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Il ritorno di Ducon, dopo tutti quei giorni di misteriosa assenza, provocò negli ambienti di corte un tale groviglio d’ipotesi da fargli pensare che avrebbe destato meno emozione resuscitando da morte.

Il Nobile Marin Sozon, che aveva speso una piccola fortuna nel tentativo di ucciderlo, lo salutò con voce ferma, ma era diventato così pallido da far temere a Ducon che gli sarebbe venuto un infarto; la Perla Nera, che secondo lui sarebbe stata del tutto indifferente, rivelò invece un’espressione interessata sotto lo strato di vernice che le teneva insieme il volto. Il giovane spiegò di essersi ammalato e di aver trascorso la convalescenza in casa di amici.

«Vi ho cercato», disse la donna, perplessa e insospettita. «Io ho i miei sistemi, ma stavolta con voi non hanno funzionato. Dovete dirmi chi sono questi vostri amici, affinché io possa adeguatamente ringraziarli.»

«Siete molto gentile. Provvederò io a esprimere loro la vostra gratitudine, non appena li vedrò», rispose lui, esibendo un sorrisetto melenso.

Lei non aveva abbastanza sangue per arrossire, ma perfino i suoi capelli parvero irrigidirsi. «Avrebbero potuto mandarci un messaggio», si lamentò. «Eravamo molto preoccupati.»

«Avrei dovuto pensarci io. E ora credo di dover rassicurare mio cugino, sulle mie condizioni di salute.»

L’esitazione di lei, durata un batter d’occhio, fu così impercettibile che se l’avesse fatta qualcun altro Ducon non l’avrebbe notata.

«Sì. Lui ha chiesto di voi. Lo troverete per qualche verso più docile. Malinconico. I medici assicurano che è una reazione naturale alle conseguenze per i cambiamenti intervenuti nella sua vita.»

Ducon sentì ancora una volta l’ormai noto impeto di paura e di rabbia; per un momento non poté parlare. Domina Pearl non attese la risposta; mentre si allontanava, aggiunse: «Ha cominciato i suoi studi con Camas Erl. Al mattino sono molto indaffarati. Potrete vedere il principe solo quando avranno finito».

Ma lui non aveva intenzione di aspettare tanto.

Trovò Camas Erl e Kyel in biblioteca. Il principe stava osservando una carta che Camas aveva appeso a una lavagna. Era un albero genealogico della Casa dei Greve, fitto di nomi come mele appese ai rami. Quello di Kyel era in basso sul tronco, ancora troppo fragile per pendere da un nuovo ramo. Il principe si voltò nel sentire la porta aprirsi. Per un attimo il suo sguardo indifferente oltrepassò anche Ducon, comprendendolo nella sua apatia. Poi il principe si alzò, senza dir nulla, e corse da lui.

Ducon s’inginocchiò e lo strinse a sé con forza. Sentì le piccole braccia di lui rispondere debolmente, esitanti, come se avesse dimenticato il senso quel gesto. Il bambino alzò lo sguardo oltre la spalla di lui verso Camas Erl, che stava ancora puntando un righello su un significativo frammento di storia: gli eredi gemelli nati da Kasia Greve un paio di secoli prima. Camas gli restituì lo sguardo senza dir niente, e infine abbassò il righello.

«Bentornato a casa.»

Ducon annuì, e scostò Kyel da sé per osservarlo meglio. Era pallido e aveva un alone scuro intorno agli occhi. Sotto il suo sguardo scrutatore sbatté le palpebre, come se si fosse appena alzato.

«Ducon…» La sua voce era debole, priva di vitalità. «Dove sei stato?»

«Ero ammalato. Non ho potuto tornare a casa per qualche tempo. Mi spiace non averti potuto avvertire.»

«Credevo che fossi morto», mormorò il bambino con calma raggelante. Poi la sua espressione cambiò; ritrovò il passato, rammentò cos’era la morte. Guardando Ducon sembrò quasi accusarlo di averlo ingannato, per il semplice fatto di essere ancora vivo. Sul volto gli tornò un po’ di colore. «Credevo che tu fossi andato dove sono andati Lydea, e Jacinth, e mio padre…»

«No.»

«Credevo che Domina Pearl…» All’improvviso il principe tacque, a occhi spalancati. Ducon si voltò lentamente, aspettandosi di vedere la donna sulla soglia della biblioteca, convocata lì dai loro timori. Strinse i denti. Si alzò, in modo che il principe non potesse vederlo in faccia, poi lo prese per mano e lo riportò al tavolo.

«Sentiamo un po’. Cosa ti ha insegnato di bello Camas Erl?»

«Mi ha insegnato la storia della Casa dei Greve», rispose Kyel con tono privo d’interesse. Tornò a sedersi e riportò la sua doverosa attenzione su Camas Erl. Ma continuò, senza rendersene conto, a stringere la mano di Ducon, il quale gliela lasciò, gentilmente. Kyel parve non accorgersene. Camas Erl venne a mettergli davanti carta e penna. «Facciamo pratica di calligrafia, mio signore.»

Ubbidiente, il bambino intinse la penna nel calamaio, senza rispondere, e cominciò il suo lavoro. Ducon rimase lì un poco a osservarlo. Poi prese il tutore per un braccio, con tale forza che l’uomo fece una smorfia, e lo portò con sé all’altro capo della stanza.

«Cosa gli ha fatto, quella donna?»

Camas si strinse nelle spalle. «Una pozione di qualche genere, per renderlo passivo», rispose sottovoce. «Non so come o quando gliel’abbia somministrata. Ducon, dove diavolo sei stato? Ti ho cercato dappertutto…»

«Avete saltato un posto. Ascoltatemi. Ho trovato una assistente per voi.»

«A che scopo?»

«Per darvi una mano, mentre istruite Kyel.»

Il tutore ebbe un gesto d’incredulità. «Ma guardalo! Si accorge a stento della mia presenza. La sola cosa che ottiene la sua attenzione è l’esercizio di calligrafia, e credo che sia solo perché gli ricorda i disegni fatti per te. Non ho bisogno di un assistente. Ho bisogno di un allievo.»

«Ne avete bisogno, più di quanto crediate.»

«Ducon, tu dici sciocchezze. Io non ho mai avuto…» Tacque, notando qualcosa nell’insistenza dell’altro. «Perché? Chi sarebbe costui?»

«Costei.»

«Chi è?»

«Non importa chi è. Se non l’accettate, andrò da Domina Pearl e le chiederò perché sta avvelenando Kyel con…»

«E va bene.» Camas Erl sospirò, battendogli una pacca su una spalla. «D’accordo. Tu rischi di sparire dalla circolazione, e nessuno saprà mai che fine hai fatto.»

«Se non lo saprete neppure voi, nessuno vi incolperà.»

«È un sollievo sentirtelo dire», rispose secco il tutore. «Ma in un posto come questo, c’è da dubitarne. In ogni modo, dimmi cosa vuoi.»

«Voglio che la vostra assistente protegga Kyel. Domina Pearl non permetterebbe a me di farlo; voi non siete in condizioni di occuparvene, mentre questa persona… è una di cui Kyel si fida.»

Gli occhi di gufo del cortigiano, attenti e sagaci, sembravano capaci di vedere le intenzioni altrui e considerare le cose non dette. Si passò una mano tra i capelli, con un sospiro. «E se lei…»

«Voi non la riconoscerete. Nessuno, a parte Kyel, potrà riconoscerla.»

«Ma come lo spiegherò a…»

«Pensate a qualche scusa.»

«E quella donna, come potrà… Ducon, tu dove sei stato?»

«Nel sottomondo», rispose lui. Nel sentire queste parole, Camas sembrò all’improvviso, stranamente, privo di altre domande.

Ducon uscì per parlare con Lydea, lasciata alle discrete cure della graziosa cameriera del principe, in un locale appartato e senza sorveglianza nel seminterrato del palazzo. La cameriera, che disponeva di un’altra stanza, aveva offerto a Lydea il suo letto per la notte.

Ducon bussò leggermente a una delle molte porte chiuse del corridoio, indistinguibili una dall’altra, augurandosi che fosse quella giusta. Gli fu aperto da un’elegante sconosciuta dai modi affettati, e lui chiese scusa, con un passo indietro.

«Ducon», disse lei. Il giovane la guardò meglio e si accorse che quello era il volto che aveva scorto sotto il voluminoso cappuccio di seta che la maga aveva recuperato da qualche secolo dimenticato per proteggere meglio il suo incantesimo.

«Non è tanto il cambiamento del tuo viso», le disse, girandole intorno, «quanto l’espressione e il modo di comportarti. Sembri proprio una sofisticata creatura ben consapevole del suo posto privilegiato, calma e padrona di sé. Qualunque cosa ti abbia fatto la maga, vale il compenso che le hai dato.»