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«Avrò degli incubi», rispose lei con voce piatta.

«Non lavorate a uncinetto, o cose del genere?» La ragazza lo guardò, incredula. Lui le mostrò il libro che aveva in mano. Era vecchio e malconcio, con una copertina in pelle sfaldata, la costolatura a pezzi e le pagine ingiallite fitte di parole. Sembrava sul punto di sgretolarsi come un barattolo arrugginito. «Dovreste leggerlo. E prendete anche questi con voi, e questi», disse. Le mise in mano il libro, dei fogli di carta, e sopra di essi aggiunse alcune penne e un calamaio. «Scrivete tutto quello che vi sembra importante.»

«Importante in che senso?» domandò lei, distrattamente. Sentiva già la mancanza di Kyel, e si preoccupava per lui, tormentandosi al pensiero di ciò che la Perla Nera avrebbe potuto fare per mantenerlo docile. Sarebbe stato così stordito da pensare che lei era stata solo un sogno? Avrebbe dimenticato la promessa e fatto il suo nome?

«La storia che stavate raccontando al principe. Quella della città-ombra.»

Lei guardò il libro; spostò nell’altra mano carta e calamaio, per poterlo aprire. Non sembravano esserci ombre sulle sue pagine; soltanto parole, fitte come pietre nel selciato di una strada, e apparivano tutte uguali. «Qui non sembra che ci sia una storia, non come le storie che io ho sentito.»

«Può esserci, e può non esserci.» L’uomo la guardò con i suoi strani occhi, gialli come quelli di un cane randagio. «Se ci trovate qualcosa, scrivete per me quello che avete visto. Non c’è tempo per rovistare in tutto.»

«Non c’è tempo?» ripeté lei, stupita. «Che cosa dovete fare, adesso?»

«Non c’è più tempo al mondo», ripeté oscuramente lui. «Per favore. Posso pagarvi.»

Lei si strinse nelle spalle. Raddrizzò il calamaio prima che le cadesse. «Non lo so. Vedrò fino a che punto posso arrivare. Potrebbe essere una cosa troppo complicata perché io la capisca.»

Gli angoli della sua bocca sottile si piegarono all’insù. «Voi capite molte cose, maestra Spina. Voi siete stata sulla cima del mondo col principe di Ombria e, sotto di esso, con la più vecchia maga della storia della città. Stavate per dirmi come posso trovarla.»

«Stavo per dirvelo?» mormorò lei, perplessa e a disagio per il suo comportamento. «L’ho cercata in qualche strada finché ho trovato un’insegna, ho ricordato un’ombra che avevo visto una volta… e ho aperto una porta.»

«E lei era lì», finì sottovoce lui. «Voi siete entrata nella storia più antica di Ombria.»

Ancora stupita, stentando a capire cosa l’uomo le avesse detto, Lydea portò quel disordinato mucchio di parole e di fogli e di penne nella stanzetta silenziosa che le era stata assegnata.

Lesse per il resto del giorno, e poi accese una candela per continuare a leggere anche di notte.

20

Città di spettri

Mag incontrò Camas Erl un pomeriggio di pochi giorni dopo, in un piccolo cortile sommerso dalle erbacce e circondato da edifici vuoti. Un secolo prima quella era stata una locanda, con annesse stalle e rimesse per le carrozze. Ora i tetti erano crollati sotto l’opera della pioggia e dei tarli. Alle finestre, non restava intatto neppure un pezzo d’imposta a cui un ragazzo avrebbe voluto tirare una sassata. Lì c’era uno dei tanti ingressi al mondo sotterraneo della maga. Il passante casuale non vedeva motivo d’indugiare in un posto del genere. Quelli che avevano bisogno di Faey, si facevano strada tra il fogliame dei rampicanti e le travi crollate, fino alla porta di una cantina sotto le scale.

Mag aprì quella porta per Camas. Nella sottocittà echeggiò il suono di un campanello. Il tutore, che fino a quel momento si era limitato a girare qua e là i suoi occhi da gufo senza dir parola, la guardò con aria incredula. «Un campanello da bottega?»

«È per i clienti», rispose lei.

In fondo allo scantinato, un percorso tortuoso li portò all’ingresso posteriore della casa della maga.

Faey, il cui modo d’accogliere i visitatori era sempre astuto e imprevedibile, li ricevette in maniera adeguata. Evidentemente aveva deciso di offrire all’anziano cortigiano l’ultima cosa che lui si aspettava; questa parve a Mag l’unica spiegazione per la languida e truccatissima bellezza bionda che, seduta in una caverna di cuscini e drappi satinati, gli porse una pallida mano appesantita da preziosi anelli. Incerto se portarsela alle labbra lui la accettò con un mezzo inchino, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei, alonati di lustrini viola.

«Come posso aiutarvi, signore?» domandò la maga con cortese indifferenza.

Camas Erl rimase ancora qualche istante senza parole, finché trovò quella che cercava. «Illusioni», mormorò, studiando la padrona di casa come se fosse qualcosa di esotico e sconosciuto portato lì dalle navi di Domina Pearl che razziavano le coste tropicali. «Tutto di voi è un’illusione. Perfino la vostra bambola di cera. Posso vedere il vostro vero volto?»

Faey si raddrizzò di scatto, facendo cadere alcuni cuscini. Per un momento Mag, col fiato mozzo, pensò che gli avrebbe dato quello che voleva. Ma lei disse solo: «A esser sincera, non riesco a ricordare che volto avevo un tempo. E se vi mostrassi ciò che sono ora, vi costerebbe più di quello che sareste disposto a pagare».

Prudentemente lui accettò quella dichiarazione con un cenno d’assenso. La maga sistemò alcuni cuscini contro lo schienale e batté una pacca invitante sul divano accanto a lei. «Una tazza di tè?» propose, e sbatté verso Mag i petali di fiore che stava usando come sopracciglia. «Ti spiace?» disse, come se non fosse capace di far piovere dall’aria un fiume di tè. Mag la lasciò sola con Camas.

Attese in cucina finché fu chiamata dalla maga. Poi, con un’illusione a forma di vassoio da tè tra le mani, fece ritorno nella camera che Faey aveva composto intorno a sé adeguandola al suo umore, chiusa tra velluti, pesanti tendaggi e ombre purpuree, in un’atmosfera odorosa di stoppini accesi. Trovò che Faey si era distaccata dalla sua forma illusoria e camminava avanti e indietro, mentre Camas sedeva sul divano e parlava con la figura immateriale che la maga aveva lasciato al suo posto. L’uomo stava discutendo appassionatamente della storia di Ombria, e la sofisticata e indolente illusione femminile annuiva ogni tanto con aria incoraggiante, ma senza parlare.

Mag depose il vassoio e restò ad ascoltare.

«Ci sono dei pezzi mancanti in questo rompicapo», disse Camas, passandosi una mano tra i capelli. I suoi occhi brillavano di una luce malata, nel riflesso giallastro di una lampada dal vetro sporco. «E pezzi che non vanno ancora al loro posto. Cosa, per esempio, fa scattare il cambiamento dalla città alla città-ombra? È stregoneria? Ha qualcosa a che fare con la precaria situazione della Casa dei Greve? L’erede privo di poteri, il bastardo che non può agire? Quali misteri sono nascosti nei passaggi segreti del palazzo? Cosa c’è da guadagnare prevedendo il mutamento e sopravvivendo a esso? Domina Pearl crede che sia possibile, se uno resta consapevole durante la trasformazione, ammassare enormi conoscenze e potere. Per governare la città-ombra quando essa emerge, dato che nessun altro ricorderà la città precedente, né chi la governava allora. Tutto sarà accettato come viene rivelato. Ecco perché sono così ansioso di parlarvene. Voi vivete nel passato di Ombria, con i suoi spettri e i suoi ricordi. Qual è il periodo più lontano che ricordate? Eravate viva, prima dell’ultimo cambiamento? Quante trasformazioni ci sono state? Quanti anni avete?»

L’illusione di Faey inclinò con grazia la testa; Camas continuò a parlare senza aspettare le risposte. A un tratto la maga si decise ad aprir bocca, e la sua voce si mescolò a quella di lui. «Cosa vi aspettate di guadagnare, da quella che chiamate ‘trasformazione’?»

Camas interruppe ciò che stava dicendo per risponderle: «Conoscenza. E il potere che viene dai ricordi completi della storia della città. Ciò che Domina Pearl sa di stregoneria potrebbe non sopravvivere alla trasformazione, se lei stessa non è consapevole del mutamento. Io voglio restare vivo, essere consapevole del mutamento dalla città all’ombra. E voglio allearmi con qualcuno abbastanza potente da mantenere l’integrità dell’esistenza, delle conoscenze, dei ricordi e delle esperienze, anche dopo la trasformazione».