. Il suo tutore lo terrà con sé parecchie ore al giorno. Allora, forse…» Il suo sguardo rimise a fuoco la donna: i lunghi capelli rossi, gli occhi grigi, la fine ossatura del suo bel volto. Scosse il capo, contrariato. «No. È troppo pericoloso.»
«Cosa è pericoloso?»
«Tagliarti i capelli sarebbe facile. Ma dovresti cambiare l’espressione dei tuoi occhi.»
La vide cambiare espressione mentre ne parlava, facendosi fiera, piena di desiderio e di speranza. «Lo farò», gli promise. «Farò tutto il necessario. Cosa…»
«Se tu potessi travestirti, fingendo di assistere Camas in qualche modo… forse lui correrebbe il rischio, per amore di Kyel.»
«Camas?»
«Camas Erl. L’avrai incontrato, qualche volta. È stato il mio tutore.»
«Non ricordo di averlo mai notato», disse lei. «Probabilmente perché era solo un tutore. Dopotutto, io ero la concubina del principe.» Il tono amaro di quella risposta sorprese Ducon. La ragazza si alzò, gli tolse il vassoio dalle ginocchia, e aggiunse: «È strano. Più chiaro uno vede se stesso, e più chiare appaiono le altre cose».
«Tu credi?» mormorò lui. «Non saprei. L’unica volta che io ho visto me stesso, è stato in sogno.»
Ducon ripensò al volto che aveva visto e sognato, quello che era come il suo eppure non lo era, e di nuovo fu turbato dal ricordo. Il bisogno che lo aveva spinto a seguire lo sconosciuto per le strade di Ombria non aveva reso affatto più chiaro il suo mondo, ma lo aveva cambiato, un passo dopo l’altro, e quando infine lui ne era caduto fuori quello che si vedeva attorno era un mondo del tutto sconosciuto.
«Dormi», lo esortò dolcemente Lydea mettendogli un altro cuscino dietro la testa. «Non potremo andarcene di qui, finché non starai meglio.»
Un attimo prima di chiudere gli occhi, lui vide la maga. Era ai piedi del letto, e aveva qualcosa in mano. Intorno a lei la marea stregata dei suoi poteri ondeggiava e fluttuava fino a grande distanza.
«Ho trovato il tuo carboncino», gli disse. «Il rospo ne ha estratto il veleno.» E all’improvviso, nel tempo frammentato del sogno o della stregoneria, lei gli fu accanto e gli mise il carboncino in mano. «Ora tu devi trovare Mag.»
Lo stringeva ancora tra le dita quando si svegliò.
16
Qua e là
Aggirandosi nella vasta dimora in cerca della maga, mentre Ducon dormiva, Lydea si accorse di muoversi a ritroso nel tempo, attraverso strati di storia che cambiavano a caso e non erano mai consecutivi. Un certo indumento indossato da uno dei taciturni spettri evocava un’intera epoca del passato di Ombria; lo stile diverso delle gambe di una sedia indicava una morte o un’incoronazione nella Casa dei Greve. Le mode dell’abbigliamento e le facce composte di quei dipinti le ricordavano altri fantasmi in altri dipinti, che l’avevano osservata camminare nei corridoi del palazzo. I più antichi di essi erano eseguiti su legno, e rappresentavano personaggi vestiri di pellicce e di perle. Qui, sui muri di Faey, c’erano individui che sembravano ancora più lontani nel tempo, dipinti da qualcuno che non sapeva niente di arte. Strani paesaggi e strani animali, nebulosi scorci di stradicciole cittadine, volti ormai semicancellati, e questi lavori erano stati realizzati su coperchi rotondi di botti di vino, oppure su pelli di animali tese su un telaio. Dovevano essere molto più antichi di quelli che le aveva mostrato Royce, più antichi della Casa dei Greve, anche se questo appariva incredibile. Ombria e la Casa dei Greve erano nate insieme, due gemelle sanguinarie e ignoranti che avevano plasmato il mondo intorno a loro mentre crescevano.