Выбрать главу

Prese il più vicino ingresso per il sottomondo e s’incamminò nel buio verso il fiume lontano, dove i lampioni le illuminarono l’ultimo tratto del percorso fino a casa. Non riconobbe subito la donna che venne ad aprirle la porta. Una nuova governante, pensò; quella vecchia doveva esser scivolata del tutto fuori dalla vita. Questa era coperta da capo a piedi in un abito a maniche lunghe di taffettà nero. Sembrava una mezza scema. Aveva capelli neri che pendevano flosci e scarmigliati, il delicato volto ovale era coperto di cipria bianca, e il rimmel rosso intorno agli occhi le dava un’espressione febbrile. La fissò in silenzio, e lei le restituì lo sguardo. Poi un’improvvisa intuizione mozzò il fiato a Mag, che si portò una mano alla bocca.

«Dove diavolo sei stata?» La voce della maga sembrava uscire da mille punti diversi, dal fiume, dalle pietre, dal fango della riva e dalle cavernose profondità. «Ti avevo mandata a comprare le anguille! Al mercato del pesce, non fuori dai confini del principato! E perché indossi quel… quella specie di tenda?»

«Ti chiedo perdono», sussurrò Mag dietro la mano. Non sapeva che effetto avrebbe avuto la verità, ma mentire a quei furiosi occhi arrossati sembrava ancor più pericoloso. Era impossibile che Faey avesse pianto. Doveva essersi dimenticata da secoli cosa fossero le lacrime. «Io sono andata a… a cercare Ducon Greve.»

La maga non batté ciglio. «Perché?»

«Non volevo lasciarlo morire.»

Faey incrociò le braccia sul petto e tacque, fissando la sua bambola di cera con una strana espressione.

Mag, che si aspettava tuoni e fulmini, fu sorpresa quando l’altra infine disse: «Be’, anch’io non ho voluto lasciarlo morire, quando l’ho trovato. Ora l’ho rimandato a casa sua».

Mag riuscì a tirar fuori un filo di voce stupita. «Lui è stato qui?»

«Era caduto dentro un seminterrato. A prendersi cura di lui ci ha pensato Lydea, visto che tu eri introvabile.»

«Lei è stata qui?»

«Fai eco a te stessa. Finora sei stata per le strade?»

Mag, adesso con entrambe le mani sulla bocca, scosse il capo. «Non tutto il tempo. Non esattamente.»

«Ah.» Anguille di fuoco blu saettarono per un istante dagli occhi della maga. «E lei ti ha trovato?»

«Non…»

«Non esattamente.»

«Posso entrare?» la pregò Mag. «Sono così stanca.»

«Tu mi hai ingannata.»

«E tu hai ingannato me», replicò lei. «Mi hai detto che sono di cera, e che mi hai fatto tu. Mi sei stata maestra di bugie. Io non sono di cera, e non sei stata tu a farmi, l’ho saputo fin da quando ho inghiottito quel cuore. Ma tu non volevi che io lo sapessi. Allora, cos’altro potevo fare se non mentire?»

«Non credo di essere io la sola che hai ingannato», disse lentamente la maga.

Mag fu sul punto di rispondere, ma tacque. Chinò il capo, così esausta che le parve di non avere più neppure la forza di oltrepassare la soglia di casa. «Sembra», udì se stessa dire, «che io abbia cercato d’ingannare anche me. Per molto tempo mi sono rifiutata di essere umana.»

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

«Tu», mormorò lei. «Con quel rospo e quel carboncino per dare la morte a Ducon Greve. Non ho più voluto essere come te.»

Faey tacque. Il suo volto incipriato era inespressivo come quello di una bambola di porcellana. Infine si scostò dalla soglia, lasciando entrare Mag. Ma quando ebbe richiuso la porta dietro di lei, le posò una mano su una spalla. Sulla porcellana apparvero due o tre crepe. «Io sono più vecchia di quello che tu possa immaginare», disse. «E credo di aver dimenticato certe cose che quand’ero giovane sapevo bene. Me ne sono accorta quando ho ricordato come si fa a piangere.»

Mag la guardò, sentendosi di nuovo un groppo in gola. «Tu hai pianto per me?»

«Non l’avrei fatto, se tu fossi di cera.»

La maga s’incamminò, e dopo un poco Mag le tenne dietro, troppo stupita per parlare. Ora che sapeva di essere irrevocabilmente umana, in lei riprendevano vita umane curiosità, cose che nel suo stato amorfo aveva ignorato per anni. Chi sono io? si domandò in silenzio. E con altrettanta intensità chiese alla schiena della maga: E tu chi sei? Non c’era più nulla di certo. Aveva l’impressione che se non si fosse concentrata sull’atto di camminare avrebbe dimenticato come si faceva.

Forse avrei dovuto restare cera, pensò, confusamente. Prima non avevo tutta questa paura.

«Non so dirti chi sei», la informò Faey, rispondendo alle sue curiosità inespresse. «Qualcuno ti abbandonò sulla soglia della mia casa.» Si voltò, costringendo Mag a fermarsi, meravigliata. «Mi svegliasti con i tuoi vagiti, letteralmente.»

«Qui?»

«Fuori, sugli scalini.»

«Dunque questo qualcuno sapeva come arrivare qui. Sono stata venduta. Hai pagato, per avermi?»

Di nuovo la maga udì ciò che non veniva detto. «Molte donne sapevano come arrivare a me; compravano filtri d’amore, talismani, fatture per vendicarsi, pozioni per abortire. Tu non sei stata il prodotto di un incantesimo che non aveva funzionato, bensì di uno che aveva funzionato fin troppo. L’amore può dare la vita a una bambina, ma non tenerla sana e ben nutrita nei quartieri poveri. Questo lo sai anche tu. Non ti portarono da me per denaro, ma per speranza. Di cosa, non saprei dirlo. Forse che ti trovassi una casa, o che ti tenessi io stessa, suppongo. Ed è quello che feci. Pensavo che mi saresti stata utile. Non ho mai creduto di…» Con un gesto Faey disperse altre possibilità nell’aria tra di loro. «Credevo che saresti stata per sempre la mia figlia di cera. Che finché tu avresti lasciato che a pensare fossi io, saresti stata al sicuro. Non prevedevo che dopo tutti questi anni saresti entrata nel mio cuore.»

Mag deglutì. Ma la voce le uscì tesa e rauca. «Come hai potuto pensare che io fossi stata desiderata, se… si sono disfatti di me appena nata?»

«Non ti abbandonarono, ti diedero a me», la corresse Faey. Pur senza essersi mossa parve d’un tratto più vicina.

Anche le sue ombre, gettate da numerose candele, sembrarono piegarsi verso Mag. «Tu sai che aspetto hanno i neonati non voluti? Ne hai mai visti? Non sono vestiti di lana e seta, non portano un misterioso medaglione appeso al collo, contenente tre gocce di sangue e il petalo di un fiore.»

Mag fece un passo verso di lei. «Un medaglione?» La voce le tremò. «Avevo al collo un medaglione?»

«Sì, appeso al collo con una catenina. Stavi per mangiartelo, quando ti trovai. Piangevi così forte che dovetti scendere. Non avevo mai visto tante finestre illuminate, in queste vecchie case lungo il fiume.»

Mag fece un altro passo. Tremava da capo a piedi, adesso. Alzò le mani verso di lei. «Ti prego. Posso vederlo?»

«Potrai tenertelo… Non appena riuscirò a ricordare dove l’ho messo», disse Faey. Aspettò che Mag attraversasse la distanza tra loro, un passo dopo l’altro. «Ricorda», la avvertì, quando le fu accanto. «Io non sono umana. Ti ho allevata come se non lo fossi neppure tu, perché questi fantasmi e il passato di Ombria sono tutto ciò che conosco. Dovrai trovare da sola la tua strada nel mondo umano. Se è questo che vuoi.»