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«Io non so cosa voglio», disse Mag, confusa. «Questa è l’unica casa che conosco. Non costringermi a lasciarla.»

«Non sono sicura che tu vorrai restare. Tu sai cosa sono io.»

Mag storse la bocca. «E tu sai cosa sono io? Non so se voglio avere un posto nel mondo umano. Io non mi comporto come una persona umana.» Nei suoi pensieri apparve inatteso il volto di Ducon. Anche lui è diverso, si disse, ma il suo posto tra gli umani, benché eccentrico, rientra ancora nella normalità.

«Troverai la tua strada», pronosticò Faey. «E te ne andrai di qui.» Toccò ancora un braccio di Mag, esitante. «Vai a lavarti. E trova qualcosa di meno ripugnante da indossare. A cena mi dirai dove sei stata.»

Esaminarono insieme il programma di Lydea e di Ducon Greve mentre mangiavano la zuppa di tartaruga. Passarono al pesce, e Mag ascoltò con stupore il modo in cui Lydea aveva trovato la strada per la casa della maga. Quando arrivò in tavola la carne arrosto, molto speziata, lei riferì come aveva conosciuto Camas Erl nella biblioteca della Perla Nera.

Faey depose la forchetta; i suoi occhi non lasciavano un istante Mag. Sembravano fangosi, pensò la giovane, come se avessero assorbito un po’ del giallo di quelli di Camas Erl durante il racconto. Quando fu servita l’insalata, la maga le chiese: «Questo tutore… è al soldo della Perla Nera?»

«Penso che faccia quello che pare a lui», rispose Mag. «Mi ha lasciato andare. Se le avesse detto di avermi trovato lì, mi avrebbero tenuto prigioniera, o probabilmente uccisa. Quell’uomo ha i suoi piani personali. Non so immaginare quali.»

«E tuttavia Ducon Greve si fida di lui.»

Mag sentì un prurito dietro la nuca, come se una delle spettrali guardie di Domina Pearl la stesse guardando. «Te lo ha detto lui?»

«Ha proposto a Lydea di fingersi l’assistente di Camas Erl, per aiutarlo nell’istruzione del bambino. Io le ho dato un’aura che potrà ingannare la Perla Nera, a patto che non la guardi troppo da vicino, e l’ho mandata a palazzo con Ducon. Lei mi ha pagato con questo.»

Faey esibì le dita ingioiellate; Mag riconobbe il regalo del defunto principe. Nell’opale c’era una cosa strana. Lo guardò meglio e spalancò gli occhi. «Quello è il mio volto.»

«Proprio così.»

«Com’è finito in quella gemma?»

«Devi avercelo proiettato tu.»

Mag studiò l’immagine, meravigliata. Faey aveva dato a Lydea un incantesimo in cambio del volto della sua bambola di cera. E grazie a questo, Mag sentì un po’ meno la stranezza di essere diventata umana.

«Saresti venuta a cercarmi se Camas Erl non mi avesse liberata?» domandò, incerta.

Gli occhi della maga cambiarono ancora, duri come diamanti, neri come carboni. «Non ricordo come ci si comporta nel mondo di sopra», disse. «Sarei venuta, se la Perla Nera ti avesse preso, ma avrei potuto distruggere troppe cose. Nella Casa dei Greve c’è un mistero. Domina Pearl lo vede; Ducon Greve ne fa parte; io credo che questo Camas Erl, il quale mostra un volto alla Perla Nera e un altro a Ducon Greve, lo veda anche lui. Si direbbe uno sconsiderato, uno che scherza col fuoco…»

«Quale mistero?»

La maga scrollò una spalla d’avorio. «Se lo sapessi non sarebbe un mistero.»

Mag trasse un lungo respiro e disse, precipitosamente: «Camas Erl vuole conoscerti. È per questo che mi ha lasciato andare».

L’arrivo del caffè e della cioccolata ritardò il commento della maga. Sollevò la tazza alle labbra mentre la porta si chiudeva, poi la riabbassò sul piattino con un colpo che fece traboccare il caffè. «Perché?» domandò, secca. «Chi vuole chiedermi di uccidere?»

«Sembra più interessato a quelli che sono già morti.»

«Ah, sì?»

«Vuole sapere da dove vieni.»

«Già.» Faey alzò la tazza e la guardò senza vederla, come perduta nelle sue riflessioni. Bevve un sorso. «Anche a me piacerebbe sapere da dove viene costui. Sembra pericoloso e senza scrupoli, e io non ho salvato la vita a Ducon per vederlo tradito dal suo tutore.»

«Mi ha detto che lui e Domina Pearl non hanno niente contro Ducon…»

«Ma per quanto tempo ancora? E cosa mi dici di Lydea e del bambino? Camas Erl sarà davvero disposto a tenere segreta la presenza di Lydea? O la venderà a Domina Pearl, alla prima occasione?»

«Forse», suggerì Mag, «tu potresti venire a patti con lui, per avere il suo silenzio. Il passato lo affascina. Tu hai ciò che lui desidera. Hai abbastanza cose, quaggiù, da tenerlo occupato per anni.»

Faey ci pensò un poco, versando cioccolata nel suo caffè. «Perché non ti ho mai permesso di pensare?» si domandò. Rivolse un sorriso freddo all’invisibile tutore, mentre il caffè alla cioccolata spariva tra i suoi denti candidi. Mag provò un impulso di pietà per Camas Erl.

Più tardi, ferma qualche passo oltre la soglia, guardò Faey aggirarsi nel caos della sua camera da letto. «Ma dove diavolo…» mormorò la maga, frugando in un mare di scarpe spaiate, montagne di biancheria intima, sciarpe, mantelli, cappelli mangiati dalle tarme, piccoli tavoli ingombri di conchiglie, dentiere di legno, il carapace di un granchio, lunghissime collane d’ambra, di perle e d’oro avvolte intorno a gusci di tartaruga e bottiglie di profumo. «Dove posso averlo messo…» Sembrava una ricerca impossibile. Ma dopo aver cercato in varie scatole e coppe, mutande di seta e sotto il letto, la maga ebbe l’improvvisa ispirazione di guardare sulla mensola del camino. Fu lì che trovò un vaso di vetro rosso, e lo aprì. Una sottile catenina d’oro le scivolò in mano, con un medaglione d’avorio e d’oro.

Consegnò l’oggetto a Mag, quindi si rimise a posto uno zigomo che si era storto ed esibì uno sbadiglio da cortigiana annoiata.

«Io me ne vado a letto», annunciò. «Dev’essere già sorta la luna.»

Mag distolse lo sguardo dal medaglione e si volse a lei, con una domanda negli occhi. Faey scosse il capo, le diede una pacca su una spalla e la fece voltare verso la porta. «No, non ho bisogno del tuo aiuto. Ora devi riposare. Stai cominciando a somigliare a uno degli spettri di casa.»

Ma non sono uno di loro, pensò Mag con un cupo senso di trionfo, mentre si sedeva sul suo letto col medaglione tra le mani. Né spettro, né cera… le mie ossa appartengono a me.

Il medaglione, scolpito nell’avorio e chiuso in un telaio d’oro, era di forma rettangolare, spesso come una scatoletta. Si aprì subito, non appena lei premette la fibbia. Per qualche momento lo tenne sul palmo della mano, osservandolo quasi senza respirare per non disturbare il contenuto. Tre piccole gocce color rosso scuro come rose secche giacevano su un pezzo di pergamena sagomato come il fondo del medaglione. Sul lato del coperchio c’era invece un petalo di rosa bianca, protetto da un vetro sottile. Lei spostò lo sguardo da una metà all’altra, a bocca aperta.

Di chi era questo sangue? si chiese. Perché questo petalo di rosa? Il sangue era quello di lui, immaginò, e il petalo era della rosa che lui aveva donato a lei. Sembrava probabile come qualsiasi risposta, e più confortante di molte altre. Solo allora si accorse che il medaglione aveva un doppio scomparto, dietro quello del petalo, anch’esso incorniciato in oro. Premette la piccola fibbia, dolcemente, e anch’esso si aprì.

Mag guardò il sottile cilindro nero per molto tempo prima di decidersi a toccarlo. Ancora attiva, un po’ della sostanza le aderì al polpastrello. Pensosamente, lei appoggiò la fronte sulla mano, studiando il medaglione, e si lasciò una ditata scura lungo l’arco del sopracciglio.

Un carboncino da disegno.

18

Ciò che disse la manticora