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«Voi non avete bisogno di me», borbottò stordito Ducon, mentre lo portavano di peso lungo il corridoio. «State già facendo da soli quello che dovete fare.»

«Tu ci servi per distruggere la Perla Nera. Tu le parli, la vedi spesso, la conosci meglio di chiunque altro.» Lo contraddisse il visionario, a denti stretti.

Lo portarono nel suo alloggio e lo scaricarono sul letto. Qualcuno, con una premura che lui non si sarebbe aspettato, gli tolse le scarpe. Poi lo guardarono, con facce che ai suoi occhi annebbiati sembravano tutte uguali, un circolo di gemelli.

«Sarà il caso di chiamare un medico? Non possiamo lasciarlo così, a perdere sangue sulle lenzuola.»

«Perché no? Dev’esserci abituato, con la vita che fa. Lascia che ci dorma sopra. E poi…» Ducon sentì una mano che lo prendeva per il mento, scuotendolo per ottenere la sua vacua attenzione. Gli occhi azzurri che lo fissavano erano come quelli di suo zio, ma più duri e accesi d’impazienza. «Pensa a quello che è successo. Noi torneremo. Tu ci devi la vita.»

Molto più tardi lui aprì gli occhi, svegliato da qualcuno che lo stava toccando con gentilezza, e vide la luce di alcune candele. I cospiratori, per magia, come accadeva nei sogni, si erano trasformati in un medico e in Domina Pearl. La donna stava parlando in tono brusco, e con le fiammelle che si riflettevano nella gelida notte dei suoi occhi sembrava più furiosa di quanto lui l’avesse mai vista. Si chiese quanti dei cospiratori avrebbero incontrato una lama nell’ombra, prima che sorgesse il sole.

Bevve ciò che il medico gli diede e dormì ancora. All’alba si svegliò, e nell’opaco grigiore che si spandeva lento sul mondo si accorse che qualcuno aveva infilato un pezzo di carta sotto la porta.

Si alzò con qualche sforzo, pieno di dolori dappertutto. Zoppicò fino alla porta per raccogliere il foglio, mentre in lui si rincorrevano le ipotesi più diverse, e provò un moto d’affetto e di paura quando gli sovvenne la più probabile: Kyel.

Ma non poteva esser stato Kyel a scrivergli qualcosa, neppure quelle tre brevi parole, anche perché erano state composte con la cera sgocciolata da una candela. Le guardò finché assunsero un significato. Poi aprì la porta d’impulso, sperando di vedere quegli occhi color nocciola, ma lì fuori c’erano soltanto le guardie che in qualche modo lei aveva aggirato.

Io sono salva, diceva la cera.

19

Maestra Spina

Anche Lydea si era svegliata all’alba, ma nella stanzetta senza finestre della cameriera non sapeva che ora fosse. A mettere fine al suo sonno erano stati i sogni. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva Domina Pearl che la spiava, e nel buio aveva l’impressione di udire il pianto di Kyel. Poi quei gemiti diventavano lenti e solitari singhiozzi, provenienti da una dell’infinita fila di porte allineate nel corridoio silenzioso. Così, stanca di correre a cercarlo dall’una all’altra, decise che per quella notte aveva dormito abbastanza. Distesa nel piccolo e duro letto pensò a Royce Greve e alla sua ben nutrita ma nervosa concubina, che si mangiava le unghie tra le lenzuola di seta in una delle grandi camere da letto piene di luce, con vista sui giardini e sul mare. Adesso era sepolta nel seminterrato del palazzo, su una scomoda branda, in una stanza simile a una cella d’alveare, e le sue strane unghie erano così dure che avrebbe potuto piantarle a martellate in un’asse di legno.

Attese, ormai completamente sveglia e preoccupata, finché udì qualcuno bussare alla porta. Andò ad aprire e trovò una brocca d’acqua calda, tè, pane e frutta. Si lavò e si vestì, bevve il tè, ma non riuscì a inghiottire un boccone di cibo, e poi rimase seduta sul letto finché sentì di nuovo bussare alla porta.

Quando aprì, si trovò davanti Ducon, che per qualche istante parve incerto e perplesso alla vista del suo nuovo volto.

La ragazza si portò una mano alla bocca. «Santo cielo! Cosa ti è successo?»

Ducon aveva una ferita larga un palmo su una tempia, un labbro tagliato e la bocca contratta in una smorfia, come se ogni movimento gli costasse sofferenza. Scrollò le spalle.

«La politica.» Cercò di sorridere. «Non preoccuparti.»

Lei si aggiustò meglio l’abito. «Sono presentabile? Mi sento come se dovessi salire sul patibolo.»

«Hai un aspetto molto ordinato e tranquillo, per una che sta per essere impiccata.»

Camas Erl non la riconobbe. Dall’espressione stupita dell’uomo, la ragazza capì che non si era aspettato di trovarsi davanti una completa sconosciuta. Al momento di fare le presentazioni ci fu un po’ d’imbarazzo, perché all’improvviso Ducon ricordò che dopo tutta quella fatica per darle un volto non avevano pensato a un nome.

«Nobile Erl, questa è Rosa», improvvisò in fretta. Chiedendosi se la ragazza avrebbe vissuto abbastanza da rivedere la taverna del padre, aggiunse: «L’assistente Rosa Spina».

«Maestra Spina.» Il tutore le rivolse un mezzo inchino.

In quei cinque anni doveva esser stato sepolto nella biblioteca del palazzo, pensò lei, perché non le sembrava di averlo mai visto. «Mastro Erl.»

«Ho chiesto a Domina Pearl il permesso di assumere un’assistente che insegni al giovane principe i rudimenti della scrittura, così avrò più tempo libero per le ricerche necessarie al mio libro, La Storia di Ombria. Io gli insegnerò aritmetica, lingue straniere e storia. Voi mi darete una mano anche in questo, all’occorrenza.»

Lei accennò di sì con docilità, rabbrividendo all’idea. «Come volete, mastro Erl. Anche se le mie conoscenze sono alquanto…»

«Sono certo che basteranno ai nostri scopi», la interruppe subito lui. «Nobile Ducon, tu saresti una distrazione per il principe, con il viso conciato in quel modo. Ti suggerisco di andare, prima che Domina Pearl lo porti qui. È meglio non darle motivo di pensare che tu e la maestra Spina vi conosciate.»

Ducon uscì dalla stanza. Lydea, col cuore che le batteva forte alla prospettiva di rivedere la Perla Nera, abbassò gli occhi e lasciò che Camas Erl la esaminasse.

D’un tratto lui domandò: «Sapete leggere e scrivere?»

«Mia madre mi ha insegnato», rispose lei, cauta. «Sapeva un po’ di aritmetica, abbastanza per contare i soldi.»

«È sorprendente.»

Stupita lei alzò gli occhi. «Cosa volete dire, mastro Erl?»

«È stata lei a darvi questo aspetto, non è così? La maga che vive nel sottomondo. Ditemi come posso trovarla.»

Lei esitò. «Mastro Erl…»

«Se finiremo nei guai con la Perla Nera, finiremo nei guai insieme. Ducon dovrà salvarci. Io ho parlato con la ragazza della maga… quella che dice di essere la sua figlia di cera.»

Lei trattenne il fiato. «Voi avete visto Mag? Di recente?»

«Ieri sera mi ha dato una nota da lasciare sotto la porta di Ducon, per fargli sapere che sta bene. L’ho conosciuta mentre cercava Ducon. Ha detto che la maga vive tra le rovine della storia di Ombria, e che mi avrebbe condotto da lei. Voi siete stata là?» Lei non lo negò, limitandosi a scrutarlo a occhi stretti, perplessa e a disagio senza sapere perché. Camas Erl non sembrava aver bisogno di una risposta, e con gli occhi accesi d’eccitazione al pensiero del passato della città, continuò: «Io ho una sola passione nella mia vita, ed è la storia di Ombria. Non avete mai sentito la storia della città-ombra?»

Quell’uomo non aveva paura, capì all’improvviso lei. Ecco cosa la metteva a disagio. In quel palazzo c’era una lotta di potere che stava mietendo vittime tra membri di fazioni rivali, e Camas Erl non aveva neppure un poco di sana paura per la sua vita.

Stavolta lui aspettava una risposta. Lydea ripensò alla sua domanda e disse: «Sì. Spesso la raccontavo a…» S’interruppe, prima di compromettersi. Sono rimbecillita come lui, si disse. Ma l’uomo parve non farci caso. «Sì, lo so», le rispose sottovoce.